lunedì 2 dicembre 2024

Napoleone alla periferia di Madrid, 7 dicembre 1808: l’Impero contro l’insurrezione

Il 7 dicembre 1808, Napoleone Bonaparte giunse alle porte di Madrid. Non era un’entrata trionfale, ma nemmeno un passo incerto: era il culmine strategico di una campagna che l’Imperatore in persona aveva deciso di guidare dopo che l’intervento francese in Spagna si era impantanato in una guerriglia brutale, caotica, e profondamente diversa dalle guerre “regolari” combattute fino ad allora. Madrid non era solo la capitale di un regno: era il simbolo di un Impero da piegare, ma non ancora conquistato.

Napoleone aveva lasciato Parigi a inizio novembre con un intento chiaro: restaurare con la forza il controllo francese sulla Penisola Iberica, dopo che l’occupazione iniziale e la destituzione dei Borbone avevano scatenato un’insurrezione popolare di dimensioni inaspettate. L’insorgenza spagnola, iniziata con il massacro di civili a Madrid il 2 maggio, era diventata un problema politico, militare e morale per l’Impero francese. L’idea di un “fratello sul trono”, Giuseppe Bonaparte, era vista come una violenza, una profanazione.

Quando Napoleone attraversò la Sierra de Guadarrama tra nevi e sentieri impervi, lo fece con l’urgenza di ristabilire il principio imperiale: che l’autorità francese era irresistibile, e la ribellione inaccettabile. Le sue truppe – veterani della Grande Armée – si presentarono alla periferia di Madrid con efficienza brutale. In pochi giorni avevano sbaragliato le forze spagnole a Burgos, a Somosierra, in quella battaglia dove i lancieri polacchi caricarono su pendii quasi verticali abbattendo le difese spagnole con una furia che passò alla leggenda.

L’arrivo alle porte di Madrid il 7 dicembre fu il preludio di un assedio rapido e psicologicamente devastante. La capitale era già stremata, politicamente fratturata tra lealisti e patrioti. I madrileni si erano barrati dietro mura e barricate, ma la sproporzione di mezzi e la pressione costante fecero crollare la resistenza dopo tre giorni. Il 10 dicembre la città si arrese. Napoleone, in uniforme semplice ma in posizione dominante, entrò in Madrid non per festeggiare, ma per ammonire.

Tuttavia, sotto la vittoria apparente si celava una frattura più profonda. Quella spagnola non era una guerra tradizionale. Era una guerra popolare, irregolare, diffusa. Una guerra che si combatteva nei villaggi, nei boschi, tra contadini armati e frati armati di croce e pugnale. Napoleone, abituato a vincere battaglie decisive su campi aperti, si trovava immerso in un conflitto che eludeva ogni logica convenzionale: un labirinto senza centro da conquistare.

L’Imperatore tentò allora la via del potere simbolico. Ordinò l’abolizione dell’Inquisizione, la riforma dell’amministrazione, la promessa di modernità. Scrisse proclami, si rivolse “al popolo spagnolo” come se potesse ragionare con un’unica voce. Ma l’anima della Spagna era frammentata e ostile. Per ogni città pacificata, dieci villaggi si ribellavano. Per ogni collaborazionista, cento insorti giuravano vendetta.

L’occupazione di Madrid fu, in un certo senso, una vittoria vuota. La capitale era presa, ma la nazione sfuggiva. Nei mesi successivi, mentre Napoleone lasciava la Spagna per tornare a occuparsi dei fronti europei, la guerra contro la guerrilla si intensificava. Quella che doveva essere un’operazione rapida di normalizzazione si trasformò in una lunga agonia, che consumò centinaia di migliaia di uomini, minò la credibilità dell’Impero e fornì al Regno Unito l’opportunità di aprire un fronte decisivo nella penisola.

Il 7 dicembre 1808 segnò dunque l’apice dell’intervento napoleonico in Spagna, ma anche l’inizio del suo fallimento strategico. Madrid non fu mai veramente sottomessa. Fu silenziata, occupata, amministrata – ma non conquistata nel cuore. E con essa, l’intero progetto bonapartista in Iberia cominciò a sfilacciarsi.

Napoleone era arrivato alle porte della capitale con la forza del tuono, ma ne uscì con l’amaro sospetto che nessun esercito, per quanto potente, può vincere contro una nazione che si rifiuta di obbedire.



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