È uno degli episodi più oscuri della storia moderna, una sequenza di mesi in cui l’ideale di libertà si rovesciò nel suo opposto: repressione, arbitrio, sangue. Il Terrore – così è passato alla storia – fu un prodotto diretto della Rivoluzione francese, ma non fu affatto una sua inevitabile conseguenza. La sua origine affonda piuttosto nel vuoto istituzionale che seguì il crollo della monarchia e nel tentativo fallito di costruire una nuova legittimità senza fondamenti giuridici stabili. Una democrazia senza Costituzione, priva di freni, fu il terreno fertile di una degenerazione rapida e brutale.
Quando nel 1789 il popolo francese prese la Bastiglia e aprì le porte alla fine dell'Ancien Régime, si pensava di entrare in un'era di progresso, giustizia e razionalità. Ma il crollo della monarchia assoluta non fu seguito da un’immediata stabilizzazione dell’ordine repubblicano. Al contrario, tra il 1792 e il 1794, la Francia si trovò sospesa in una pericolosa intercapedine tra due mondi: quello del potere monarchico, ormai screditato e abbattuto, e quello della nuova repubblica, ancora priva di una struttura costituzionale funzionante.
La Costituzione del 1793, adottata ma mai entrata pienamente in vigore, rimase lettera morta. Il potere si accentrò invece nel Comitato di Salute Pubblica, organo esecutivo rivoluzionario che, sotto la guida di Robespierre, Danton e altri giacobini, assunse un'autorità de facto assoluta. La separazione dei poteri venne travolta dalla necessità di “salvare la rivoluzione”, il diritto venne subordinato alla morale rivoluzionaria e il sospetto divenne prova sufficiente per condannare a morte.
In assenza di un sistema giudiziario autonomo e garantista, e senza una carta costituzionale operativa, la Francia scivolò in una democrazia diretta radicalizzata e incontrollabile. In teoria, il potere era nelle mani del “popolo”; in pratica, esso era detenuto da comitati di quartiere, club giacobini e assemblee locali che si arrogavano il diritto di giudicare, condannare e giustiziare. Il principio di legalità – cardine di ogni Stato moderno – venne sospeso. I tribunali rivoluzionari erano poco più che facciate per processi sommari, dove la sentenza era spesso scritta prima ancora dell’accusa.
In molte città e villaggi, gruppi di cittadini, armati di retorica rivoluzionaria più che di prove, organizzavano vere e proprie ronde punitive. I “Comitati di sorveglianza” (o comités de surveillance) avevano il potere di arrestare chiunque fosse sospettato di opinioni controrivoluzionarie. Bastava una parola, un gesto, persino un atteggiamento ambiguo per essere trascinati via. Il processo? Una formalità, spesso saltata del tutto.
La ghigliottina, simbolo sinistro della nuova giustizia egualitaria, veniva montata nelle piazze principali. Ma anche quello era un lusso logistico: il legno, le lame, la manutenzione, i costi di trasporto. Non era raro che i condannati venissero trasportati per chilometri su carri, tra la folla urlante, in un lugubre corteo che ricordava più il sacrificio rituale che l’applicazione della legge. Il carro trainato da cavalli era l’ultimo viaggio del cittadino sospetto, colpevole o innocente che fosse.
Il Terrore non fu solo l’opera dei leader parigini; fu anche una sommossa della paura e del fanatismo che si estese a livello locale. Nelle città della Vandea, nelle province del sud, a Lione, Marsiglia, Bordeaux, esplosero controrivoluzioni spesso represse con ferocia uguale o maggiore. A Nantes, i rivoluzionari ricorsero perfino all’annegamento di massa di sospetti controrivoluzionari nel fiume Loira, un’operazione macabra nota come “le noyades de Nantes”.
Questo clima di caccia all’uomo generalizzata non fu semplicemente “un effetto collaterale” della rivoluzione, ma il risultato diretto della mancanza di un freno istituzionale. La rivoluzione francese tentò di rifondare l’ordine politico non sulla legge, ma sulla volontà generale. Ma quando quest’ultima non è contenuta da strutture giuridiche solide, degenera facilmente in arbitrio. E quando la sovranità popolare diventa strumento di vendetta, la democrazia si trasforma nel suo contrario.
Robespierre stesso, il simbolo della Virtù rivoluzionaria, finì ghigliottinato nel luglio 1794. Il Terrore divorò i suoi artefici, in una spirale autodistruttiva che segnò la fine del periodo più radicale della Rivoluzione.
Fu solo con la Costituzione dell’anno III (1795) che si tentò un ritorno alla legalità costituzionale. Ma ormai il danno era fatto. Il Terrore rimane un monito per ogni democrazia: senza garanzie, senza istituzioni, senza diritto, anche la libertà può diventare uno strumento di oppressione. E anche la voce del popolo, se non incanalata e regolata, può diventare una furia cieca.
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