Guerre napoleoniche
è il termine usato per definire
l'insieme delle guerre combattute in Europa nel periodo in cui
Napoleone Bonaparte governò la Francia. Furono in parte
un'estensione delle guerre rivoluzionarie innescate dalla rivoluzione
francese e continuarono durante tutto il Primo Impero francese.
Non esiste un consenso unanime nello
stabilire quando si possano ritenere concluse le guerre
rivoluzionarie francesi e cominciate quelle riconducibili a Napoleone
Bonaparte. Una data possibile di inizio di queste ultime è il 9
novembre 1799, giorno in cui Bonaparte salì al potere in Francia con
il colpo di Stato del 18 brumaio. La data di inizio usata più
comunemente è il 18 maggio 1803, in occasione della rinnovata
dichiarazione di guerra tra Gran Bretagna e Francia, dopo le
reciproche accuse di violazione degli accordi sanciti con il trattato
di Amiens, evento che pose termine all'unico periodo di pace
generalizzata in Europa tra il 1792 e il 1814. Un'ultima data di
inizio proposta è il 2 dicembre 1804, giorno nel quale Napoleone si
incoronò imperatore. Le guerre napoleoniche ebbero termine dopo la
disfatta finale di Napoleone nella battaglia di Waterloo il 18 giugno
1815 e il secondo Trattato di Parigi.
Il periodo che va dal 20 aprile del
1792 al 20 novembre 1815 viene anche indicato con il termine di
"grande guerra francese".
Gli eventi della rivoluzione francese,
e le mire espansionistiche avviate dal nuovo governo francese,
avevano molto allarmato le principali potenze europee, timorose che
gli effetti della rivoluzione si potessero estendere anche ai loro
stati; a seguito della dichiarazione di guerra della Francia al Sacro
Romano Impero Germanico del 20 aprile 1792, Austria, Prussia, Gran
Bretagna, Spagna, Portogallo, Regno di Sardegna e Regno di Napoli
diedero vita alla prima coalizione antifrancese, e la neonata
Repubblica si ritrovò assalita su tutti i fronti. La guerra ebbe un
andamento altalenante: dopo una serie di insuccessi iniziali,
l'esercito francese passò al contrattacco ed inflisse numerose
sconfitte ai coalizzati; il vecchio esercito regio, composto di
soldati professionisti, venne rimpiazzato con un'armata composta da
coscritti, ed il Direttorio (l'organo di vertice istituito dopo il
regime del Terrore) scatenò una guerra totale contro le potenze
europee. Nel giro di pochi anni, la Francia si annetté i Paesi Bassi
austriaci e la Renania, invase le Province Unite e le trasformò in
uno stato fantoccio (la Repubblica Batava), obbligò la Prussia ad
uscire dal conflitto e convinse la Spagna a passare dalla sua parte;
una serie di violente rivolte realiste in Vandea vennero
selvaggiamente domate tra il 1793 ed il 1796.
Durante la guerra della prima
coalizione, si mise rapidamente in luce un giovane ufficiale
d'artiglieria di origine corsa, in forza all'esercito rivoluzionario
francese: Napoleone Bonaparte. Dopo essersi distinto nell'assedio di
Tolone e nella repressione dell'Insurrezione del 13 vendemmiaio, il
giovane Napoleone si vide assegnare il comando dell'Armata d'Italia
il 2 marzo 1796, con il compito di invadere la penisola e
assoggettarla alla Francia. Con una rapida azione, l'armata di
Napoleone valicò le Alpi ed in un mese sconfisse ripetutamente le
forze congiunte dell'Austria e del Regno di Sardegna, obbligando
quest'ultimo a chiedere la pace e a ritirarsi dal conflitto
nell'aprile del 1796; neutralizzato uno dei nemici della Francia,
Napoleone si gettò quindi sugli austriaci, infliggendo loro una
sconfitta dietro l'altra nelle battaglie di Lodi (10 maggio 1796), di
Arcole (17 novembre 1796) e di Rivoli (15 gennaio 1797). Obbligata
alla resa la piazzaforte austriaca di Mantova, l'Armata d'Italia
invase quindi il Tirolo, arrivando
a minacciare Vienna; fu Napoleone stesso, scavalcando il Direttorio,
a negoziare il successivo trattato di Campoformio il 17 ottobre 1797,
con cui obbligò l'Austria a ritirarsi dalla coalizione e a
riconoscere lo stato fantoccio instaurato dai francesi nel Nord
Italia, la Repubblica Cisalpina.
Con l'Austria fuori dal conflitto, solo
la Gran Bretagna rimaneva in armi contro la Francia; riconoscendo
l'impossibilità di un attacco diretto a causa della superiorità
della Royal Navy britannica sulla disastrata flotta francese,
Napoleone consigliò il Direttorio di inviare la sua armata alla
conquista dell'Egitto, onde portare la minaccia ai collegamenti con
la più importante delle colonie britanniche, l'India. Il 2 luglio
1798 i francesi sbarcarono ad Alessandria d'Egitto, ed in breve tempo
si assicurarono il controllo del paese; tuttavia, nella notte tra il
1º ed il 2 agosto seguente, la flotta francese subì una disastrosa
sconfitta nella battaglia del Nilo ad opera dell'ammiraglio
britannico Horatio Nelson, e l'armata di Napoleone si ritrovò così
isolata e in balia del nemico.
La situazione volgeva contro la Francia
anche in Europa: ai primi di gennaio del 1799 si formò una seconda
coalizione antifrancese, che riuniva Gran Bretagna, Austria, Russia,
Regno di Napoli ed Impero ottomano. Le truppe della coalizione
iniziarono una serie di offensive contro i francesi in Egitto, in
Germania, in Svizzera e soprattutto in Italia, dove un grosso
esercito austro-russo guidato dal feldmaresciallo Suvorov colse un
successo dopo l'altro, cancellando in pochi mesi tutte le conquiste
fatte da Napoleone; in aggiunta a ciò, la Francia si trovava in
bancarotta ed i partiti monarchici andavano acquisendo sempre più
popolarità. Informato della gravità della situazione, Napoleone
lasciò in gran segreto il suo esercito in Egitto, ed il 9 ottobre
1799 rientrò in Francia, accolto entusiasticamente dalla
popolazione. Avverso ad ogni politica di pace, il 9 novembre seguente
il generale, grazie all'appoggio datogli dai membri del Direttorio
Ducos e Sieyès, condusse un colpo di Stato militare (il cosiddetto
"Colpo di Stato del 18 brumaio") che portò all'abolizione
del Direttorio stesso ed all'istituzione del regime del Consolato;
facendosi nominare primo console, Napoleone era ora di fatto il
padrone politico della Francia.
La situazione militare andava intanto
migliorando: sul finire del 1799, il maresciallo Suvorov era stato
costretto a ritirarsi ed abbandonare la Svizzera dopo la seconda
battaglia di Zurigo vinta dal generale Andrea Massena, mentre
l'invasione anglo-russa dell'Olanda si era conclusa con una pesante
disfatta per i coalizzati; alla luce di queste sconfitte e dei
continui dissidi con gli alleati britannici e austriaci, lo zar Paolo
I decise di ritirarsi unilateralmente dall'alleanza, lasciando la
sola Austria a confrontarsi con i francesi sul continente. Napoleone
riorganizzò rapidamente le forze francesi e, affidato al generale
Moreau il compito di trattenere gli austriaci in Germania, condusse
l'Armata di riserva in Italia contro le forze del generale Melas.
Atteso al passo del Moncenisio, valicò invece le Alpi al passo del
Gran San Bernardo il 24 maggio 1800, e costrinse alla resa il Forte
di Bard con un attacco a sorpresa.
Dopo aver catturato Milano senza
combattere, l'armata di Napoleone affrontò gli austriaci nella
battaglia di Marengo il 14 giugno seguente: la battaglia iniziò male
per i francesi, ed avrebbe potuto trasformarsi in una disfatta per
Napoleone se nel pomeriggio non fossero sopraggiunti i rinforzi
capitanati dal generale Louis Desaix; la sua furiosa carica contro
l'ala destra austriaca provocò la rotta dell'armata di Melas, anche
se lo stesso Desaix rimase ucciso nelle fasi finali della battaglia.
Sebbene non decisiva ai fini del conflitto, la vittoria dei francesi
a Marengo obbligò gli austriaci ad abbandonare per la seconda volta
l'Italia. Il 3 dicembre 1800, il generale Moreau ottenne finalmente
una vittoria decisiva sugli austriaci nella battaglia di Hohenlinden;
ormai allo stremo, il 9 febbraio 1801 l'Austria si ritirò dal
conflitto con la firma del trattato di Lunéville.
Solo la Gran Bretagna (diventata, dal
1º gennaio 1801 "Regno Unito di Gran Bretagna ed Irlanda")
rimaneva in armi contro la Francia. Una spedizione militare
britannica riuscì a costringere alla resa le residue forze francesi
in Egitto sul finire dell'agosto del 1801, ma i britannici non
disponevano di forze di terra sufficienti per insidiare il controllo
francese sul continente; al tempo stesso, però, la netta superiorità
acquisita dalla Royal Navy sul mare, ulteriormente rafforzata dopo la
vittoria sulla flotta danese nella battaglia di Copenaghen (2 aprile
1801), precludeva ai francesi qualsiasi ipotesi di invasione delle
isole britanniche: con circa 600 navi da guerra di vario genere che
bloccavano con delle squadre di dimensioni variabili ogni base navale
o porto di una certa importanza del territorio francese o da loro
occupato, la flotta britannica impediva praticamente qualsiasi
rifornimento o movimento della flotta avversaria e financo le più
semplici operazioni di addestramento in mare, e contemporaneamente
scortava imponenti convogli mercantili che rifornivano e
trasportavano gli eserciti alleati impegnati nelle operazioni contro
la Francia. Stante questa situazione di equilibrio, ai due
contendenti non restò altro che la via dei negoziati; il 25 marzo
1802 venne quindi firmato il trattato di Amiens, che sanciva la
conclusione delle ostilità.
