L'idea che Napoleone Bonaparte abbia “inventato” il nazionalismo è una semplificazione storica fuorviante, benché comprensibile. Più che inventore, l’imperatore francese fu catalizzatore e moltiplicatore di un fenomeno che affondava le sue radici ben prima della sua ascesa, e che avrebbe assunto forme diverse nel corso del XIX secolo. Il nazionalismo, inteso come sentimento di appartenenza collettiva a una comunità definita da lingua, cultura, territorio e storia comune, precede la parabola napoleonica e la supera in ampiezza e profondità.
Lungi dall’essere un parto esclusivo dell’età napoleonica, le prime avvisaglie del nazionalismo si intravedono già nel tardo Medioevo, quando le monarchie europee iniziano a costruire identità politiche e culturali stabili. Il Regno di Francia, la Castiglia e l’Inghilterra svilupparono forme di lealtà collettiva che avrebbero poi gettato le basi per l’idea moderna di nazione. Tuttavia, fu nel XVIII secolo, con l’Illuminismo e soprattutto con la Rivoluzione francese del 1789, che il nazionalismo trovò una cornice ideologica più solida e radicale. Il concetto di “popolo sovrano” e di “nazione” come espressione della volontà popolare scardinò i vecchi paradigmi basati sulla legittimità dinastica e sull'autorità religiosa.
Napoleone Bonaparte, salito al potere nel caos post-rivoluzionario, seppe cavalcare l’onda del patriottismo francese per legittimare il proprio impero. Ma fu anche paradossalmente l’artefice di una diffusione involontaria del nazionalismo su scala continentale. Mentre conquistava l’Europa con le sue armate, le popolazioni sottomesse assorbivano — e allo stesso tempo si ribellavano contro — i principi rivoluzionari francesi: libertà, uguaglianza, autodeterminazione. Così, ciò che era iniziato come un movimento francese si trasformò progressivamente in un fenomeno europeo. In Spagna, Germania, Polonia e Italia, il desiderio di autodeterminazione nazionale crebbe proprio in opposizione all'egemonia napoleonica.
È in questo contesto che emerge una delle figure più significative nella storia del nazionalismo europeo: Giuseppe Mazzini. Filosofo, patriota e teorico politico, Mazzini non solo articolò una visione etica e progressista della nazione, ma fu anche un instancabile attivista per l’unificazione dell’Italia. Fondatore della “Giovine Italia” e, successivamente, della “Giovine Europa”, Mazzini sognava un continente di nazioni libere, unite dalla solidarietà e dal principio repubblicano, piuttosto che da logiche imperiali o coloniali.
Il suo pensiero ebbe un’eco notevole anche oltre i confini italiani. Rifugiatosi a Londra per sfuggire alla repressione austriaca, Mazzini divenne una figura influente nell’Inghilterra vittoriana. Tra i suoi ammiratori vi furono intellettuali del calibro di Thomas Carlyle, considerato uno dei padri della sociologia moderna, il romanziere Charles Dickens, la pioniera dell’assistenza infermieristica Florence Nightingale e il poeta ribelle Algernon Charles Swinburne. In Irlanda, il movimento repubblicano che lottava contro il dominio britannico trasse ispirazione diretta dai suoi scritti e dalla sua attività rivoluzionaria.
L’eredità del nazionalismo mazziniano non si esaurisce nel Risorgimento italiano. La sua idea di una “nazione etica”, fondata non solo sulla comune appartenenza culturale ma anche su un impegno morale verso la libertà e la giustizia, rimane un punto di riferimento nel dibattito politico contemporaneo. In contrapposizione alle forme degenerative del nazionalismo — xenofobia, suprematismo, esclusione — il pensiero di Mazzini offre una visione più elevata, cosmopolita, nella quale le nazioni non si contrappongono ma collaborano in un’alleanza di popoli liberi.
Il nazionalismo moderno, insomma, è frutto di un lungo processo storico in cui Napoleone fu solo uno dei tanti protagonisti. La sua parabola, pur decisiva, si inserisce in una trama complessa fatta di rivoluzioni, resistenze, idee filosofiche e movimenti popolari. La verità storica, come sempre, è meno comoda delle leggende. E più interessante.
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