Storia di un uomo che, dal caos della Rivoluzione francese, scalò l’Olimpo monarchico europeo, trasformandosi da nemico del trono a monarca costituzionale.
Quando Jean-Baptiste Jules Bernadotte spirò l’8 marzo 1844 nel suo palazzo reale svedese, la mano del destino aveva già inciso da tempo il suo nome tra le figure più singolari della storia europea. Nato a Pau, nei Pirenei francesi, figlio di un procuratore e cresciuto nella Francia prerivoluzionaria, Bernadotte non sembrava destinato a far tremare gli imperi. Eppure, in poco più di mezzo secolo, fu soldato, rivoluzionario, maresciallo dell’Impero francese, principe di Pontecorvo e infine re di Svezia e Norvegia. La sua parabola, che sfida ogni schema storico, fu tanto straordinaria quanto emblematica di un’epoca in cui il mondo antico cedeva al nuovo, e poi, paradossalmente, si fondeva con esso.
Arruolatosi nell’esercito reale nel 1780, Bernadotte seppe farsi notare fin dai primi scontri della Rivoluzione francese grazie al suo coraggio, alla sua disciplina e alla sua imponenza fisica. Ma fu anche un ardente sostenitore delle idee giacobine, un militante della nuova Francia che si faceva largo con la spada e la legge. L’ascesa fu rapida: da sergente a generale in meno di dieci anni, un’ascesa favorita da un talento militare non comune e da un fiuto politico che, sebbene spesso ambiguo, si dimostrò straordinariamente efficace.
Durante le guerre rivoluzionarie si distinse sia sul fronte tedesco sia su quello italiano, guadagnandosi la fama di comandante affidabile e tenace. Ma fu anche in questi anni che maturò un contrasto profondo con Napoleone Bonaparte, allora astro nascente della Repubblica. Le ragioni erano tanto personali quanto politiche: Bernadotte non condivideva l’ambizione accentratrice del corso, né la sua visione dell’autorità. Eppure, nonostante attriti e sospetti — inclusa un’implicazione mai completamente chiarita in trame contro il Primo Console — fu proprio Bonaparte, nel 1804, a nominarlo maresciallo dell’Impero.
Il rapporto tra i due rimase però irrisolto. Bernadotte partecipò con onore alle campagne napoleoniche, ma rimase sempre ai margini del ristretto cerchio del potere bonapartista. La sua inclinazione all’autonomia e una certa inclinazione per la diplomazia più che per l’obbedienza cieca lo resero una figura atipica nel gotha militare dell’Impero. Nel 1809, dopo un comportamento controverso in battaglia, Napoleone lo destituì dal comando. Quello che sembrava il tramonto di una carriera divenne, invece, l’inizio di una nuova e imprevedibile ascesa.
Quell’anno, la Svezia – nazione allora travagliata da instabilità interna e dalla perdita della Finlandia – cercava un nuovo erede al trono dopo l’abdicazione forzata di re Gustavo IV Adolfo. Gli svedesi, attratti dalla fama militare e dalla reputazione di moderazione di Bernadotte, offrirono al maresciallo francese il ruolo di principe ereditario. Egli accettò, convertendosi al luteranesimo e assumendo il nome di Carlo Giovanni.
Nel giro di pochi anni, il giacobino rivoluzionario si trovò a governare come reggente del Regno di Svezia, e nel 1818 fu ufficialmente incoronato re. Non fu una figura di transizione: governò per oltre venticinque anni, consolidando l’autorità monarchica in senso costituzionale, modernizzando lo Stato e mantenendo la pace in un’Europa segnata da guerre e rivoluzioni. Ma la svolta più significativa avvenne nel 1812, quando, rompendo ogni residua lealtà nei confronti dell’Impero francese, Bernadotte guidò la Svezia nella Sesta Coalizione contro Napoleone, diventando uno dei protagonisti della campagna di Germania e della decisiva battaglia di Lipsia.
Combatté, dunque, contro i suoi ex compagni d’armi. Molti lo accusarono di tradimento, ma egli rivendicò la scelta come necessaria per gli interessi della Svezia. In effetti, sotto il suo regno, il Paese conobbe una lunga stagione di stabilità e sviluppo. Fu, a tutti gli effetti, il fondatore della moderna dinastia Bernadotte, tuttora regnante.
La storia di Jean-Baptiste Bernadotte resta, nella memoria europea, una delle più affascinanti metamorfosi della modernità. Emblema vivente dell’ascensore sociale rivoluzionario, simbolo di una mobilità senza precedenti, Bernadotte dimostrò che nella Francia post-1789 anche un borghese del sud poteva ascendere ai vertici dell’aristocrazia continentale, e perfino sedere su un trono nordico.
Ma fu anche un maestro della prudenza e della dissimulazione, capace di navigare le correnti più tempestose della politica europea senza mai naufragare del tutto. Un re senza sangue reale, un maresciallo senza esercito, un rivoluzionario che finì per difendere la monarchia: in lui si condensano tutte le contraddizioni di un’epoca in cui la Storia si faceva con la spada, ma si governava con l’intelligenza.
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