La pace di compromesso sancita ad
Amiens lasciava scontenti entrambi i contendenti, che ben presto si
rinfacciarono reciprocamente violazioni del trattato: da un lato,
Napoleone influenzò pesantemente le elezioni tenutesi nella
Repubblica Batava, oltre a farsi eleggere (con un vero e proprio
diktat) presidente della Repubblica Italiana; dall'altro lato, il
Regno Unito era riluttante a cedere la strategica isola di Malta per
restituirla ai suoi precedenti proprietari, i Cavalieri Ospitalieri.
La situazione si fece progressivamente insostenibile, ed il 18 maggio
1803 il Regno Unito dichiarò formalmente guerra alla Francia, dando
così inizio alle "guerre napoleoniche" vere e proprie.
Napoleone aveva impiegato il tempo
concessogli dalla temporanea tregua con il Regno Unito per rinforzare
il suo controllo politico sulla Francia: il 18 maggio 1804 il Senato
proclamò ufficialmente la costituzione dell'Impero francese, e
Napoleone stesso si autoincoronò imperatore il 2 dicembre seguente,
dopo essersi riappacificato con il Papa Pio VII grazie al concordato
del 1801. Il nuovo scontro con il Regno Unito inizialmente si
concretizzò in una serie di azioni navali, ma per la metà del 1804
Napoleone ammassò un'armata di 150.000 uomini a Boulogne, in vista
di un'invasione delle isole britanniche; per attraversare il canale
della Manica, tuttavia, era necessario allontanare da esso le navi
della Royal Navy, e per tale ragione il neo-imperatore elaborò un
complesso piano per attirare verso ovest la flotta britannica.
Il 30 marzo 1805, eludendo il blocco
britannico, l'ammiraglio Villeneuve lasciò Tolone con una parte
della flotta francese, e, dopo aver agganciato uno squadrone di navi
spagnole alleate al largo delle coste iberiche, si diresse verso le
Antille. Una volta in zona, l'ammiraglio doveva ricongiungersi con
una seconda squadra salpata da Brest e minacciare le locali colonie
britanniche, al fine di attirarvi le navi della Royal Navy; fatto
questo, la squadra franco-spagnola avrebbe riattraversato
l'Atlantico, sgombrato la Manica e protetto l'attraversamento
dell'armata francese. Villeneuve raggiunse la Martinica il 12 maggio,
ma non vi trovò lo squadrone di Brest, rimasto bloccato dai
britannici; informato dell'arrivo in zona della flotta
dell'ammiraglio Nelson, Villeneuve salpò alla volta dell'Europa il 9
giugno, sempre inseguito dai britannici. Al suo rientro nelle acque
europee, il 21 luglio Villeneuve venne coinvolto in uno scontro
violento ma non decisivo con uno squadrone britannico al largo di
Capo Finisterre, e decise di ripiegare verso i porti spagnoli;
contravvenendo alle istruzioni di Napoleone, l'ammiraglio si diresse
a sud verso il porto di Cadice, dove rimase assediato dalla squadra
di Nelson nel frattempo sopraggiunta.
L'imbottigliamento della flotta di
Villeneuve comportò l'abbandono del piano di invasione delle isole
britanniche, anche perché nuovi sviluppi stavano avendo luogo sul
continente. L'instaurazione del regime imperiale aveva destato forti
preoccupazioni nelle corti europee, timorose che ciò fosse il
preludio ad una nuova fase di espansione francese; i rapporti sempre
tesi tra Francia ed Austria peggiorarono decisamente dopo la
decisione di Napoleone di incoronarsi sovrano del neo-costituito
Regno d'Italia, mentre il nuovo zar russo Alessandro I mostrava un
atteggiamento ostile nei confronti dell'imperatore. Dopo lunghe
negoziazioni e grazie alla mediazione del primo ministro britannico
William Pitt, nell'aprile del 1805 Regno Unito, Austria, Russia e
Regno di Napoli diedero vita alla terza coalizione antifrancese, ed
iniziarono ad ammassare le forze in vista dell'imminente conflitto.
Le ostilità vennero aperte
dall'Austria: il 10 agosto 1805, un esercito austriaco sotto il
generale Mack invase la Baviera, alleata dei francesi, e si attestò
nei pressi di Ulma, in attesa dell'arrivo dei russi del generale
Kutuzov in lenta avanzata da est; Napoleone reagì rapidamente a
questa minaccia, ed il 25 agosto i primi reparti francesi lasciarono
Boulogne alla volta della Germania meridionale. L'esercito francese
era stato profondamente riorganizzato durante il periodo di pace:
invece di essere divise in più armate indipendenti come ai tempi
della rivoluzione, le truppe francesi erano ora riunite in un'unica
Grande Armée sotto il diretto controllo di Napoleone; unità
operative fondamentali erano i Corpi d'armata, comandati da un
Maresciallo o da un generale superiore, e comprendenti tutte le armi
(fanteria, cavalleria ed artiglieria): ciascun corpo d'armata, la cui
composizione non era mai fissa ma poteva mutare a seconda delle
circostanze richieste, era una sorta di esercito in miniatura, capace
di contenere da solo un avversario in attesa dell'arrivo di ulteriori
forze. Marciando separatamente ma in maniera strettamente coordinata,
i sette corpi d'armata francesi piombarono inaspettatamente sulle
forze di Mack da nord, aggirarono il loro fianco destro ed
accerchiarono l'armata austriaca, obbligandola alla resa il 20
ottobre; in due settimane, senza mai doversi impegnare in battaglie
di vaste proporzioni e perdendo solo 2.000 uomini, Napoleone aveva
costretto alla resa la principale armata austriaca, prendendo quasi
60.000 prigionieri.
Il successo di Ulma era stato netto, ma
pochi giorni dopo la grande vittoria Napoleone ricevette pessime
notizie provenienti dalla Spagna: il 21 ottobre, durante un maldestro
tentativo di lasciare Cadice, Villeneuve era stato ingaggiato dalla
flotta di Nelson e pesantemente sconfitto nella battaglia di
Trafalgar; nonostante lo stesso Nelson fosse rimasto ucciso, la
flotta franco-spagnola era uscita semidistrutta dallo scontro,
lasciando così la Royal Navy padrona dei mari ancora una volta.
In aggiunta a ciò, l'armata di
Kutuzov era riuscita ad eludere l'inseguimento dei francesi ed a
ritirarsi in Boemia, dove si ricongiunse con ulteriori forze russe
giunte in rinforzo;
la
Grande Armée
fu così costretta ad inoltrarsi
nelle regioni interne dell'impero austriaco, distaccando numerose
forze per proteggere le sue fragili linee di comunicazione. Il 2
dicembre 1805 i due eserciti si affrontarono nella battaglia di
Austerlitz: nonostante l'inferiorità numerica, i francesi
arrestarono gli attacchi degli austro-russi contro il loro fianco
destro, quindi sfondarono al centro con un attacco di sorpresa e
presero alle spalle l'ala sinistra nemica che venne quasi distrutta.
L'armata dei coalizzati uscì duramente sconfitta dalla battaglia,
con la perdita di 27.000 uomini tra morti e prigionieri, contro la
perdita di 9.000 uomini in campo francese.
La battaglia di Austerlitz decise in
pratica l'esito del conflitto: il 4 dicembre, stremata dalle
sconfitte, l'Austria chiese ed ottenne un armistizio, preludio alla
firma del trattato di Pressburg il 26 dicembre seguente: gli
austriaci lasciarono la coalizione, cedendo il Veneto al Regno
d'Italia ed il Tirolo alla Baviera.
Napoleone confidava che il chiaro
successo di Austerlitz potesse portare ad un trattato di pace
generale, ma le sue speranze rimasero ben presto deluse: il nuovo
primo ministro britannico lord Grenville rifiutò ogni accordo, e lo
stesso fece lo zar Alessandro. Con la Russia ancora in armi contro la
Francia, la preoccupazione principale di Napoleone divenne quella di
costituire un cordone sanitario per difendere i confini francesi; la
sconfitta dell'Austria aveva provocato un vuoto di potere in
Germania, vuoto che venne colmato dai francesi: il 12 luglio 1806
venne costituita la Confederazione del Reno, riunendo sotto un unico
organismo strettamente controllato dalla Francia tutte le nazioni
tedesche più importanti. Con il fratello Luigi Bonaparte saldamente
insediato sul trono dei Paesi Bassi ed il figliastro Eugenio di
Beauharnais su quello d'Italia, i confini della Francia erano ora
protetti contro un attacco russo da est.
L'accresciuta egemonia della Francia
sulla Germania aveva provocato forti proteste in Prussia: la nazione
aveva ricevuto come compensazione il territorio dell'Hannover,
strappato dai francesi al Regno Unito, ma ciò nonostante numerosi
esponenti della classe militare prussiana si dicevano pronti ad un
confronto con la Francia per il controllo degli stati tedeschi. Il re
Federico Guglielmo III di Prussia, come d'altronde il comandante
dell'esercito Carlo Guglielmo duca di Brunswick, propendeva per la
neutralità, ma il "partito della guerra" raccoglieva
sempre più consensi presso la corte e l'opinione pubblica del paese.
Il 7 agosto 1806 il re prese quindi la decisione di entrare in guerra
contro la Francia: un trattato di alleanza venne rapidamente
stipulato tra Prussia, Regno Unito, Russia e Svezia, dando così vita
alla quarta coalizione; il 10 agosto l'esercito prussiano venne
mobilitato, ed entro la fine del mese la Prussia invase il confinante
Elettorato di Sassonia, al fine di tenerlo fuori dalla Confederazione
del Reno ed obbligarlo ad entrare nella coalizione anti-francese.
