martedì 15 ottobre 2024

Napoleone e la Campagna di Russia: un genio militare tradito dalla logistica e dalla volontà imperiale

Parigi, 1812. Napoleone Bonaparte, l’uomo che aveva riscritto le regole della guerra in Europa, si preparava a marciare su Mosca alla testa di quella che veniva definita la “Grande Armée”, la più imponente forza militare mai messa in campo fino ad allora. Tre mesi dopo, quell’esercito sarebbe stato distrutto non da un generale rivale, ma dalla strategia della ritirata russa, dal gelo siberiano e da un nemico antico quanto la guerra stessa: la fame. Com’è possibile che uno dei più acuti strateghi militari della storia abbia sottovalutato un pericolo tanto prevedibile quanto l’inverno russo?

La domanda affiora regolarmente ogniqualvolta si discute del genio militare di Napoleone. Ma la risposta, come spesso accade in storia, è più complessa della caricatura scolastica che riduce tutto a una semplice “sconfitta per freddo”.

Nel giugno del 1812, Napoleone non aveva alcuna intenzione di rimanere in Russia oltre l’autunno. Il suo piano era tanto ambizioso quanto chiaro: entrare in territorio russo, infliggere una sconfitta devastante all’esercito nemico in una singola, grande battaglia campale e forzare lo zar Alessandro I a negoziare una pace favorevole. Era lo schema già applicato con successo a Ulma, Austerlitz, Jena e Wagram.

Ma lo Stato Maggiore russo, sotto l’influenza di menti fredde e lungimiranti come quella del generale Barclay de Tolly e del principe Kutuzov, rifiutò lo scontro frontale. I russi si ritirarono sistematicamente, bruciando villaggi, magazzini e raccolti dietro di sé. La campagna si trasformò in un estenuante inseguimento attraverso terre sempre più povere e devastate, in cui la Grande Armée – costituita da truppe provenienti da quasi tutta l’Europa continentale – si trovò ben presto senza rifornimenti, stremata dalla fame, dal colera e dalla diserzione.

Napoleone entrò a Mosca il 14 settembre 1812. Non trovò un avversario con cui trattare, ma una città svuotata dai suoi abitanti e in gran parte incendiata. La capitale spirituale della Russia era stata offerta in sacrificio per non cedere alla logica napoleonica della vittoria morale. Mosca era un cadavere fumante. Restare per l’inverno era impossibile: nessuna scorta, nessun rifugio, nessuna prospettiva.

Lo zar Alessandro non rispose agli inviti alla resa. Napoleone, nel frattempo, riceveva notizie allarmanti dalla Polonia, dove minacce si profilavano ai suoi fianchi e alla linea di ritirata. La decisione di ripiegare venne presa il 19 ottobre, quando le temperature iniziavano appena a scendere.

È dunque una leggenda quella secondo cui Napoleone avrebbe “marciato verso la neve”? In larga parte sì. Quando iniziò la ritirata, l’inverno russo non era ancora nel pieno delle sue forze. Il disastro fu il risultato di un logoramento accumulato nei mesi precedenti: la mancanza di viveri, la debolezza fisica dei soldati, le continue imboscate cosacche, l’assedio psicologico. Il gelo fu il colpo di grazia, ma non il carnefice principale.

In questo contesto, è errato affermare che Napoleone “sottovalutò l’inverno”. Il vero errore strategico fu un altro: sopravvalutò la propria capacità di ottenere una vittoria rapida e sottovalutò la determinazione russa a sacrificare ogni cosa pur di evitare lo scontro diretto.

Un capitolo poco noto, ma cruciale, della campagna riguarda Aleksandr Černyšëv, ufficiale dell’intelligence militare russa, che operò a lungo a Parigi prima della guerra. Černyšëv aveva ottenuto informazioni cruciali sui piani strategici dell’Imperatore francese e aveva contribuito a preparare la controstrategia russa basata su logoramento e ritirata. Dopo la guerra, fu elevato a ministro della Guerra ma, ironicamente, passò alla storia per il suo fallimento nella Guerra di Crimea. La sua figura rimane ancora oggi un enigma dimenticato della storia russa, una sorta di “James Bond” ante litteram.

Napoleone fu senza dubbio uno dei più grandi comandanti militari della storia, ma come tutti i geni umani, fu fallibile. La Campagna di Russia non fu una prova di ingenuità meteorologica, bensì un errore di valutazione strategica, amplificato dalla logistica impossibile del tempo, dalla vastità del territorio e dalla spietata lucidità dell’avversario.

Il fallimento russo fu il primo colpo mortale all’aura d’invincibilità dell’Imperatore. Un errore che pagò a caro prezzo, non solo in vite umane, ma in fiducia politica. Forse, più che il gelo, fu l’arroganza a congelare la fortuna di Bonaparte sulle rive della Beresina.


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