Due rivoluzioni nate a pochi anni di distanza l’una dall’altra, entrambe animate dagli ideali di libertà, autodeterminazione e rottura con il vecchio ordine monarchico. Eppure, mentre la Rivoluzione americana generò una repubblica relativamente stabile e duratura, quella francese precipitò in un vortice di violenza, decapitazioni e terrore. La differenza non sta solo nella geografia o nella fortuna: è il cuore stesso delle due rivoluzioni ad aver battuto ritmi diversi.
La Rivoluzione americana (1775–1783) fu, in sostanza, una guerra di secessione. Le colonie nordamericane rifiutarono il controllo fiscale e politico di una madrepatria lontana — la Gran Bretagna — e, con l’appoggio decisivo della Francia, riuscirono a ottenere l’indipendenza. Ma dal punto di vista sociale e istituzionale, la rottura fu contenuta: gli uomini che guidarono la rivoluzione erano gli stessi che detenevano il potere economico e sociale prima della guerra, e lo conservarono anche dopo. Non vi fu abbattimento della gerarchia sociale: i latifondisti rimasero tali, gli schiavi rimasero schiavi, le élite continuarono a guidare. La rivoluzione fu radicale sul piano politico — l’abolizione della monarchia e la nascita di una repubblica rappresentativa — ma conservatrice sul piano sociale.
La Rivoluzione francese (1789–1799), al contrario, fu un terremoto politico e sociale. Non si trattava solo di rovesciare un re lontano, ma di abbattere un sistema millenario fondato su privilegi nobiliari, disuguaglianza legale e potere assoluto. Quando la monarchia fu abolita nel 1792, non rimase nulla di certo o stabilito: ogni istituzione doveva essere reinventata. La Francia fu scossa da un ciclo di estremismi, in cui ogni nuova fazione rivoluzionaria eliminava fisicamente la precedente. Non a caso, la ghigliottina divenne il simbolo della nuova era.
A differenza degli Stati Uniti, dove le istituzioni nacquero in un contesto relativamente stabile e condiviso da una classe dirigente coesa, la Francia rivoluzionaria vide l’ascesa e la caduta rapidissima di governi, convenzioni, comitati e direttori. Il terrore giacobino non fu un incidente di percorso, ma l’esito logico di una rivoluzione che cercava di rifondare tutto da zero. A ciò si aggiunse la minaccia esterna: l’Europa monarchica temeva il contagio rivoluzionario e invase la Francia per soffocarlo. Il paese rispose con la leva di massa e la radicalizzazione.
Fu in questo clima di disillusione e bisogno di ordine che emerse Napoleone Bonaparte. Non fu il figlio naturale della rivoluzione, ma il suo epilogo coerente: un leader forte che promise stabilità, gloria e fine dell’anarchia. E lo fece, ironicamente, restituendo alla Francia una forma di autoritarismo, pur sotto il vessillo dell’uguaglianza civile.
In breve: la rivoluzione americana fu una rottura con un’autorità esterna, mentre quella francese fu una guerra civile contro sé stessi e contro la storia. La prima ebbe successo perché non mise in discussione l’intera struttura sociale; la seconda fallì nel breve termine proprio perché osò farlo.
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