Inizialmente Napoleone era riluttante
ad impegnarsi in guerra contro la Prussia, in quanto credeva che i
titubanti prussiani non avrebbero mai commesso la "follia"
di attaccarlo senza un massiccio supporto dei russi; solo il 6
settembre le riserve francesi vennero richiamate, mentre le truppe
acquartierate in Germania vennero messe in stato d'allerta il 10
settembre. Per il 15 settembre, Napoleone aveva preso la decisione
definitiva: davanti alla conferma dell'invasione prussiana della
Sassonia, l'imperatore dispose il concentramento della sua armata per
l'imminente campagna. Nell'arco di 48 ore, l'imperatore dettò non
meno di 120 ordini separati, facendo affluire i diversi corpi della
Grande Armée
dalla Francia e dalla Germania
meridionale verso la zona compresa tra Würzburg ed Amberg, ai
confini della Sassonia; per il 5 ottobre, 180.000 soldati francesi
erano pronti a muovere. Il 2 ottobre Napoleone arrivò al quartier
generale di Würzburg, dove il 7 ricevette un ultimatum prussiano con
cui gli veniva ingiunto di ritirare le sue truppe dalla Germania; per
tutta risposta, l'8 ottobre l'esercito francese entrò in Sassonia.
Nonostante avesse un mese di vantaggio
sulla preparazione militare rispetto ai francesi, l'alto comando
prussiano non aveva un piano di battaglia definito: i rapporti tra
gli ufficiali superiori erano minati da ambizioni e rivalità
personali, mentre la mancanza anche di un embrione di stato maggiore
non faceva che aggravare la già caotica situazione. Al contrario,
Napoleone aveva pronto un piano per la campagna già per la fine di
settembre: divisa in tre colonne, la
Grande Armée
avrebbe aggirato il fianco destro
del nemico marciando attraverso la catena di colline del Thüringer
Wald, incuneandosi tra i prussiani e l'esercito russo in lenta
avanzata da est; anche se non aveva una precisa idea della
disposizione delle truppe prussiane, Napoleone contava di battere le
truppe del duca di Brunswick in una battaglia decisiva a sud
dell'Elba, prima di marciare direttamente su Berlino. Le truppe
francesi si misero in marcia la mattina dell'8 ottobre, ed in appena
72 ore si portarono saldamente oltre il Thüringer Wald; il duca di
Brunswick reagì a questa manovra cercando di concentrare le disperse
truppe prussiane tramite un ripiegamento dietro il fiume Saale in
direzione di Erfurt.
Dopo aver continuato a marciare verso
nord, tra il 12 ed il 13 ottobre Napoleone, informato del
ripiegamento verso la Saale dei prussiani, fece compiere all'intero
esercito una conversione di 90° verso ovest, manovra difficile che
riuscì perfettamente. L'imperatore era ora convinto che il grosso
dell'esercito prussiano si trovasse a nord di Erfurt presso Jena, e
si preparò al combattimento per il giorno seguente; al maresciallo
Davout, comandante del III Corpo che, per effetto della conversione a
90°, si trovava ora all'ala destra dell'armata, venne ordinato di
muovere in direzione di Naumburg, a nord di Jena, per tagliare la via
di ritirata ai prussiani. In realtà, le truppe avvistate a Jena
erano la retroguardia dell'esercito prussiano, capitanata dal
principe Hohenlohe; il grosso delle forze prussiane si trovava più a
nord, presso Auerstädt, proprio sulla linea d'avanzata del III Corpo
di Davout.
La mattina del 14 ottobre 1806, i
90.000 francesi di Napoleone affrontarono i 50.000 prussiani e
sassoni di Hohenlohe e, dopo dieci ore di lotta serrata, inflissero
loro una dura sconfitta nella battaglia di Jena; la carica finale
della cavalleria francese del maresciallo Murat trasformò la
ritirata prussiana in una rotta. Il successo di Napoleone era stato
netto, ma fatti altrettanto importanti erano avvenuti quello stesso
giorno otto miglia più a nord, ad Auerstädt: qui i 33.000 uomini di
Davout affrontarono i 63.000 uomini dell'armata principale prussiana
del duca di Brunswick; dopo aver respinto diversi pesanti assalti i
francesi passarono al contrattacco, ricacciando indietro i prussiani
ed infiggendo loro numerose perdite, tra cui lo stesso duca di
Brunswick, mortalmente ferito alla testa. Proprio la perdita del
comandante fece sì che la ritirata prussiana non si svolgesse con
ordine, ed i resti dell'esercito si frammentarono in vari
distaccamenti. La doppia sconfitta a Jena ed Auerstädt era costata
gravi perdite alle forze prussiane, ma lo spietato inseguimento messo
in atto dai francesi nelle tre settimane seguenti portò al loro
totale annientamento: il 16 ottobre Murat catturò 14.000 dispersi
prussiani ad Erfurt, il 17 ottobre la riserva del duca di
Württemberg, l'unica formazione prussiana rimasta intatta, venne
sconfitta dal maresciallo Bernadotte ad Halle, ed il 28 ottobre
Hohenlohe si arrese con i resti dell'armata principale a Prenzlau.
Dopo aver reso omaggio alla tomba di
Federico II il Grande a Potsdam, Napoleone fece il suo ingresso a
Berlino il 27 ottobre, alla testa del III Corpo del maresciallo
Davout; con la resa del generale Blücher a Lubecca il 7 novembre, e
del generale von Kleist a Magdeburgo il 10 novembre, l'annientamento
dell'esercito prussiano poteva dirsi completo: a parte le guarnigioni
delle fortezze della Slesia, ben presto tagliate fuori ed assediate
dai francesi, le uniche forze prussiane superstiti erano i 15.000
uomini del generale L'Estocq, dislocati in Prussia Orientale e non
ancora impiegati in combattimento. In 33 giorni, con una sorta di
"guerra lampo"
ante litteram, la
Grande Armée
aveva vinto due battaglie
decisive, ucciso o ferito 20.000 prussiani, fatto 140.000 prigionieri
e conquistato i quattro quinti della Prussia.
Sebbene nettamente vittorioso sul campo
di battaglia, Napoleone non riuscì ad ottenere la cessazione delle
ostilità: Federico Guglielmo, rifugiatosi con la corte a Königsberg,
rifiutò qualsiasi accordo di pace, l'esercito russo costituiva
ancora una minaccia concreta alle recenti conquiste francesi, ed il
Regno Unito continuava a fornire appoggio finanziario a chiunque
fosse disposto a contrastare i disegni espansionistici della Francia.
Proprio per provocare un crollo dell'economia britannica, il 21
novembre Napoleone dispose da Berlino la costituzione del sistema
denominato "Blocco Continentale": alle navi britanniche (o
neutrali ma provenienti da porti britannici) era fatto divieto di
attraccare nei porti europei, pena la confisca del carico; nelle
intenzioni di Napoleone, il sistema del blocco avrebbe impedito gli
scambi commerciali del Regno Unito, provocando così un drammatico
crollo della sua economia.
La preoccupazione principale per
Napoleone nel novembre del 1806 rimaneva però quella di annientare
l'esercito russo schierato in Polonia, al fine di pervenire ad un
accordo di pace vantaggioso con lo zar; nonostante l'inverno fosse
ormai cominciato, Napoleone decise di spingersi in profondità nelle
pianure polacche, onde guadagnare un vantaggio strategico sui russi e
sperando di batterli con una nuova campagna lampo. La decisione di
intraprendere una campagna invernale provocò infiniti disagi alle
truppe francesi. Il consueto sistema con cui la Grande Armée veniva
rifornita di viveri e vettovaglie consisteva in una combinazione di
ricerca sul territorio (che spesso finiva per trasformarsi in un
semplice saccheggio) e trasporto militare tramite carri; entrambi
questi sistemi andarono in crisi durante la campagna polacca: il
territorio era troppo povero perché potesse fornire viveri in
abbondanza, mentre il sistema di trasporto tramite carri, che già
prima non era mai stato molto efficiente, andò completamente in tilt
a causa del pessimo stato delle strade. Fu proprio il loro fallimento
nella campagna polacca a spingere Napoleone ad intraprendere una
vasta riforma dei servizi logistici della Grande Armée : il
vecchio sistema, basato (come nella maggioranza degli eserciti
europei) più che altro su appalti a civili, venne abolito e
sostituito con una struttura completamente militarizzata, il Train
des Equipages, parte integrante dell'esercito e responsabile in
toto dei movimenti tramite carri.
La campagna polacca ebbe inizio nella
seconda metà di novembre del 1806: dopo aver occupato senza
combattere la capitale Varsavia il 28 novembre, Napoleone spinse le
sue truppe oltre la Vistola a caccia dell'armata russa del generale
Levin Bennigsen; francesi e russi finirono per scontrarsi nelle
battaglie di Pułtusk e di Golymin il 26 dicembre: le forze russe
riuscirono a respingere gli attacchi dei francesi infliggendo loro
gravi perdite, salvo poi decidere di ritirarsi al calare della notte.
Il tentativo di Napoleone di annientare l'esercito russo con una
rapida battaglia decisiva venne così sventato. Sul finire di
dicembre, i francesi si disposero quindi nei quartieri invernali in
attesa di riprendere la campagna con la bella stagione, ma Napoleone
fu costretto a mobilitare ancora una volta il suo esercito verso la
fine del gennaio 1807: non volendo rimanere inattivo per tutto
l'inverno, Bennigsen aveva condotto un'incursione contro gli
avamposti della Grande Armée , sperando di annientare qualche
reparto rimasto isolato.
Napoleone cercò di accerchiare le
truppe russe, ma Bennigsen si sottrasse alla trappola ripiegando
verso nord; dopo alcune violente scaramucce, i due eserciti si
affrontarono nella battaglia di Eylau, iniziata nel pomeriggio del 7
febbraio e conclusasi la sera dell'8. Combattuta nel bel mezzo di una
tempesta di neve, la battaglia si concluse con un sanguinosissimo
nulla di fatto: gli assalti francesi iniziali vennero respinti, e
solo una disperata carica della cavalleria di Murat e della Guardia
imperiale impedirono ai russi di sfondare il centro della
Grande Armée; l'arrivo dei
prussiani di L'Estocq equilibrò di nuovo la situazione, ed al calare
della notte Bennigsen si ritirò.
