lunedì 9 dicembre 2024

Napoleone irrompe a Saint-Cloud: Il Giorno in cui la Repubblica cedette all’Uomo Forte


Saint-Cloud, 10 novembre 1799 – Nel gelo incipiente del novembre francese, tra le stanze ovattate del castello di Saint-Cloud, si è consumato ieri un passaggio epocale che segna la fine della Rivoluzione e l’inizio dell’era napoleonica. Il generale Napoleone Bonaparte, acclamato vincitore delle campagne d’Italia e d’Egitto, ha forzato la mano al potere esecutivo, imponendo la propria volontà a un corpo legislativo ormai paralizzato da anni di incertezza, intrighi e logoramento politico. È il colpo di Stato del 18 Brumaio, un atto tanto audace quanto calcolato, con cui si rovescia il Direttorio e si pongono le basi per un nuovo ordine politico: il Consolato.

Fin dalle prime ore del mattino, il segnale era chiaro. I Consigli legislativi — gli Anziani e i Cinquecento — erano stati fatti trasferire d’urgenza da Parigi a Saint-Cloud con il pretesto di una cospirazione giacobina. Era un diversivo. In realtà, la manovra orchestrata da Emmanuel Sieyès e dal fratello di Napoleone, Lucien Bonaparte, presidente del Consiglio dei Cinquecento, aveva l’obiettivo preciso di isolare i parlamentari dalla capitale e dal popolo. L’esercito, intanto, era stato schierato nei giardini e nelle sale del castello. Comandava Bonaparte in persona.

Il momento culminante arriva nel primo pomeriggio. Con passo deciso e uniforme impeccabile, Napoleone fa irruzione nella sala dell’Orangerie, dove si riunisce il Consiglio dei Cinquecento. Il suo ingresso non è accolto da applausi, ma da un boato di proteste. “Fuorilegge! Traditore!” gridano i deputati più radicali. Alcuni tentano persino di assalirlo fisicamente. La scena è confusa, tesissima. Napoleone, col volto contratto ma lo sguardo glaciale, si ritira, vacilla per un momento, poi torna in campo con le armi della retorica e la forza dei granatieri.

È a questo punto che il fratello Lucien, rompendo con ogni protocollo, si rivolge alle truppe: accusa i deputati di aver tentato di assassinare il generale, proclama l’Assemblea “scellerata” e ordina lo scioglimento della sessione. I soldati, fedeli al loro comandante, entrano nella sala con le baionette inastate e disperdono l’assemblea tra urla, carte strappate e panche rovesciate. Il Parlamento repubblicano non esiste più.

Le ore successive sono convulse ma determinanti. Tre dei cinque membri del Direttorio danno le dimissioni, gli altri due vengono neutralizzati. La sera stessa, una manciata di deputati rimasti — in condizioni quantomeno discutibili di legalità — approvano l’instaurazione di un Consolato provvisorio. Alla sua guida: Emmanuel Sieyès, Roger Ducos e Napoleone Bonaparte.

Così termina, non con un voto ma con l’eco degli stivali dei granatieri, la stagione del Direttorio, nata nel 1795 sulle ceneri del Terrore. Con essa muore anche l’ultima illusione di una Repubblica parlamentare stabile. La Rivoluzione francese, nata con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo, si chiude in una sala di castello, soffocata dal clangore delle armi e dalla determinazione di un uomo solo.

Napoleone non ha ancora assunto formalmente il potere assoluto. Non si è ancora incoronato Imperatore. Ma l’essenza del futuro è già palpabile. Con la legittimazione della forza, con l’appoggio dell’esercito e la complicità di pochi uomini chiave, ha saputo imporsi come arbitro del destino francese. Non più solo generale, non ancora monarca, Bonaparte è già il centro del nuovo ordine. Un ordine che promette stabilità, progresso e grandezza — ma al prezzo di ogni residua forma di rappresentanza.

L’Europa osserva con apprensione. A Londra, Vienna e Berlino si legge l’accaduto come l’avvento di un nuovo Cesare. In Francia, molti esultano: sono stanchi della confusione, dell’instabilità, delle rivoluzioni nella rivoluzione. Altri tacciono, timorosi. Ma tutti, amici o nemici, sanno che niente sarà più come prima.

Il 18 Brumaio segna la fine di un’epoca. E l’inizio, solenne e inquietante, del secolo napoleonico.


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