Nell'ombra delle grandi rivoluzioni che hanno riscritto la storia d’Europa e delle Americhe, vi è una figura femminile, possente e silenziosa, che il tempo aveva relegato ai margini dei manuali: La Mûlatresse Solitude. Il suo nome, un tempo sussurrato con rispetto tra i discendenti degli schiavi delle Antille francesi, oggi riecheggia tra le statue dei martiri e le pagine della memoria collettiva. È il simbolo non solo della resistenza nera al dominio coloniale, ma anche della lotta di una madre – incinta di otto mesi – che ha osato sfidare l'imperatore più temuto del suo tempo: Napoleone Bonaparte.
Correva l’anno 1802. Dopo un breve ma significativo periodo in cui la Rivoluzione Francese aveva imposto, almeno formalmente, l’abolizione della schiavitù (1794), l’ascesa di Napoleone al potere ribaltò le sorti dei neri d’oltremare. Con un decreto imperiale, Bonaparte ristabilì la schiavitù nelle colonie, vedendo in essa una necessità economica e un pilastro della restaurazione imperiale. In risposta, nelle piantagioni della Guadalupa, la tensione esplose in rivolta. E tra i ribelli, vi era lei: Solitude.
Poco si conosce delle sue origini. Figlia di uno stupratore bianco e di una schiava africana, cresciuta nel sistema schiavista delle Antille, il suo soprannome – “Solitude” – riecheggia un destino tragico e potente: quello di una donna priva di appartenenze, respinta da entrambe le comunità, eppure capace di unire e ispirare nella lotta. Nonostante la gravidanza avanzata, si unì al gruppo di insorti guidati da Louis Delgrès, uno degli ufficiali neri rimasti fedeli ai principi rivoluzionari di libertà e uguaglianza. Il loro obiettivo non era solo la resistenza: era una dichiarazione d’identità.
Il 28 maggio 1802, l’esercito francese – guidato dal generale Antoine Richepanse e forte di cannoni e baionette – soffocò nel sangue la rivolta. Delgrès e altri leader si suicidarono con un’esplosione per non cadere vivi nelle mani dei francesi. Solitude fu catturata. E qui, la brutalità della storia raggiunge il suo culmine: venne tenuta in prigione fino al parto e, il giorno successivo alla nascita del figlio, giustiziata per impiccagione. La ragion di Stato non conosceva clemenza nemmeno per una madre.
Oggi, oltre due secoli dopo, la Francia e le sue ex colonie cominciano, lentamente, a restituire dignità ai nomi cancellati dalla storia ufficiale. Una statua a sua immagine, inaugurata a Basse-Terre, in Guadalupa, la raffigura alta e fiera, il ventre rotondo, lo sguardo rivolto all’orizzonte. Un tributo tardivo, ma necessario.
Solitude non ha fondato uno Stato, né firmato trattati. Non ha vinto battaglie sul campo, né pronunciato discorsi memorabili. Eppure, con il suo gesto, ha segnato un solco profondo nella coscienza collettiva dei popoli oppressi. La sua storia si incrocia con quella di Haiti, l’unica nazione nata da una rivoluzione di schiavi riuscita; e con quella di migliaia di donne africane e afrodiscendenti che, nel silenzio, hanno resistito e tramandato il seme della ribellione.
Nel 2020, la sindaca di Parigi, Anne Hidalgo, ha ufficialmente inserito il nome di Solitude tra quelli che meritano uno spazio nel patrimonio pubblico della capitale francese, auspicando che un giorno anche le strade della République ricordino le eroine della libertà, e non solo i suoi generali.
La vicenda di Solitude non è solo un capitolo di storia coloniale, ma un paradigma universale: il coraggio senza voce, la maternità che si intreccia con la lotta, la dignità che resiste alla barbarie istituzionalizzata. In tempi in cui il dibattito sulla memoria storica e sui monumenti alle figure controverse del colonialismo è quanto mai acceso, la sua statua non divide: unisce. È la prova che, anche nel cuore della violenza, può nascere un’idea che supera la morte.
E mentre nel mondo si moltiplicano le celebrazioni del “Mese della Storia Nera”, e le proteste globali contro il razzismo istituzionale alimentano nuovi movimenti civili, la figura di Solitude torna a brillare. Non come una leggenda, ma come testimonianza concreta che anche i più invisibili possono fare la Storia.
Nel ricordo di Solitude, Guadalupa non solo conserva la memoria di una donna, ma riafferma il valore della lotta contro ogni forma di oppressione. E ci ricorda che, a volte, la più grande forma di eroismo consiste nel difendere la libertà anche quando non si ha più nulla da perdere – se non il silenzio.
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