Spossati per il duro scontro, i due eserciti si ritirarono nei
quartieri invernali, per poi riprendere le operazioni ai primi di
giugno del 1807; Napoleone tentò di incunearsi tra L'Estocq a
sinistra e Bennigsen a destra, al fine di isolare quest'ultimo dalla
base di Königsberg. Francesi e russi tornarono ad affrontarsi il 10
giugno nella battaglia di Heilsberg, ma ancora una volta il
sanguinoso scontro si risolse con un nulla di fatto[54]. Napoleone
continuò nella sua azione, ed il 14 giugno Bennigsen commise un
grave errore: nel tentativo di attaccare le isolate truppe del
maresciallo Lannes, rimase intrappolato tra i francesi ed il fiume
Alle, subendo una dura sconfitta nella battaglia di Friedland. Con il
suo esercito semidistrutto, Bennigsen non poté fare altro che
ripiegare dietro il fiume Niemen; la sconfitta di Friedland aveva
convinto lo zar a porre fine alla campagna, ed il 21 giugno un
armistizio preliminare venne concluso tra i due eserciti.
Il 25 giugno lo zar Alessandro I e
Napoleone si incontrarono di persona a Tilsit per discutere della
pace, con il re Federico Guglielmo III ridotto ad un ruolo marginale;
il trattato di Tilsit firmato il 7 luglio 1807 pose termine alla
guerra della quarta coalizione: in cambio dell'adesione al sistema
del blocco continentale e della dichiarazione di guerra al Regno
Unito, la Russia vide riconosciute le sue pretese egemoniche su
Svezia ed Impero ottomano; di fatto, il trattato di Tilsit definì
una sfera d'influenza occidentale controllata dalla Francia, ed una
sfera d'influenza orientale sotto la Russia. Il trattato di pace tra
Prussia e Francia, firmato sempre a Tilsit il 9 luglio, fu molto più
severo: i prussiani dovettero cedere tutti i loro possedimenti ad
ovest del fiume Elba (incorporati in maggior parte dal Regno di
Vestfalia, stato fantoccio della Francia) ed in Polonia (con cui
venne creato un Ducato di Varsavia alleato dei francesi), oltre a
consegnare Białystok alla Russia; la Prussia venne inoltre costretta
ad aderire al blocco continentale, a pagare una pesante indennità di
guerra, ed a ridurre considerevolmente l'ammontare delle sue forze
armate, venendo così ridotta all'impotenza per diversi anni.
Con l'Europa continentale ormai
assoggettata alla Francia, Napoleone tornò a dedicare la sua
attenzione al confronto con il Regno Unito. In particolare, il
sistema del blocco continentale, su cui l'imperatore molto aveva
puntato, non stava dando i suoi frutti: il divieto di commerciare con
i britannici non era applicato con severità, il contrabbando era
molto diffuso anche nella stessa Francia, e diversi stati europei si
rifiutavano di adottare le disposizioni sancite con i decreti di
Berlino. In aggiunta a ciò, il contro-blocco messo in atto come
ritorsione dai britannici aveva provocato una grave penuria di
materie prime in Europa, vista l'indiscussa superiorità della Royal
Navy sulla marina francese; tale superiorità era stata ulteriormente
rafforzata dopo la cattura della flotta danese al termine della
seconda battaglia di Copenaghen (5 settembre 1807). Con in mente
l'obiettivo di rafforzare il sistema del blocco, sul finire del 1807
Napoleone concentrò la sua attenzione sul Portogallo: storico
alleato del Regno Unito, il paese cercava di mantenere una precaria
neutralità nel conflitto in corso, ma si era rifiutato di applicare
le disposizioni del blocco continentale. Il 18 ottobre 1807, solo
quattordici settimane dopo la battaglia di Friedland, un'armata
francese agli ordini del generale Jean-Andoche Junot entrò in
Spagna, già da tempo alleata della Francia, dirigendosi verso la
frontiera portoghese; il 30 novembre seguente i francesi, ostacolati
più che altro dal terreno impervio e dal clima avverso, presero
Lisbona, mentre il re Giovanni VI fuggiva alla volta della colonia
del Brasile. Junot fu nominato governatore, ed il paese venne
assoggettato ad un duro regime di occupazione militare: l'esercito
venne sciolto, le proprietà della famiglia reale portoghese
confiscate, ed un pesante tributo imposto alla popolazione civile;
truppe spagnole si aggiunsero alla forza d'occupazione francese, in
vista della spartizione del Portogallo tra queste due nazioni.
Con la scusa di fornire appoggio a
Junot, un secondo esercito francese sotto il comando del maresciallo
Murat venne stanziato in Spagna, andando ben presto ad occupare le
località chiave della nazione, compresa la capitale Madrid. Il paese
si trovava in una situazione di profonda instabilità, dilaniato
dalla lotta per il potere tra il re Carlo IV ed il figlio, il futuro
Ferdinando VII; approfittando della situazione, Napoleone obbligò i
due sovrani ad abdicare il 6 maggio 1808 nei suoi confronti, ed il 6
giugno seguente consegnò la corona di Spagna al fratello Giuseppe
Bonaparte.
Le prepotenze e le sopraffazioni
da parte dei francesi avevano già provocato una grande sommossa a
Madrid il 2 maggio, duramente repressa da Murat con cariche di
cavalleria nelle strade e massiccio ricorso alla fucilazione di
prigionieri; alla notizia dell'incoronazione di Giuseppe come nuovo
re di Spagna, percepita come imposizione di un monarca straniero,
tutta la nazione insorse contro i francesi, subito imitata anche dai
portoghesi. Le truppe francesi si trovarono a sperimentare un nuovo
tipo di guerra: se l'esercito regolare spagnolo era debole e
disorganizzato, in tutte le regioni della Spagna e del Portogallo si
svilupparono rapidamente bande di irregolari che adottavano contro
gli occupanti tattiche di guerriglia. Impreparati a gestire un simile
movimento di massa, i francesi reagirono adottando una tattica del
terrore, radendo al suolo i villaggi sospettati di appoggiare i
guerriglieri e condannando a morte qualsiasi irregolare catturato;
inevitabilmente, anche i guerriglieri adottarono crudeli ritorsioni
contro i reparti francesi isolati, e la guerra assunse ben presto un
grado di barbarie ben superiore alla media dell'epoca.
Con l'intera penisola iberica ormai in
preda alla guerra, consistenti rinforzi francesi vennero inviati
nella regione, ma il 23 luglio 1808 gli spagnoli ottennero un
inaspettato successo nella battaglia di Bailén, obbligando alla resa
l'armata del generale Dupont; la sconfitta fu un colpo durissimo per
i francesi: dalla proclamazione dell'Impero, non era mai accaduto che
un'armata francese venisse obbligata alla resa. Profondamente
demoralizzato, il re Giuseppe abbandonò Madrid ripiegando con tutte
le truppe oltre la linea del fiume Ebro. La situazione per la Francia
si aggravò nell'agosto seguente, quando un esercito britannico agli
ordini del generale Arthur Wellesley sbarcò a Figueira da Foz per
portare aiuto ai portoghesi; il 21 agosto 1808 la piccola forza di
Wellesley inflisse una pesante sconfitta ai francesi di Junot nella
battaglia di Vimeiro, obbligandoli a lasciare il Portogallo.
Con le sconfitte che andavano
accumulandosi, Napoleone decise di intervenire di persona nel
conflitto iberico, ed ai primi di novembre un grosso contingente
della Grande Armée
attraversò i Pirenei sotto la guida
dello stesso imperatore. Caduta la monarchia, la Spagna era priva di
un governo centrale, ed i vari governi locali (le Juntas) non
riuscivano a coordinare i loro sforzi; sfruttando le divisioni in
campo nemico, i francesi batterono rapidamente le varie armate
spagnole, ed il 4 dicembre Napoleone fece il suo ingresso a Madrid,
reinsediando sul trono il fratello Giuseppe. Un esercito britannico
sotto il generale John Moore, accorso dal Portogallo per portare
aiuto agli spagnoli, venne costretto ad intraprendere una difficile
ritirata attraverso le montagne spagnole coperte di neve; nonostante
le gravi perdite, i britannici riuscirono a raggiungere il porto di
La Coruña ed a reimbarcarsi alla volta della Gran Bretagna, anche se
lo stesso Moore rimase ucciso nella battaglia di La Coruña il 16
gennaio 1809. Con la situazione ristabilita, Napoleone lasciò la
Spagna per rientrare a Parigi il 23 gennaio 1809, lasciando la
conduzione delle restanti operazioni militari nella penisola iberica
ai suoi marescialli.
Il rientro anticipato dell'imperatore
dalla Spagna era stato richiesto dai recenti preparativi militari
messi in atto dall'Austria: fin dalla sconfitta nel conflitto del
1805, l'impero asburgico aveva dedicato molte energie a ricostruire e
modernizzare le sue forze armate, in attesa dell'opportunità
favorevole per riguadagnare la posizione di potere in Europa
strappatagli dalla Francia. Il momento propizio sembrò manifestarsi
sul finire del 1808: le sconfitte di Bailén e Vimeiro avevano
dimostrato che le armate francesi non erano invincibili, e con gran
parte della Grande Armée inviata in Spagna l'Austria poteva sperare
almeno in una parità numerica in caso di scontro in Germania; vi era
inoltre la speranza che un intervento austriaco avrebbe provocato tra
i tedeschi una insurrezione anti-francese sul modello spagnolo. Come
per la Prussia nel 1806, la corte austriaca si trovò divisa tra i
favorevoli al conflitto (guidati dall'imperatrice Maria Ludovica
d'Asburgo-Este e dal ministro degli esteri von Stadion) ed i contrari
(tra cui si collocava il comandante in capo dell'esercito, l'arciduca
Carlo d'Asburgo-Teschen, convinto che l'Austria non fosse ancora
militarmente preparata ad un confronto con la Francia); solo dopo
lunghe esitazioni l'imperatore Francesco I decise per la guerra.
