venerdì 13 dicembre 2024

Il Caso del Duca d’Enghien: giustizia sommaria e potere assoluto all’alba dell’Impero napoleonico

 

Nel cuore della notte tra il 20 e il 21 marzo 1804, in una cupa fortezza nei pressi di Parigi, si consumò uno degli episodi più controversi e drammatici della storia francese post-rivoluzionaria: l'esecuzione di Luigi Antonio di Borbone, duca d’Enghien, ultimo rampollo della dinastia dei Condé. La sua condanna a morte, avvenuta senza prove concrete e dopo un processo sommario, suscitò indignazione in tutta Europa e marchiò indelebilmente l’ascesa politica di Napoleone Bonaparte.

Luigi di Borbone, nato nel 1772, era un principe reale appartenente a un ramo cadetto dei Borboni. Dopo la Rivoluzione, come molti aristocratici monarchici, aveva lasciato la Francia e si era unito alle armate controrivoluzionarie che combattevano contro la Repubblica. Risiedeva nel piccolo stato di Baden, al confine orientale del territorio francese, quando fu catturato su ordine diretto del Primo Console Napoleone Bonaparte, che lo sospettava — senza prove certe — di partecipare a un complotto monarchico per assassinare lui stesso e restaurare la monarchia.

In quel periodo, Parigi era scossa da voci e inquietudini. Un attentato noto come “la macchina infernale” aveva rischiato di uccidere Bonaparte nel 1800, e la polizia indagava incessantemente tra le fila realiste. Quando, nel 1804, si parlò di un nuovo complotto legittimista, Bonaparte scelse di colpire in modo esemplare. Non furono arrestati i cospiratori diretti (molti dei quali sfuggirono), ma un nobile simbolo della dinastia borbonica: il giovane Duca d’Enghien.

Il principe fu rapito da agenti francesi a Ettenheim, in violazione della sovranità territoriale del Baden, e tradotto rapidamente alla fortezza di Vincennes. Qui fu sottoposto a un interrogatorio sommario davanti a una commissione militare, senza possibilità di difesa effettiva, senza accesso ad avvocati, e con prove inconsistenti. I verbali del processo, oggi conservati, mostrano un impianto accusatorio debole e una volontà di condannare più che di indagare.

Nonostante avesse negato ogni coinvolgimento in cospirazioni attive, e avesse affermato con chiarezza di non aver mai combattuto contro la Repubblica dal 1795 in poi, il tribunale militare — agendo su pressione politica — lo condannò alla pena capitale. La sentenza fu eseguita immediatamente, la mattina del 21 marzo 1804, nel fossato della fortezza di Vincennes.

L’esecuzione del duca d’Enghien provocò un’ondata di sgomento e indignazione in tutta Europa. Le monarchie straniere, in particolare quella russa e austriaca, interpretarono l’atto come una palese violazione dei diritti di un principe reale. Anche in Francia, sebbene la stampa fosse controllata, molti intellettuali e membri dell’élite si sentirono turbati dal cinismo e dalla velocità con cui si era passati dalla cattura al plotone d’esecuzione.

Bonaparte, da parte sua, non si pentì. Anzi, sostenne che l’uccisione del Duca era stata necessaria per “insegnare ai realisti che la Francia non era più in balia dei Borboni”. Dietro l’eliminazione del principe c’era però anche una mossa politica più profonda: nei mesi successivi, Napoleone avrebbe fatto approvare un plebiscito che lo incoronava imperatore dei francesi. L’eliminazione del duca d’Enghien serviva anche come monito: chiunque minacciasse il nuovo ordine sarebbe stato schiacciato, a qualsiasi rango appartenesse.

Un’incisione del 1804, custodita oggi in collezione privata, raffigura il momento solenne del processo: il giovane duca, vestito con eleganza sobria, si trova davanti ai membri del tribunale militare. Il volto fiero, ma rassegnato. Intorno a lui, ufficiali impassibili e giuristi silenziosi. L’opera non è soltanto una testimonianza visiva, ma anche una denuncia implicita della crudeltà e dell’arbitrio della giustizia napoleonica.

Il caso del duca d’Enghien resta uno dei passaggi più inquietanti della transizione dalla Repubblica all’Impero. Mostra come, in nome della sicurezza e del potere, anche i principi fondamentali del diritto possano essere sacrificati. E racconta, al tempo stesso, quanto fragile fosse il confine tra ordine e terrore nella Francia di inizio Ottocento.



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