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Bruxelles, 15 giugno 1815. Nella quieta e aristocratica residenza della duchessa di Richmond, nel cuore della città occupata dalle forze alleate britanniche, si celebrava uno degli eventi mondani più attesi della stagione: il celebre ballo della duchessa di Richmond. La nobiltà inglese, i generali, gli ufficiali, le dame e i diplomatici si erano dati appuntamento per una serata di musica, vino e danze, nella convinzione che la guerra fosse ancora lontana, che Napoleone stesse manovrando nel sud e che nulla sarebbe accaduto nell’immediato.
Ma quella sera, mentre le orchestre suonavano valzer viennesi e mazurche, la Storia fece irruzione tra le colonne e i lampadari di cristallo. Da lì a poche ore, l’imperatore dei francesi avrebbe scatenato la sua ultima grande campagna militare.
La duchessa Charlotte Lennox, moglie del duca di Richmond, aveva organizzato l’evento per offrire un po’ di sollievo all’alta società britannica e ai ranghi superiori dell’esercito, giunti in Belgio in preparazione dello scontro con l'esercito francese. La serata era, in apparenza, un riflesso di quell’ottimismo britannico che accompagnava le campagne continentali: vino abbondante, conversazioni brillanti, giovani ufficiali in alta uniforme, e sguardi che si perdevano tra candele e tulle.
Ma nella mente di alcuni ospiti serpeggiava già l’inquietudine. Tra loro, il duca di Wellington, comandante supremo delle forze alleate, si aggirava tra i saloni con un sorriso diplomatico ma lo sguardo altrove. Pochi minuti dopo l’inizio del ballo, ricevette una notizia che cambiò il corso della serata – e della storia.
Un ufficiale entrò trafelato con un dispaccio: Napoleone aveva attraversato la Sambre e colpito Charleroi. Era cominciato. Il comandante supremo comprese subito l’intenzione del nemico: dividere e schiacciare gli alleati britannici e prussiani prima che potessero unirsi.
Wellington non fece scenate. Si avvicinò a un angolo della sala e, come riportano diversi testimoni, con calma iniziò a pianificare le prime disposizioni militari, quasi tra un bicchiere e una nota di violino. Ordinò agli ufficiali di lasciare il ballo per raggiungere i propri reparti. Molti giovani tenenti e capitani uscirono ancora in uniforme da sera, salendo a cavallo con le spade al fianco e il cappello sotto braccio. La guerra era arrivata alla porta.
Il fascino di quel momento – la transizione improvvisa da un ballo aristocratico alla brutalità del campo di battaglia – scolpì l’evento nella memoria collettiva europea. I cronisti dell’epoca sottolinearono l’assurdità e la solennità della scena: ufficiali che lasciavano le danze per correre a morire, dame che salutavano i propri mariti e figli sotto i lampadari, nel sospetto che non li avrebbero mai più rivisti.
Lord Byron ne avrebbe fatto un passaggio nel suo poema Childe Harold, immortalando quella serata in versi drammatici:
“There was a sound of revelry by night,
And Belgium’s capital had gathered then
Her beauty and her chivalry…”
(“C’era un suono di baldoria notturna,
e la capitale del
Belgio si era riunita allora
con la sua bellezza e la sua
cavalleria…”)
Mentre a Bruxelles si ballava, Napoleone si trovava a meno di 50 chilometri a sud, manovrando il suo esercito con la precisione e l’audacia che gli avevano permesso di riconquistare la Francia dopo l’esilio all’Elba. Il suo obiettivo era colpire rapidamente i prussiani di Blücher a Ligny e i britannici a Quatre-Bras, per poi dividere e distruggere le armate della Settima Coalizione.
Ma nonostante la sorpresa, Wellington si mostrò all’altezza. Il giorno successivo, il 16 giugno, combatté a Quatre-Bras con fermezza. E due giorni dopo, il 18 giugno, avrebbe affrontato Napoleone a Waterloo, in una battaglia che avrebbe segnato la fine definitiva dell’impero francese.
Il ballo della duchessa di Richmond non fu solo un evento mondano: fu una fotografia dell’Europa aristocratica alla vigilia della sua trasformazione definitiva. Rappresentò il confine sottile tra il vecchio mondo e l’epoca moderna, tra la raffinatezza dell’ancien régime e la brutalità delle guerre napoleoniche.
Fu una notte di rose e tamburi lontani, di inchini e dispacci. Ma soprattutto, fu la notte in cui l’Europa, ancora vestita da ballo, si preparò a chiudere per sempre il sipario sul sogno imperiale di Napoleone.
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