Nel febbraio del 1809, Austria e Regno
Unito siglarono il trattato di alleanza che diede vita alla quinta
coalizione: i britannici promisero di inviare un contingente nella
Germania settentrionale per distrarre truppe francesi dal teatro
principale, mentre la Prussia si disse disponibile ad inviare
contingenti in appoggio ai coalizzati; più ambiguo era il ruolo
della Russia, formalmente alleata dei francesi: era quasi certo
tuttavia che non avrebbe assunto un ruolo attivo in caso di
conflitto. Napoleone era stato informato dei preparativi bellici
austriaci fin dal gennaio del 1809, ma aveva scelto di non recarsi
personalmente in Germania, per paura che la sua presenza spingesse i
coalizzati ad agire immediatamente; Napoleone aveva invece bisogno di
tutto il tempo che riusciva ad ottenere per preparare le sue truppe
al conflitto. La necessità di dover condurre una guerra su due
fronti principali (in Germania ed in Spagna) spinse l'imperatore ad
ordinare il richiamo anticipato di nuove classi di leva (rendendo
così la coscrizione ancora più impopolare di quanto fosse stata
prima), ma, soprattutto, ad affidarsi ancora di più alle truppe
fornite dai suoi alleati: se prima di allora queste venivano usate
principalmente per ruoli secondari o di presidio, per la campagna del
1809 vennero invece dispiegate in prima linea, all'interno di unità
francesi o in propri corpi autonomi.
La guerra ebbe inizio il 10 aprile
1809, quando l'esercito austriaco dell'arciduca Carlo invase la
Baviera, membro della Confederazione del Reno; forze austriache
minori vennero inviate anche ad attaccare gli alleati francesi in
Polonia ed in Italia. Le forze francesi erano piuttosto sparpagliate,
ma gli austriaci non riuscirono ad approfittare della situazione,
rallentati dal clima avverso; il 17 aprile Napoleone arrivò sul
teatro delle operazioni, e si diede subito da fare per preparare la
controffensiva. Dopo alcuni scontri preliminari, i due eserciti si
affrontarono il 22 aprile nella battaglia di Eckmühl: gli austriaci
furono sconfitti, ma l'arciduca Carlo riuscì ad organizzare un
ripiegamento sulla riva settentrionale del Danubio, salvando il suo
esercito dalla distruzione.
Napoleone seguì quindi il corso
del fiume fino a Vienna, che si arrese il 13 maggio dopo un breve
bombardamento; l'esercito di Carlo si trovava a nord della città,
sull'altra sponda del Danubio, e Napoleone lo attaccò il 21 maggio,
dando inizio alla battaglia di Aspern-Essling: gli sforzi dei
francesi furono gravemente ostacolati dal fatto che tutte le truppe
ed i rifornimenti dovevano transitare attraverso un unico ponte sul
fiume. La battaglia in sé, terminata il pomeriggio del 22 maggio, si
concluse con uno stallo, ma le forze francesi, a corto di
rifornimenti, ripiegarono quella sera stessa oltre il fiume:
l'arciduca Carlo era riuscito ad infliggere a Napoleone la sua prima
sconfitta in una battaglia campale.
Gli austriaci speravano che la
sconfitta inducesse i francesi a stipulare un trattato di pace, ma il
primo pensiero di Napoleone divenne quello di vendicare lo smacco; il
5 luglio, dopo una lunga preparazione, la
Grande Armée
attraversò di nuovo il Danubio,
impegnando l'armata austriaca nella battaglia di Wagram:
i francesi ottennero una vittoria
netta e decisiva, ma ancora una volta Carlo riuscì a salvare la sua
armata dall'annientamento. Un armistizio venne stipulato tra i due
comandanti l'11 luglio, ma passarono diversi mesi prima di arrivare
ad un trattato di pace definitivo, principalmente perché gli
austriaci confidavano in un intervento dei loro alleati; le loro
speranze vennero ben presto deluse: la Prussia inviò solo poche
migliaia di volontari, la Russia mantenne un atteggiamento ostile
verso l'Austria, e l'attacco diversivo britannico si concretizzò in
uno sbarco in Olanda ai primi di agosto, che si risolse in un nulla
di fatto.
La pace di Schönbrunn venne infine
firmata il 14 ottobre 1809: l'Austria perse diversi territori a
vantaggio della Francia, della Baviera e del ducato di Varsavia,
venne costretta a pagare una pesante indennità di guerra, ad aderire
al blocco continentale ed a ridurre considerevolmente l'ammontare
delle sue forze armate.
Intanto nella penisola iberica i
combattimenti proseguivano. Un secondo corpo di spedizione
britannico, di nuovo al comando di Wellesley, venne inviato in
Portogallo nell'aprile del 1809; gli anglo-portoghesi controllavano
Lisbona ed il sud del paese, ma il nord era stato occupato dalle
forze del maresciallo Soult, mentre un secondo esercito francese
sotto il maresciallo Victor si stava avvicinando da est. Con una
serie di abili manovre, Wellesley forzò la linea del Douro ed
inflisse una dura sconfitta a Soult nella seconda battaglia di Oporto
il 12 maggio. Scacciati per la seconda volta i francesi dal
Portogallo, Wellesley condusse l'armata anglo-portoghese verso est
per portare aiuto all'esercito spagnolo del generale Cuesta,
ripetutamente sconfitto dalle forze di Victor. I due eserciti si
ricongiunsero il 21 luglio, per poi affrontare i francesi nella
battaglia di Talavera il 28 luglio seguente: nonostante i difficili
rapporti con gli alleati spagnoli, Wellesley riuscì a vincere la
sanguinosa battaglia, seppur a caro prezzo; la notizia del successo
fece molto scalpore in Gran Bretagna, e Wellesley venne premiato per
il successo con la nomina a duca di Wellington.
Nonostante queste vittorie, il 1809 si
concluse disastrosamente per gli alleati: gli spagnoli subirono una
devastante sconfitta il 19 novembre nella battaglia di Ocaña, la
Spagna meridionale venne invasa dalle forze di Soult, ed il governo
spagnolo venne costretto a rifugiarsi a Cadice, dove rimase assediato
per i successivi due anni e mezzo; a causa di questi insuccessi, il
duca di Wellington venne costretto a riportare le sue forze oltre il
confine portoghese. La campagna riprese sul finire di luglio del
1810, quando le forze del maresciallo Massena, dopo aver espugnato la
fortezza di Ciudad Rodrigo al termine di un lungo assedio, invasero
per la terza volta il Portogallo; Wellington si ritirò lentamente
verso la zona di Lisbona, dove erano state realizzate imponenti opere
fortificate. Massena raggiunse le linee fortificate davanti Lisbona
il 14 ottobre, e per un mese cercò invano un varco attraverso cui
passare; alla fine, esauriti i viveri, dovette intraprendere una
ritirata in Spagna. La successiva vittoria di Wellington su Massena
nella battaglia di Fuentes de Oñoro il 6 maggio 1811 allontanò
definitivamente la minaccia francese dal Portogallo.
Sul finire del 1811, l'Impero francese
aveva ormai raggiunto la sua massima espansione: la Francia stessa si
era ingrandita annettendosi i Paesi Bassi, i paesi tedeschi
affacciati sul Mare del Nord, le regioni italiane corrispondenti agli
attuali Piemonte, Liguria, Toscana e Lazio, le Province illiriche e
la regione spagnola della Catalogna. Il resto dell'Europa
continentale era in un modo o nell'altro assoggettato alla Francia:
la Danimarca era alleata dei francesi fin dallo scoppio della guerra
delle cannoniere con il Regno Unito, il Ducato di Varsavia, la
Confederazione del Reno e la Repubblica Elvetica erano fantocci
controllati dal governo di Parigi, il Regno d'Italia aveva come
monarca lo stesso Napoleone, mentre il fratello Giuseppe ed il
maresciallo Murat governavano rispettivamente sulla Spagna e sul
Regno di Napoli (1805-1815); perfino l'Impero austriaco e la Prussia
erano stati costretti a stipulare trattati di alleanza con la
Francia, mentre in Svezia si era da poco insediato come Principe
ereditario l'ex maresciallo Bernadotte. All'infuori del Regno Unito e
dei suoi traballanti alleati iberici, l'unica potenza europea rimasta
a contrastare l'egemonia francese era rappresentata dall'Impero
russo.
Dalla firma del trattato di Tilsit nel
luglio del 1807, i rapporti tra i due imperi erano andati
progressivamente deteriorandosi. Molte erano le questioni
controverse, ma i principali motivi d'attrito erano rappresentati
dall'applicazione da parte della Russia delle disposizioni del blocco
continentale (che venivano spesso disattese, anche perché la loro
introduzione aveva provocato una grave crisi economica nel paese) e
dalle dispute sul Ducato di Varsavia (la cui esistenza era vista come
una provocazione dai russi, da sempre interessati ad una espansione
nei territori polacchi); per la fine del 1811, Napoleone aveva ormai
deciso di lanciare una spedizione militare contro la Russia. Entro
maggio del 1812, le forze francesi ed alleate vennero ammassate in
Polonia in vista della nuova campagna: in totale, Napoleone poteva
disporre grosso modo di 675.000 uomini, 500.000 dei quali entrarono
prima o poi in territorio russo (il resto rimase di guarnigione in
Polonia o in Germania); circa metà della fanteria ed un terzo della
cavalleria non era di origine francese: c'erano contingenti polacchi,
tedeschi e svizzeri, italiani e napoletani, spagnoli e portoghesi, e
perfino truppe prussiane ed austriache. La dimensione stessa
raggiunta dalla Grande Armée escludeva un controllo totale da parte
dell'imperatore su di essa: Napoleone comandava solo il contingente
principale, all'incirca 400.000 uomini, schierato al centro; il
maresciallo Macdonald guidava un'armata franco-prussiana incaricata
di proteggere l'ala sinistra del contingente principale, mentre l'ala
destra era protetta dal Corpo Ausiliario austriaco del generale
Schwarzenberg, con altre truppe francesi in appoggio.
