Il rispetto che Napoleone Bonaparte mostrava nei confronti dei turchi, pur avendoli sconfitti militarmente, riflette una visione strategica e culturale ben più sofisticata della semplice logica amico-nemico. Le tre citazioni che hai segnalato, tratte da "Napoleon in His Own Words" di Jules Bertaut (1916), sono tra le più attendibili e significative in relazione alla sua opinione sugli Ottomani e sulla centralità di Costantinopoli.
Vediamole nel loro contesto storico e strategico.
1. “I turchi possono essere uccisi, ma non potranno mai essere conquistati.”
Questa affermazione riflette un principio ricorrente nel pensiero napoleonico: la distinzione tra sconfiggere e dominare. Napoleone, come stratega militare e politico, comprese che la forza d’animo e la coesione culturale di un popolo sono più decisive della mera potenza bellica. Riconosceva nei turchi – in particolare nell’Impero Ottomano – un’identità storica profondamente radicata, con una struttura religiosa, amministrativa e militare che rendeva quasi impossibile la loro assimilazione da parte di un potere straniero.
Questa osservazione è in linea con il pensiero di altri contemporanei come Metternich o Chateaubriand, che, pur considerando l’Impero Ottomano “malato”, lo ritenevano tutt’altro che facilmente assimilabile dai poteri europei. Napoleone stava probabilmente anche proiettando su di loro la sua concezione di "popolo forte": non nel senso di potenza militare assoluta, ma di coesione spirituale e resistenza culturale.
2. “Chiunque possieda Costantinopoli dovrebbe governare il mondo.”
Costantinopoli rappresentava per Napoleone ciò che fu per Costantino, Maometto II e successivamente per gli zar: il cuore geopolitico e simbolico dell’Eurasia. La città era crocevia di rotte commerciali, religiose e militari, un nodo che congiungeva Europa, Asia e Medio Oriente. Possedere Costantinopoli significava, nella sua visione imperiale, detenere il controllo sul Mediterraneo orientale, sul Mar Nero e, indirettamente, su buona parte delle rotte terrestri dell’Asia Minore.
Va notato che Napoleone, nel corso della campagna d’Egitto, contemplò l’idea di spingersi verso Costantinopoli. Non era un progetto concreto, ma un’ipotesi strategica coerente con la sua idea di espansione verso l’Oriente come chiave per contrastare la superiorità navale britannica.
3. “Quando i russi si impadroniranno di Costantinopoli, potranno trattenere lì quanti musulmani vorranno...”
Questa riflessione è più fredda e pragmatica. Napoleone riconosce l’inevitabile logica imperiale delle potenze del Nord (come la Russia zarista) nel mirare a Costantinopoli. Ma è anche una riflessione sul destino dei popoli conquistati. Paragona i musulmani ottomani ai Mori di Spagna, suggerendo che ogni occupazione può, de facto, essere tollerata da chi è conquistato, ma a costo della loro identità — fino a quando un ordine politico non ne decreti l’espulsione.
È un commento impregnato di cinismo geopolitico, ma anche di realismo storico. Conosceva le ferite dell'espulsione degli arabi e dei sefarditi dalla Spagna, e prevedeva, in un certo senso, che un simile processo si potesse ripetere se la Russia si fosse imposta su Costantinopoli: una lenta erosione culturale, mascherata da tolleranza.
Napoleone parlava con rispetto dei turchi nonostante la facilità apparente con cui li sconfisse perché il suo pensiero andava ben oltre il campo di battaglia. Era perfettamente consapevole che una vittoria militare non equivaleva a una conquista politica e culturale. I turchi, nella sua visione, erano l’incarnazione di un impero decadente ma non domabile, di una potenza spirituale e organizzativa che meritava rispetto strategico, se non altro per la sua resilienza storica.
Queste citazioni, lungi dall’essere solo espressioni di ammirazione, sono strumenti per comprendere il realismo politico napoleonico. In esse si riflette una delle più lucide interpretazioni dell’Impero Ottomano nell’epoca moderna: né modello, né alleato, né nemico da disprezzare, ma un attore imprescindibile nello scacchiere globale.
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