sabato 16 novembre 2024

Guillaume Brune: l’ultimo eroe della Repubblica travolto dalla furia della Restaurazione

Guillaume Marie Anne Brune, Maresciallo di Francia e patriota della prima ora, cadde non sul campo di battaglia, ma sotto i colpi di una nazione ormai lacerata dalla vendetta politica e dal fanatismo restauratore. Il suo assassinio, avvenuto nell’estate del 1815, rappresenta uno dei più tragici epiloghi del Terrore bianco che infiammò la Francia dopo la disfatta di Waterloo. A distanza di oltre due secoli, la vicenda di Brune merita di essere riletta nella sua interezza: non solo per l’influenza che egli esercitò sul corso della Rivoluzione e delle guerre napoleoniche, ma anche per la brutale ingratitudine con cui la Storia gli ha chiuso il conto.

Nato nel 1763 a Brive-la-Gaillarde, figlio di un magistrato, Brune ricevette un’istruzione borghese e raffinata, culminata nello studio del diritto a Parigi. Spirito inquieto e amante delle lettere, affiancò all’apprendistato giuridico un’attività editoriale e letteraria che culminò con la pubblicazione – sotto pseudonimo – di un’opera in prosa dal titolo Voyage pittoresque et sentimental dans les provinces occidentales de la France. Ma sarà il fragore della Rivoluzione a strapparlo ai salotti per condurlo alla milizia.

Arruolatosi con entusiasmo tra i ranghi dei patrioti, Brune divenne presto capitano, imponendosi come uno dei fondatori del Club dei Cordiglieri. Fu in questi circoli radicali, assieme a figure come Jean-Paul Marat, che maturò la sua adesione piena ai principi rivoluzionari. Fu, nondimeno, proprio l’integralismo repubblicano a forgiarne la fama ambivalente: acclamato per il coraggio, temuto per l’intransigenza. Incaricato della repressione dei controrivoluzionari a partire dal 1792, Brune assolse con zelo ai compiti di polizia, mostrando una durezza che ancora oggi divide gli storici.

Le sue prime prove militari furono segnate dal fuoco della repressione interna: nel 1796, al fianco di Bonaparte, sedò con metodi feroci i moti nel sud della Francia, guadagnandosi l'odio eterno degli avignonesi. Tuttavia, sul piano strettamente militare, seppe distinguersi per valore e capacità tattica. Dopo essersi distinto sotto Massena in Italia, fu promosso generale di divisione e, nel 1798, guidò con successo la campagna di conquista della Svizzera. La sua efficienza gli valse la guida dell’Armata d’Italia e, successivamente, il comando supremo nei Paesi Bassi, dove sconfisse le truppe anglo-russe nella decisiva battaglia di Castricum (6 ottobre 1799), costringendo Londra a rinunciare all’invasione.

Ma con l’ascesa di Napoleone e la centralizzazione del potere, Brune – spirito ribelle e repubblicano convinto – divenne una figura scomoda. Fedelissimo agli ideali del 1789, accettò a fatica il nuovo ordine bonapartista. Nonostante ciò, fu nominato Maresciallo dell’Impero nel 1804, forse più come omaggio simbolico alla memoria rivoluzionaria che per reale convinzione. Emarginato dalla scena principale, fu relegato a incarichi secondari: dapprima ambasciatore a Istanbul, dove non riuscì a impressionare il sultano, poi governatore delle città anseatiche. La gloria delle grandi battaglie gli fu preclusa, e quando si ritirò a vita privata fu con l’amaro in bocca.

Nel 1815, con il ritorno di Napoleone dall’Elba, Brune tornò brevemente alla ribalta, ma non per servire l’Impero, quanto per tentare ancora una volta di riportare un fragile equilibrio fra la Francia e il suo passato rivoluzionario. Il suo proclama ai soldati, ispirato e pacificatore, fu la sua ultima testimonianza pubblica. Ma la furia della Restaurazione lo travolse. Dopo Waterloo, ormai privo di protezioni e isolato politicamente, fu assalito da una folla armata ad Avignone. Rifiutò di fuggire. «Fate pure», disse scoprendosi il petto. Guindon de la Roche, un veterano monarchico, gli sparò a bruciapelo. Il suo cadavere fu oltraggiato e gettato nel Rodano, come quello di un traditore qualunque.

Napoleone, dall’esilio di Sant’Elena, lo ricordò con queste parole: «Brune fu un eroe della Repubblica, non dell’Impero». In questa affermazione si legge l’essenza di un uomo rimasto fedele, fino all’ultimo respiro, ai princìpi di libertà e giustizia sociale per i quali aveva combattuto. Il suo nome, inciso al 14º posto sulla colonna 23 dell’Arco di Trionfo, resta uno dei pochi omaggi ufficiali a un personaggio che la Storia ha preferito dimenticare.

In un tempo in cui le democrazie moderne affrontano nuove minacce, la parabola tragica di Guillaume Brune ci ammonisce: i principi non si barattano, e la fedeltà alla coscienza è spesso più pericolosa della guerra stessa.

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