La sera del 23 giugno 1812,
l'avanguardia della colossale armata francese guadò il fiume Niemen,
dando così inizio alla campagna di Russia; in confronto alla Grande
Armée , le forze messe in campo dai russi erano inizialmente esigue,
sebbene in rapido aumento: contrapposta all'armata principale di
Napoleone vi era l'armata del generale Barclay de Tolly, ministro
della guerra e comandante in capo delle forze russe, forte di circa
130.000 uomini, con una seconda armata di 48.000 uomini sotto il
generale Bagration in appoggio poco più a nord; in aggiunta a queste
forze, l'ammiraglio Pavel Vasilievič Čičagov stava raccogliendo
altri 100.000 uomini nell'Ucraina meridionale, mentre altre truppe
erano in via di formazione tra Riga e San Pietroburgo sotto il
generale Peter Wittgenstein. Vista la schiacciante inferiorità
numerica, Barclay de Tolly e Bagration iniziarono una lenta ritirata
verso est, facendo terra bruciata dei territori attraversati; per
almeno tre volte Napoleone cercò di aggirare una delle due armate
russe per annientarla separatamente, ma tutte le volte i russi
riuscirono a sottrarsi ripiegando verso est: a mano a mano che i
francesi si spingevano in avanti all'inseguimento dei russi, la loro
situazione logistica peggiorava sempre di più, con numerosi soldati
messi fuori combattimento dalle malattie e dalle marce massacranti.
Seppur efficace, la strategia messa in
atto da Barclay de Tolly attirò sul generale molte critiche, e
questi si vide costretto a sospendere la ritirata per dare battaglia
ai francesi; le due armate si affrontarono il 17 agosto nella
battaglia di Smolensk: i francesi ottennero una vittoria, ma ancora
una volta i russi si sottrassero all'annientamento con una veloce
ritirata verso est. Con la stagione che iniziava ad essere troppo
avanzata per poter portare avanti la campagna, Napoleone si vide
davanti due linee d'azione: poteva trascorrere l'inverno a Smolensk,
per riprendere i combattimenti con la bella stagione, ma ciò avrebbe
obbligato l'imperatore a lasciare l'esercito ed a rientrare a Parigi
per occuparsi delle questioni di governo, dando ai russi
l'opportunità di attaccare la Grande Armée mentre lui era assente;
in alternativa, poteva sfruttare gli ultimi giorni di bel tempo per
portare avanti l'azione, marciando su Mosca e sperando che la caduta
della città spingesse lo zar a chiedere la pace. Napoleone scelse
questa seconda linea d'azione, anche se le truppe sotto il suo
diretto comando cominciavano a diminuire: a causa delle perdite e
della necessità di distaccare reparti per proteggere i territori
conquistati, al momento della partenza da Smolensk il nucleo centrale
della Grande Armée era ora ridotto a 156.000 uomini.
Ormai sommerso dalle critiche dopo la sconfitta di Smolensk, Barclay
de Tolly venne sollevato dal comando e rimpiazzato dall'anziano
generale Kutuzov, molto più ben visto dagli ambienti militari[85].
Kutuzov, le cui forze ammontavano ora a circa 120.000 uomini, avrebbe
preferito proseguire nella tattica della ritirata davanti all'armata
francese, ma venne convinto ad opporre resistenza all'invasore
davanti Mosca; tra il 5 ed il 7 settembre, le due armate si
affrontarono nella battaglia di Borodino: lo scontro,
sanguinosissimo, venne vinto dai francesi, ma Kutuzov riuscì a
sganciare il suo esercito ed a mantenerlo coeso. Il 15 settembre, le
forze francesi fecero il loro ingresso a Mosca, semideserta dopo la
fuga di gran parte della popolazione; poco dopo l'ingresso dei
francesi, la città venne avvolta da numerosi incendi, che
imperversarono fino al 20 settembre distruggendo almeno tre quarti
dell'area urbana.
Le forze di Napoleone trascorsero un
mese accampate nella zona di Mosca, mentre l'imperatore avviava
contatti diplomatici con lo zar al fine di pervenire ad un accordo;
gli approvvigionamenti erano ormai un problema serio, con le bande di
guerriglieri russi e di cosacchi intente ad attaccare i convogli di
rifornimento ed i reparti francesi isolati. Il 19 ottobre, con
l'inverno ormai iniziato ed i rifornimenti quasi esauriti, Napoleone
condusse il suo esercito, ridotto a circa 95.000 uomini, fuori da
Mosca verso i depositi approntati a Smolensk; inizialmente,
l'imperatore tentò di dirigere la sua armata su una strada più
meridionale di quella presa all'andata, ma, dopo uno scontro con
l'armata di Kutuzov a Maloyaroslavets il 24 ottobre, venne costretto
a deviare sulla strada già percorsa, ormai devastata. Kutuzov decise
di non ingaggiare più le forze francesi, ma di incalzarle mantenendo
la sua armata tra di loro e le regioni meridionali della Russia, più
ricche di rifornimenti; allo stesso tempo, mentre i cosacchi ed i
guerriglieri continuavano a logorare le forze francesi, le forze di
Wittgenstein da nord e di Čičagov da sud dovevano convergere sulla
via di ritirata del nemico, onde stritolarlo tra le tre armate russe
avanzanti. La fame, il freddo e le incursioni dei cosacchi
scompaginavano sempre di più i reparti francesi; la situazione
peggiorò ancora di più quando il 9 novembre l'armata raggiunse
Smolensk, solo per scoprire che i magazzini erano già stati
saccheggiati dalle truppe che l'avevano preceduta. Incalzato dai
russi, Napoleone dovette proseguire verso ovest; tra il 26 ed il 29
novembre, l'armata francese riuscì a forzare lo sbarramento creato
da Čičagov e Wittgenstein sul fiume Beresina, anche se al prezzo di
gravissime perdite.
Il 6 dicembre, informato di un fallito
tentativo di colpo di Stato messo in atto in patria dal generale
Claude François de Malet, Napoleone lasciò l'armata al comando di
Murat per rientrare precipitosamente a Parigi; tra l'11 ed il 12
dicembre, i resti della Grande Armée riattraversarono il Niemen,
mettendo fine alla campagna. L'armata di Napoleone era stata quasi
completamente annientata: le perdite francesi vennero stimate in
circa 370.000 morti e 200.000 prigionieri, oltre alla perdita di
1.000 cannoni e 200.000 cavalli; i russi ebbero circa 150.000 caduti
in battaglia ed un numero incalcolabile di feriti, mentre sono ignote
le perdite tra i civili.
La disastrosa sconfitta dei francesi in
Russia aveva provocato grandi tumulti in Germania, e rivolte
anti-napoleoniche scoppiarono un po' ovunque nel paese; sull'onda
dell'entusiasmo popolare, alla fine del febbraio 1813 la Prussia
ruppe la fragile alleanza con i francesi e si schierò con i russi.
Pressata da Kutuzov in avanzata da est e dai prussiani in fase di
mobilitazione da ovest, l'armata francese, ora guidata dal generale
Eugenio di Beauharnais, non poté fare altro che abbandonare la
Polonia, ritirandosi prima lungo la linea del fiume Oder, e poi
sull'Elba. Nel frattempo, Napoleone cercava disperatamente di
ricostruire la sua armata; viste le pesanti perdite di uomini patite
in Russia, le nazioni alleate potevano fornire solo poche truppe, e
l'imperatore venne quindi costretto a spremere al limite le risorse
della Francia: furono richiamate truppe dalla Spagna, vennero
integrati nelle forze regolari gli appartenenti alla Guardia
nazionale francese, e la coscrizione fu estesa a nuove classi di
leva. In questo modo, Napoleone riuscì a mettere in campo 200.000
uomini per i primi di aprile del 1813, guadagnando così una leggera
superiorità numerica sui russo-prussiani dei generali Blücher e
Wittgenstein.
Sperando di coglierle impreparate, i
russo-prussiani lanciarono un attacco contro le forze francesi verso
la metà di aprile, ma subirono una sconfitta nella battaglia di
Lützen il 2 maggio; i francesi avevano subito gravi perdite, ma gli
alleati persero una grande opportunità di infliggere a Napoleone una
sconfitta decisiva. L'inseguimento dell'armata alleata da parte dei
francesi si svolse lentamente, a causa della grave penuria di reparti
di cavalleria; Napoleone tornò ad ingaggiare gli alleati nella
battaglia di Bautzen, combattuta tra il 20 ed il 21 maggio: ancora
una volta i francesi ottennero una vittoria, ma i russo-prussiani
riuscirono a salvare la loro armata ed a ripiegare con ordine in
Slesia. Entrambe le parti erano esauste, e su suggerimento di
Napoleone i due contendenti sottoscrissero un armistizio provvisorio
il 4 giugno, poi progressivamente esteso fino alla metà di agosto.
Entrambi i contendenti impiegarono il
periodo di tregua per preparare le proprie armate alla ripresa delle
ostilità, essendo evidente che nessuno dei due sarebbe stato
disposto ad una pace di compromesso; una proposta di accordo
presentata dall'Austria venne seccamente respinta da Napoleone.
Durante questo periodo i russo-prussiani misero a segno un importante
colpo, convincendo Austria e Svezia ad unirsi all'alleanza; con
l'aggiunta del Regno Unito, nel luglio del 1813 venne così formata
la sesta coalizione antifrancese. Alla ripresa delle ostilità, il 16
agosto 1813, i coalizzati potevano mettere in campo tre grosse
armate: 230.000 austriaci sotto il generale Schwarzenberg
muovevano dalla Boemia verso nord,
95.000 russi e prussiani sotto il generale Blücher si trovavano in
Slesia, mentre 110.000 russi, prussiani e svedesi erano dislocati tra
il Brandeburgo e la Pomerania sotto il comando del Principe
ereditario di Svezia (l'ex maresciallo francese Bernadotte); una
quarta armata di 60.000 russi era in via di formazione in Polonia
sotto il generale Bennigsen. Contro di loro, Napoleone poteva opporre
circa 400.000 uomini: 250.000 erano in Sassonia sotto il comando
dello stesso imperatore, 120.000 erano nell'armata del maresciallo
Oudinot (poi sostituito dal maresciallo Ney) incaricata di marciare
su Berlino, mentre altri 30.000 erano dislocati sotto il maresciallo
Davout presso Amburgo, incaricati di difendere il corso superiore
dell'Elba.
