Duecento anni dopo la sua caduta, Napoleone Bonaparte rimane una figura che accende gli animi e divide le opinioni, specialmente lungo la Manica. Se per molti francesi egli incarna ancora oggi l’ideale del genio politico e militare capace di risollevare una nazione prostrata dalla Rivoluzione, per gli inglesi resta, con poche eccezioni, un tiranno megalomane, un despota bellicoso che minacciò l'equilibrio europeo per puro capriccio personale. A dividere le due sponde non è solo la storia, ma il modo in cui essa viene raccontata, interpretata e tramandata.
In Francia, il nome di Napoleone suscita ancora un misto di rispetto e nostalgia. A partire dal Codice Civile — che continua a influenzare i sistemi giuridici in tutto il mondo — fino alla riorganizzazione dell’amministrazione pubblica, delle scuole e dell’esercito, Bonaparte è percepito come l’uomo che diede ordine al caos post-rivoluzionario. Dopo anni di ghigliottine, instabilità politica e corruzione dilagante, il suo arrivo al potere fu accolto da molti come una restaurazione dell'autorità e della razionalità. Per questo, molti francesi sono disposti a perdonargli — o almeno a comprendere — le guerre interminabili e le ambizioni imperiali. Vederlo come un "dittatore" appare riduttivo; più spesso viene descritto come un "riformatore con la spada", un Cesare moderno con un senso missionario della storia.
Dall'altra parte del Canale, il giudizio è ben diverso. Per la Gran Bretagna, Napoleone fu il nemico per antonomasia: un despota straniero che tenne il continente sotto scacco, sfidò ogni coalizione che Londra cercava di costruire e per anni minacciò l’invasione delle isole britanniche. La Royal Navy poté cantare vittoria a Trafalgar, ma ci vollero vent’anni e sette coalizioni prima che Wellington potesse trionfare a Waterloo. È comprensibile, quindi, che la memoria collettiva inglese abbia trasformato Bonaparte in un incubo storico: il simbolo dell’ambizione sfrenata che mette a rischio la civiltà stessa.
A complicare la faccenda, vi è anche il personaggio stesso: carismatico, brillante, instancabile, ma anche incapace di mettere un freno alle proprie ossessioni. Le guerre napoleoniche non furono inevitabili, e molti storici concordano oggi che Bonaparte fallì nel comprendere le dinamiche geopolitiche a lungo termine. Spinto dal desiderio di dominare e forse, come suggeriscono alcune fonti, anche da un senso patologico di grandezza, Napoleone si alienò ogni possibile alleato. Le sue stesse trattative di pace furono spesso minate da un entourage instabile, in particolare dal suo abile ma ambiguo ministro degli Esteri, Charles-Maurice de Talleyrand. A quest’ultimo la storia attribuisce tanto il merito di aver salvato la Francia dopo la caduta dell’Imperatore quanto la colpa di averne sabotato le ambizioni.
Eppure, nonostante le sconfitte, la figura di Napoleone continua a esercitare un fascino innegabile. Non è un caso che venga talvolta paragonato agli eroi del cinema moderno — qualcuno ha ironicamente suggerito che l’universo cinematografico Marvel impallidisce davanti alla complessità e all’epicità della sua epopea. Dalla Corsica al trono imperiale, da Austerlitz a Elba, fino al tragico epilogo di Sant’Elena, la parabola napoleonica conserva tutti gli elementi del grande dramma: ascesa, gloria, caduta.
Per gli inglesi, tuttavia, ogni parentesi di ammirazione è velata di diffidenza. Anche quando ne riconoscono il genio militare, tendono a sottolineare che la vera vittoria non fu quella di Austerlitz, ma la loro: una vittoria morale, culturale, strategica. Quando perdono, gli inglesi — si dice — lo fanno sempre con stile, ma quando vincono, rivendicano anche la lezione di civiltà. Ed è proprio questo uno dei punti cardine del confronto: Napoleone, per la mentalità britannica del tempo e forse anche di oggi, rappresentava un pericolo non tanto militare quanto culturale. La sua visione del potere, accentratore e autoritario, era l’antitesi del parlamentarismo inglese e delle libertà consolidate a Westminster.
In ultima analisi, le divergenze su Napoleone non sono solo un fatto di storia, ma di identità nazionale. Per la Francia, egli incarna il genio incompreso, il sovrano legislatore, il patriota. Per la Gran Bretagna, resta l’archetipo dell’usurpatore, del tiranno brillante ma autodistruttivo. Due visioni inconciliabili che, pur affondando le radici nel passato, continuano a plasmare il modo in cui i due popoli leggono la propria storia — e forse anche il proprio futuro.
Napoleone è morto da secoli. Ma la battaglia per la sua memoria è tutt’altro che finita.