lunedì 4 novembre 2024

Napoleone: il genio, l’uomo e i suoi lati nascosti


Parlare di Napoleone Bonaparte significa evocare l’immagine di un gigante della storia, uno stratega ineguagliabile, un legislatore rivoluzionario, un despota e un riformatore. Tuttavia, dietro il mito dell’Imperatore che cambiò l’Europa si cela un uomo pieno di contraddizioni, debolezze e abitudini insolite, alcuni aspetti dei quali sono sfuggiti alla narrazione più nota. Scavare in questi dettagli non significa sminuirne la grandezza, bensì comprenderla meglio: perché persino gli dei, come ci insegna la mitologia, sono più interessanti quando mostrano i loro difetti.

Contrariamente alla credenza popolare, Napoleone non era affatto basso. La sua altezza, stimata tra i 168 e i 170 cm, era in linea con la media dei francesi del suo tempo. L’idea del “piccolo Napoleone” fu frutto della propaganda britannica, la stessa che cercò di minarne la statura politica riducendola a un fatto fisico. Il confronto con le sue imponenti guardie imperiali, spesso di statura eccezionale, contribuì ulteriormente a perpetuare l’illusione.

Dietro la figura austera del condottiero si nascondeva anche un uomo dalle capacità artistiche alquanto limitate. Sebbene amasse la musica, Napoleone non era in grado di cantare o fischiettare correttamente. Stonava a tal punto da compromettere la melodia originale, e il suo senso del ritmo era pressoché inesistente. Era altrettanto goffo nel ballo, un dettaglio imbarazzante se paragonato all’elegante rivale Wellington, noto per la sua bravura sulla pista da ballo.

La passione per il comando non gli impediva di abbandonarsi a dipendenze singolari. Era ghiotto di liquirizia e consumava regolarmente tabacco da fiuto. In un gesto di bizzarra tenerezza, era solito offrire la liquirizia ai bambini. Non si può dire lo stesso del suo talento nei giochi di logica: era un pessimo giocatore di scacchi e carte. Celebre la sua umiliante sconfitta contro il “Turco Meccanico”, un automa scacchista, che lo fece infuriare al punto da minacciare di radere al suolo Berlino. Peggio ancora, tendeva a barare a carte e, quando scoperto, se la cavava con una risata.

Eppure, dietro questi difetti, emergevano tratti di profonda umanità. Visitando un campo di battaglia, fu colto da una crisi emotiva quando un cane gli corse incontro e lo guidò verso il cadavere del padrone. "Senza lacrime ho mandato migliaia di uomini a morire", scrisse. "Eppure un cane mi ha fatto piangere."

Grande amante dei cavalli, detestava invece i gatti, tollerandoli solo per amore dell’Imperatrice Giuseppina, che ne teneva molti. La sua avversione per i felini fu ereditata in forma acuta dal nipote Napoleone III, afflitto da una fobia conclamata.

Napoleone era anche un avido lettore. Possedeva una biblioteca portatile che lo seguiva nelle campagne militari, e si distingueva per la velocità con cui assimilava contenuti complessi. A Sant’Elena cercò persino di imparare l’inglese, anche se con scarsi risultati. Il suo “inglese” era una miscela surreale di parole francesi e fonetiche anglofone, che l’amica Betsy Balcombe definì “la lingua più strana del mondo”.

Curiosamente, Napoleone dimostrava affetto in modo piuttosto doloroso: pizzicava. Forte, e spesso sulle orecchie. Era una consuetudine familiare corsa, che manteneva in età adulta, lasciando basiti i suoi interlocutori. Nonostante l'indole focosa, disprezzava i duelli: li riteneva un inutile spreco di risorse umane e un ostacolo alla disciplina militare. Non ne proibì formalmente la pratica, ma ne scoraggiò l’uso con decisione.

Sul campo di battaglia, pur non eccellendo con la spada, era un tiratore formidabile, dote che coltivò sin da ragazzo grazie alla passione per la caccia. E se Wellington era uno schermidore elegante, Napoleone compensava con una mira letale e calcolata.

Napoleone era più corso che francese, almeno nello spirito. Parlava con un marcato accento isolano, era sensibile al freddo e prediligeva pasti semplici, da consumare con le mani. Il suo cappotto grigio, indossato con regolarità, era più un’armatura contro il freddo che una scelta estetica.

Sebbene poco religioso, era superstizioso. Evitava il numero 13, temeva il venerdì, ma credeva nei talismani e nella propria “buona stella”. Vedeva in Giuseppina un amuleto vivente, ed esitava a separarsene proprio per timore che la sorte gli voltasse le spalle.

Era un instancabile lavoratore. Dormiva poco, spesso non più di quattro ore per notte. La sua capacità di concentrazione era prodigiosa. Dettava lettere mentre si radeva o mangiava, gestiva più dossier contemporaneamente e non interrompeva mai l’attività mentale, neanche durante lunghi bagni caldi, che usava per leggere e lavorare.

Aveva un olfatto sviluppatissimo. Amava l’acqua di colonia, tanto da usarla in abbondanza e – in alcune occasioni – persino ingerirla. Questo spiega la sua celebre lettera a Giuseppina: “Non lavarti, arrivo!” – una testimonianza del suo impulso olfattivo e della chimica sensuale che li legava. Nonostante i reciproci tradimenti, il loro fu un amore intenso, passionale, autentico.

Astemio non era, ma detestava l’ubriachezza. Beveva poco e solo vino annacquato, convinto che la lucidità mentale fosse il primo dovere di un comandante. La sua grafia, tuttavia, lasciava a desiderare: tanto illeggibile da costringere i segretari a lunghe sessioni interpretative.

Le sue condizioni di salute furono peggiorate dalla sua carriera. Soffriva di disturbi gastrointestinali, emorroidi, forse epilessia, e fu ferito in battaglia più volte di quanto comunemente si creda. Ma sempre cercò di celare la sofferenza, per non apparire vulnerabile. Persino i suoi cavalli pagavano un prezzo altissimo: ne perse più di una dozzina.

Infine, Napoleone è stato una delle figure storiche più trattate dalla letteratura mondiale. Alcuni sostengono che esistano più libri su di lui che giorni trascorsi dalla sua morte. Una leggenda? Forse. Ma certo è che, come pochi altri uomini della storia, Napoleone continua ad affascinare per ciò che ha fatto… e per ciò che era. Un uomo prima ancora che un imperatore.





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