Napoleone cercò di attuare la sua
vecchia tattica, consistente nel battere una ad una le armate nemiche
prima che avessero l'opportunità di riunirsi, ma gli alleati
risposero con una strategia semplice quanto efficace: ogniqualvolta
l'armata principale francese si avvicinava ad una delle armate
alleate, questa si ritirava immediatamente, mentre le altre due
continuavano ad avanzare. L'imperatore venne costretto a delegare
sempre di più le funzioni di comando ai vari marescialli, ma questi
si dimostrarono inferiori ai loro corrispettivi alleati: il sistema
di comando francese, incentrato sulla figura di Napoleone, si rivelò
troppo rigido per far fronte ad un conflitto su così larga scala.
Nonostante una prima vittoria su Schwarzenberg nella battaglia di
Dresda tra il 26 ed il 27 agosto, Napoleone non riuscì a distruggere
nessuna delle armate alleate, mentre due diversi tentativi di
prendere Berlino vennero respinti dai prussiani. Con le sconfitte che
si andavano accumulando, Napoleone venne costretto a retrocedere ad
ovest dell'Elba, per poi essere messo con le spalle al muro a Lipsia
dalle tre armate alleate riunite: la successiva battaglia di Lipsia,
combattuta dal 16 al 19 ottobre, fu la più grande delle guerre
napoleoniche, coinvolgendo all'incirca mezzo milione di uomini
provenienti da quasi tutte le più importanti nazioni europee, fatto
che le conferì l'appellativo di
Battaglia delle Nazioni; lo
scontro in sé rimase in bilico fino all'ultimo, ma il tentativo
francese di ritirarsi oltre il fiume Elster trasformò la sconfitta
in un disastro, e l'armata di Napoleone uscì semidistrutta dalla
battaglia. Viste le pesanti perdite subite, a Napoleone non rimase
altra scelta che ritirarsi verso il Reno e la Francia; i suoi alleati
tedeschi defezionarono in massa passando dalla parte dei coalizzati,
assottigliando ancora di più le forze sotto il suo comando.
Anche in Spagna la situazione era volta
definitivamente a favore degli alleati. Dopo aver espugnato la città
fortificata di Badajoz al termine di un sanguinoso assedio
nell'aprile del 1812, l'esercito anglo-portoghese di Wellington aveva
inflitto una dura sconfitta ai francesi del maresciallo Auguste
Marmont il 22 luglio seguente nella battaglia di Salamanca; la
vittoria consentì a Wellington di liberare Madrid il 12 agosto, ma
nell'ottobre seguente le forze anglo-portoghesi subirono un grave
scacco quando non riuscirono ad espugnare Burgos, la prima grave
sconfitta subita dal duca nella campagna iberica. Wellington riportò
la sua armata sul confine portoghese, dedicando i mesi seguenti a
riorganizzarla e rinforzarla; la campagna riprese nel maggio del
1813, ed il 21 giugno gli anglo-portoghesi ottennero una vittoria
decisiva contro le forze del re Giuseppe nella battaglia di Vitoria.
Il comando delle forze francesi passò al maresciallo Soult, ma
questi non poté fare altro che coordinare una lenta ritirata verso i
Pirenei; un contrattacco lanciato dai francesi venne respinto, e le
forze di Wellington misero piede sul suolo francese il 7 ottobre
1813. Soult tentò un nuovo contrattacco sul finire di gennaio del
1814, ma subì una sconfitta nella battaglia di Orthez il 27
febbraio; l'ultimo scontro di una certa importanza fu la battaglia di
Tolosa il 12 aprile, dove ancora una volta Wellington inflisse una
sconfitta a Soult. L'indomito maresciallo stava di nuovo tentando di
concentrare le sue forze per un nuovo scontro, quando venne informato
dell'abdicazione di Napoleone avvenuta il 6 aprile precedente; il 17
aprile, con l'armistizio di Tolosa tra Soult e Wellington, si
concluse ufficialmente la lunga guerra d'indipendenza spagnola.
Nonostante il disastro in cui era
incappato in Germania e le pessime notizie che giungevano dalla
Spagna, il 9 novembre 1813 Napoleone rientrò a Parigi e si diede
subito da fare per ricostruire il suo esercito distrutto; un'offerta
di pace avanzata dagli austriaci, che prevedeva il ritorno della
Francia nei confini precedenti alla rivoluzione, venne fermamente
respinta dall'imperatore, e agli alleati non restò altra scelta che
dare inizio ai primi di gennaio del 1814 all'invasione della Francia
stessa. Le armate alleate varcarono il Reno ed avanzarono su Parigi
divise in due tronconi: 160.000 russo-austriaci sotto Schwarzenberg
avanzavano da sud-est, mentre gli 80.000 russo-prussiani di Blücher
arrivavano da nord; a queste forze Napoleone poteva opporre circa
180.000 uomini (di cui 70.000 sotto il suo diretto comando), in
maggioranza costituiti da giovani reclute prive di addestramento.
Nonostante la disparità delle forze, tra febbraio e marzo del 1814
Napoleone riuscì ad infliggere alle armate alleate una mezza dozzina
di imbarazzanti sconfitte, ma senza ottenere alcun successo
definitivo; ad ogni scontro le esigue forze francesi si logoravano
sempre di più, mentre ormai anche tra i marescialli cresceva la
sfiducia verso l'imperatore. Il 21 marzo Napoleone subì una dura
sconfitta nella battaglia di Arcis-sur-Aube, e le forze di
Schwarzenberg e di Blücher poterono così riunirsi per marciare
direttamente su Parigi; il 31 marzo, dopo aver subito una sconfitta
nella battaglia di Fère-Champenoise cinque giorni prima, il
maresciallo Marmont, incaricato della difesa della capitale, consegnò
agli alleati la città.
Napoleone condusse il suo esercito a
Fontainebleau in previsione di un tentativo di liberare Parigi, ma i
suoi soldati ormai non erano in grado di condurre un'altra battaglia:
il 1º aprile il Senato francese dichiarò decaduto l'imperatore,
mentre il 4 aprile i marescialli Ney, Davout e Macdonald comunicarono
la loro ferma intenzione di non condurre più in battaglia le loro
truppe.
Messo di fronte al fatto compiuto,
a Napoleone non rimase altro che la resa: il 6 aprile abdicò
formalmente dalla carica di imperatore, consegnandosi spontaneamente
nelle mani degli alleati; l'11 aprile seguente, con il trattato di
Fontainebleau, i monarchi alleati decisero di mandarlo in esilio
sull'isola d'Elba, mentre sul trono di Francia si insediava il re
Luigi XVIII, fratello del sovrano ghigliottinato durante la
rivoluzione francese.
Dopo aver trascorso dieci mesi nell'esilio sull'isola d'Elba,
Napoleone pianificò il suo rientro in Francia per il febbraio del
1815; il momento era propizio ad una similie impresa: il re Luigi
XVIII si era ben presto reso impopolare, permettendo il ritorno in
massa dei nobili fuoriusciti durante la rivoluzione, dilapidando in
poco tempo le scarne finanze francesi, e negando i dovuti sussidi ai
veterani della
Grande Armée. Anche la
coalizione anti-francese era in crisi, in quanto i vari monarchi,
impegnati nel congresso di Vienna nel tentativo di dare un nuovo
assetto all'Europa post-rivoluzione, si ostacolavano a vicenda al
fine di accaparrarsi migliori vantaggi per la propria nazione. Il 1º
marzo, Napoleone sbarcò con un pugno di seguaci nel sud della
Francia, iniziando la marcia verso nord; i reparti inviati a
contrastarlo si ammutinarono uno dopo l'altro, passando in massa
dalla sua parte. Il 20 marzo, al termine di una vera e propria marcia
trionfale, Napoleone fece il suo ingresso a Parigi senza sparare un
colpo, mentre il re Luigi si rifugiava a Bruxelles. Il ritorno di
Napoleone aveva però avuto l'effetto di ricompattare il fronte degli
alleati, che iniziarono ad ammassare truppe ai confini francesi; per
la fine di maggio cinque armate alleate erano in via di
organizzazione per complessivi 700.000 uomini mobilitati, a cui i
francesi potevano opporne solo 270.000.
Napoleone aveva bisogno di un chiaro
successo militare per ricompattare il fronte interno francese, dove
sussistevano ancora sacche di resistenza monarchica; una rapida
vittoria avrebbe inoltre potuto mandare in crisi la coalizione,
riaccendendo le rivalità non ancora sopite tra gli alleati. Ai primi
di giugno, il neo-rinominato imperatore lasciò Parigi alla testa di
un esercito di 128.000 diretto in Belgio, dove si trovavano due
armate alleate: l'armata anglo-olandese del duca di Wellington e
l'armata prussiana del generale Blücher; il piano di Napoleone
consisteva nell'incunearsi tra le due armate alleate, per poi
batterle separatamente. Il 16 giugno Napoleone sconfisse i prussiani
nella battaglia di Ligny, anche se Blücher riuscì ad organizzare
una ritirata coordinata; contemporaneamente, l'ala sinistra francese
sotto il maresciallo Ney aveva affrontato gli anglo-olandesi nella
battaglia di Quatre-Bras, senza ottenere un chiaro successo ma
obbligandoli alla ritirata. Napoleone distaccò un contingente sotto
il maresciallo Grouchy con il compito di mantenere la pressione sui
prussiani, mentre lui stesso conduceva il resto dell'armata contro
Wellington. Il 18 giugno i due eserciti si affrontarono nella celebre
battaglia di Waterloo: le truppe anglo-olandesi, arroccate su una
serie di colline, resistettero disperatamente agli assalti francesi,
fino a che nel pomeriggio non sopraggiunse parte dell'armata
prussiana di Blücher, che era riuscito ad eludere l'inseguimento da
parte di Grouchy; le due forze alleate congiunte furono quindi in
grado di infliggere una severa sconfitta all'armata di Napoleone.
