giovedì 19 dicembre 2024

Ghigliottina: il prezzo della morte rapida nel Terrore rivoluzionario

Parigi, 1793. La folla si accalca in Place de la Révolution, davanti all’imponente macchina di legno che da mesi domina la scena politica e sociale della Francia rivoluzionaria. La ghigliottina, simbolo di giustizia e terrore, scandisce le giornate con il tonfo secco della lama che cala inesorabile. Migliaia di uomini e donne, aristocratici, preti, borghesi, rivoluzionari caduti in disgrazia, finiscono sotto la lama affilata in nome dell’uguaglianza. Ma persino nella morte, la Rivoluzione non cancella le disuguaglianze.

Durante il Regno del Terrore, tra il 1793 e il 1794, non era raro che i condannati cercassero di corrompere le guardie per essere eseguiti all’inizio della giornata. La ragione? Apparentemente banale, ma terribilmente pragmatica: la lama della ghigliottina, affilata la sera precedente, era più tagliente e precisa al mattino. Con il passare delle ore e delle esecuzioni, perdeva progressivamente efficacia, trasformando quella che doveva essere una morte istantanea in una scena di agonia prolungata.

La ghigliottina era stata concepita come strumento "umano" di giustizia. Il dottor Joseph-Ignace Guillotin, da cui prese il nome, non ne fu l’inventore, ma ne sostenne l’adozione come metodo rapido ed egualitario di esecuzione: stessi strumenti per nobili e popolani, nessuna distinzione di classe nella morte.

La lama, inizialmente diritta e successivamente obliqua per aumentarne l’efficacia, veniva montata in un pesante contenitore di legno e fatta scorrere su guide lubrificate. Ogni sera, dopo le esecuzioni, i boia e i loro assistenti si occupavano di affilarla nuovamente, in vista del giorno seguente.

Al mattino, i primi condannati sperimentavano una morte rapida e precisa: un colpo secco, istantaneo, quasi indolore. Con il passare delle ore, però, il ripetuto contatto con colli, ossa e tendini ottundeva il filo della lama. Così, chi finiva tra le ultime file della giornata rischiava una morte più lenta, talvolta richiedendo due o tre cadute della lama.

Non c’è documento ufficiale che dimostri l’esistenza di una tariffa fissa per guadagnare un posto tra i primi giustiziati. Tuttavia, numerose testimonianze dell’epoca – memorie di testimoni, scritti di cronisti e resoconti indiretti – suggeriscono che la corruzione fosse prassi comune.

Le guardie carcerarie, i secondini e persino i boia potevano essere avvicinati con denaro o con oggetti di valore. In un’epoca in cui anche i rivoluzionari più ferventi erano spesso a corto di mezzi, il denaro conservava intatto il suo potere. Poter pagare significava evitare l’umiliazione e la sofferenza di una lama spuntata, regalando a sé stessi una morte rapida.

Per chi non aveva mezzi, il destino era opposto: veniva spinto verso il fondo della lista, spesso dopo ore di attesa angosciante in prigione o sulla carretta che li portava alla piazza. Lì, davanti a una folla stanca e rumorosa, si poteva assistere a scene ben diverse da quelle "ideali" della morte istantanea.

Il contesto non va dimenticato: le esecuzioni erano veri e propri spettacoli. La folla voleva assistere al castigo dei nemici della Rivoluzione, e l’ordine di apparizione aveva anche un significato politico. I membri della famiglia reale e gli aristocratici più in vista venivano giustiziati al mattino, quando la piazza era gremita. Gli altri, spesso meno noti, erano riservati alle ore successive, davanti a una platea via via più ridotta.

Tuttavia, lo spettacolo rischiava di trasformarsi in tragedia quando la lama non assolveva al suo compito. Le cronache parlano di teste che non si staccavano al primo colpo, di condannati costretti a sopportare un secondo o un terzo tentativo. L’orrore non risparmiava nessuno, e a volte i boia erano costretti ad aggiungere manualmente forza con pesi supplementari per garantire il taglio.

Per ridurre queste situazioni imbarazzanti e cruente, fu escogitato un sistema semplice ma efficace: aggiungere progressivamente piccoli pesi al contenitore della lama. Questo permetteva di compensare la perdita di affilatura con una maggiore energia cinetica. La lama, più pesante, guadagnava in forza ciò che perdeva in taglienza.

Il rimedio risolse in parte il problema, ma non eliminò la paura che tormentava i condannati. Sapere che si sarebbe stati giustiziati nel pomeriggio o alla sera era una vera e propria condanna aggiuntiva, poiché significava affrontare un rischio maggiore di agonia.

Il fatto che la corruzione trovasse spazio persino davanti alla morte dice molto sul clima del Terrore. La Rivoluzione proclamava l’uguaglianza, ma nella pratica anche l’ultimo istante della vita poteva essere comprato. I ricchi, o coloro che avevano parenti pronti a sacrificare beni preziosi, potevano garantirsi un trattamento più rapido e meno doloroso. I poveri, invece, erano abbandonati al caso e alla lama spuntata.

Ciò non fece che aumentare la percezione dell’ipocrisia rivoluzionaria: un sistema che predicava giustizia ed equità, ma che nei fatti continuava a essere dominato da logiche di denaro e potere.

La ghigliottina nacque come simbolo di progresso: un metodo “moderno” che evitava le torture medievali, le impiccagioni malriuscite, le ruote e gli squartamenti. Doveva rappresentare la razionalità illuminista al servizio della giustizia rivoluzionaria.

Eppure, ben presto, il suo simbolismo cambiò. L’uso massiccio e quotidiano, le scene di sofferenza legate alle lame spuntate, le urla della folla e le corruzioni che ne regolavano il funzionamento la trasformarono in un emblema di terrore.

Non sorprende che, alla caduta di Robespierre e dei giacobini nel 1794, la macchina della ghigliottina restasse in piedi come monito, ma anche come spettro di un’epoca di sangue.

La ghigliottina non scomparve con la fine del Terrore. In Francia rimase in uso fino al 1977, con l’ultima esecuzione avvenuta a Marsiglia, quando Hamida Djandoubi fu giustiziato per omicidio. Nel frattempo, era diventata simbolo di un passato da cui la Repubblica cercava lentamente di emanciparsi.

La leggenda secondo cui i condannati pagavano per “essere i primi” sopravvisse nei racconti popolari, amplificata dalla memoria collettiva di un’epoca in cui ogni dettaglio della morte pubblica era osservato, discusso, giudicato. Anche se le prove documentarie restano frammentarie, il racconto coglie un fondo di verità: l’uguaglianza davanti alla ghigliottina non fu mai davvero realizzata.

La storia della ghigliottina durante il Terrore rivoluzionario ci mostra come persino il momento estremo della vita umana – la morte – potesse essere soggetto a dinamiche di potere, denaro e ingiustizia. La lama, affilata ogni sera e ottusa con il passare delle ore, rappresentava l’implacabile logica della Rivoluzione che divora sé stessa.

Morire al mattino o morire la sera non era la stessa cosa. E chi aveva i mezzi poteva, ancora una volta, comprarsi un destino migliore. Persino davanti alla lama della giustizia, la disuguaglianza sopravviveva.


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