Sebbene esistessero i presupposti per
continuare la guerra (nei dintorni di Parigi c'erano ancora 150.000
uomini in fase di addestramento), Napoleone si vide ben presto
privare del supporto politico da parte dell'Assemblea Generale
francese; il 22 giugno Napoleone abdicò per la seconda volta,
consegnandosi poi ai britannici il 15 luglio seguente. I monarchi
alleati decisero di esiliarlo il più lontano possibile dall'Europa,
nella remota isoletta di Sant'Elena; qui Napoleone troverà infine la
morte il 5 maggio 1821.
Le guerre napoleoniche ebbero cinque
grandi ripercussioni sul continente europeo:
- In molti paesi dell'Europa, l'importazione degli ideali della rivoluzione francese (democrazia, processi equi nei tribunali e abolizione dei privilegi) lasciò un profondo segno. Malgrado le leggi di Napoleone fossero autoritarie, presentarono alcuni aspetti meno autoritari di quelle dei monarchi precedenti, o di quelle dei giacobini e del regime del Direttorio durante la rivoluzione. I monarchi europei trovarono serie difficoltà nel restaurare l'assolutismo pre-rivoluzionario, e si videro costretti, in molti casi, a mantenere alcune delle riforme indotte dall'occupazione. Il lascito istituzionale è rimasto fino ad oggi; molti paesi europei hanno un sistema di leggi civili, con un codice legale chiaramente influenzato dal codice napoleonico.
- La Francia tornò ad essere una potenza dominante in Europa, come era stata dai tempi di Luigi XIV.
- Si sviluppò un nuovo e potenzialmente poderoso movimento: il nazionalismo. Esso cambiò il corso della storia dell'Europa per sempre. Fu la forza che spinse alla nascita di alcune nazioni e alla fine di altre.
- La Gran Bretagna si trasformò nella potenza egemonica indiscutibile in tutto il globo, tanto in terra come sul mare. L'occupazione dell'Olanda da parte della Francia all'inizio delle guerre, le servì da pretesto per occupare le colonie olandesi d'oltremare come Ceylon, Malacca, Sudafrica e Guyana.
- La guerra nella penisola iberica lasciò completamente distrutta la Spagna, così come il suo esercito. Questa situazione fu sfruttata dai gruppi indipendentisti delle sue colonie americane per ribellarsi contro il paese oppressore; sotto l'influsso degli ideali delle rivoluzioni americana e francese, nel 1825, tutte le colonie spagnole d'America, ad eccezione di Cuba e Porto Rico, si trasformarono in repubbliche indipendenti o entrarono a far parte degli Stati Uniti o della Gran Bretagna.
Le guerre napoleoniche, a loro volta,
ebbero un profondo impatto sull'organizzazione militare. Fino ai
tempi di Bonaparte, gli stati dell'Europa avevano utilizzato eserciti
relativamente piccoli, con un'alta percentuale di mercenari. Le
innovazioni militari della metà del XVIII secolo riuscirono a
riconoscere l'importanza di una "nazione" in guerra.
Napoleone operò sempre in modo tale da
utilizzare la mobilità delle proprie truppe per affrontare lo
svantaggio numerico, come dimostrò nella sua trionfale vittoria
sulle forze austro-russe nella battaglia di Austerlitz del 1805 dove
il III Corpo d'armata di Davout coprì i 120 km tra Vienna e
Austerlitz in 50 ore, e nella riorganizzazione della logistica. Si
circondò di validi collaboratori che costituirono uno stato maggiore
senza eguali nelle altre organizzazioni militari, diretto dal
maresciallo Louis Alexandre Berthier che fu al fianco di Bonaparte
dalla campagna di Italia all'Isola d'Elba, nucleo organizzativo dove
l'Imperatore si recava per consultare le carte geografiche dove le
posizioni delle forze amiche e nemiche venivano rappresentate con
spilli multicolori secondo un metodo perfezionato dallo stesso
Berthier. Per fare un paragone, l'esercito prussiano non aveva nulla
che assomigliasse ad uno stato maggiore fino al 1810 con Scharnhorst,
l'Austria dovette aspettare il 1813 con Radetzky e la Russia il 1815
con Jomini. Napoleone, memore del suo passato di artigliere,
riorganizzò nell'esercito francese il ruolo dell'artiglieria in
combattimento, creando unità mobili ed indipendenti in opposizione
al tipico attacco dell'artiglieria tradizionale. Spinse avanti la
standardizzazione dei calibri dei cannoni, già attuata in parte da
Gribeuval, con l'obiettivo di assicurare una maggiore facilità negli
approvvigionamenti delle munizioni e la compatibilità tra i suoi
pezzi di artiglieria. Favorì la ricerca scientifica, spesso
applicata ad un migliore sfruttamento degli eserciti, per esempio nel
campo medico. Sebbene la sanità militare dovrà attendere quasi
altri cento anni per svilupparsi pienamente, alcuni tentativi
organizzativi vennero messi a punto già nell'epoca napoleonica,
quali per esempio il concetto di
triage, di moderna
attualità e reintroduzione, ma inventato dal chirurgo Larrey al
seguito delle truppe napoleoniche.
Assolutamente fondamentale è il
contributo alla teoria bellica. Durante le guerre napoleoniche,
vennero messi in atto con successo dall'esercito francese molti tipi
di manovre della tattica militare (battaglia per linee interne,
sfilamento, accerchiamento, assedio) rivisitate alla luce dei mezzi e
armamenti di nuova introduzione per l'epoca. Furono introdotti e
sviluppati molti nuovi concetti di strategia militare (utilizzo e
sviluppo della topografia, esplorazione, spionaggio, centro di
gravità, concentrazione degli sforzi, inseguimento) che hanno
ispirato la teoria fino ai giorni nostri. Sul fronte opposto, le
battaglie navali combattute durante le guerre napoleoniche portarono
al raffinamento delle tattiche per la Royal Navy. Di fondamentale
importanza fu la definitiva affermazione della formazione in "linea
di battaglia" che consentì ai britannici, che la adottarono
nella battaglia di Trafalgar, di effettuare la manovra del "taglio
del T" che avrebbe dominato la tattica navale per i due secoli
successivi.
Alla fine del XVIII secolo, con la
quarta maggiore popolazione su scala mondiale, 27 milioni, paragonata
ai 12 milioni del Regno Unito ed ai 35-40 milioni della Russia, la
Francia si vedeva in una posizione propizia per trarre vantaggio
dall'arruolamento di massa.
Nemmeno deve darsi tutto il merito
delle innovazioni a Napoleone. Lazare Carnot svolse un ruolo
fondamentale nella riorganizzazione dell'esercito francese tra il
1793 ed il 1794, un periodo nel quale la fortuna della Francia cambiò
per merito degli eserciti repubblicani, avanzando in tutti i fronti.
Il Regno Unito aveva il numero totale
di 747.670 uomini tra gli anni 1792 e 1815. Inoltre,
approssimativamente un milione di uomini erano impiegati nella
marina. Il totale del resto dei principali combattenti è difficile
da calcolare, ma nel settembre del 1812 la Russia aveva un totale di
904.000 uomini iscritti nel suo esercito di terra, questo significa
che il totale dei russi che combatterono doveva essere fra i due
milioni o più. Le forze austriache raggiunsero un numero di 576.000
uomini con poca o nessuna forza navale; l'Austria fu il nemico più
persistente della Francia ed è ragionevole supporre che più di un
milione di austriaci servirono nell'esercito. La Prussia non ebbe più
di 320.000 uomini in armi in nessun periodo. La Spagna raggiunse la
cifra di circa 300.000 soldati, ma deve aggiungersi una considerevole
forza guerrigliera che operava al di fuori delle truppe regolari. Gli
altri stati che ebbero più di 100.000 soldati mobilitati furono
inoltre l'Impero ottomano, il Regno di Sardegna, il Regno di Napoli e
la Polonia, senza includere gli Stati Uniti, con 286.730 combattenti.
Come può vedersi, tutte queste piccole nazioni avevano eserciti che
sorpassavano in numero quelli delle grandi potenze nelle guerre
pre-napoleoniche.
In ciò ebbero molta influenza le tappe
iniziali della rivoluzione industriale. Ora risultava facile la
produzione di armi in massa per equipaggiare forze significativamente
maggiori. Il Regno Unito fu il maggior fabbricante di armi di questo
periodo, fornendo la maggioranza delle armi usate dalle potenze
alleate durante i conflitti, ed usando una parte della produzione per
il suo stesso esercito. La Francia fu il secondo maggiore produttore,
armando il suo esercito e quello dei suoi alleati.
Il numero degli effettivi degli
eserciti è una chiara indicazione circa il cambiamento nella
strategia militare. Durante l'ultima importante guerra dell'Europa,
ovvero la guerra dei sette anni, pochi eserciti superarono i 200.000
uomini. In contrasto, l'esercito francese raggiunse, negli anni
novanta del XVIII secolo, la cifra di un milione e mezzo di
effettivi. In totale, circa 2,8 milioni di francesi combatterono
battaglie di terra e 150.000 quelle di mare, tanto che il totale dei
combattenti francesi raggiunse la cifra di circa tre milioni di
uomini.
Un'altra innovazione che venne
applicata in guerra fu l'uso del telegrafo ottico, che permetteva al
ministro della guerra Carnot di comunicare con le forze francesi alle
frontiere durante l'ultima decade del XVIII secolo. Questo sistema
continuò ad essere usato anche dopo. In aggiunta, si usò per la
prima volta la vigilanza aerea durante le guerre, quando i francesi
usarono un pallone aerostatico per spiare le posizioni alleate nella
battaglia di Fleurus, il 26 giugno 1794. Durante le guerre
napoleoniche si attuò anche la sperimentazione di razzi balistici, i
cosiddetti
razzi Congreve
dal nome del colonnello William
Congreve che li sperimentò presso l'arsenale di Mysore in India e
che vennero usati con successo in un attacco navale alla città di
Boulogne nel 1806, quando 18 barche spararono 200 razzi in 30 minuti,
o l'attacco a Copenaghen del 1807 nel quale vennero lanciati
40.000 razzi che produssero danni
terribili col fuoco alla città; vennero anche sperimentati i primi
sommergibili realizzati da Robert Fulton tra cui il
Nautilus.
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