Louis-Alexandre Berthier, il genio invisibile dello Stato Maggiore imperiale
Tra le figure titaniche che plasmarono il volto militare dell’Europa nel vortice rivoluzionario e imperiale francese, Louis-Alexandre Berthier rimane, forse più di ogni altro, il simbolo del genio metodico, dell’efficienza silenziosa e del rigore assoluto che fecero da colonna vertebrale all’arte della guerra di Napoleone. Dietro le grandi cariche onorifiche — Principe di Neuchâtel, Duca di Valangin, Principe di Wagram — si cela un uomo la cui vera grandezza non si misurò sul campo tra le sabbie e le baionette, ma tra carte, dispacci e carte topografiche.
Berthier non fu un condottiero nel senso classico. Non incantava le truppe con proclami o gesti teatrali. Eppure, senza di lui, l’epopea napoleonica avrebbe probabilmente vacillato ancor prima di Marengo. Nato nel 1753 a Versailles, figlio di un ufficiale del Genio sotto Luigi XVI, Berthier fu allevato nel culto della precisione e dell’ordine. Entrò nell’esercito a diciassette anni, e dopo un decennio trascorso in Nord America, al fianco delle truppe francesi nella guerra d’indipendenza americana, tornò in patria con il grado di colonnello. Ma fu la Rivoluzione a dargli l’occasione di distinguersi definitivamente.
All’inizio fu comandante della Guardia nazionale a Versailles, legato ancora a un certo idealismo monarchico, tanto da aiutare nella fuga le sorelle del re. Ma presto si adattò ai nuovi tempi. Nella campagna delle Argonne si fece notare per la lucidità operativa. Quando nel 1796 Napoleone Bonaparte ottenne il comando dell’Armata d’Italia, fu proprio Berthier a diventare la sua ombra e il suo doppio organizzativo. Lo resterà per quasi vent’anni.
La sintonia tra i due uomini era perfetta: Napoleone dettava l’idea, Berthier la traduceva in un piano. L’imperatore descrisse il suo collaboratore come “indispensabile”, un elogio rarissimo da parte sua. In effetti, senza la struttura operativa ideata da Berthier, le geniali intuizioni strategiche di Napoleone sarebbero spesso rimaste sulla carta. Berthier conosceva a memoria ogni reparto, ogni ufficiale, ogni esigenza logistica delle armate imperiali. Coordinava marce su scala continentale con una rapidità che lasciava disorientati anche i più scettici strateghi avversari. Il segreto? Rigorosa pianificazione, chiarezza d’intenti, e una dedizione ossessiva al dettaglio.
Dopo la pace di Campoformio, fu lui a occupare Roma, proclamando la Repubblica Romana nel 1798. Partecipò alla campagna d’Egitto e fu tra i registi del colpo di Stato del 18 Brumaio, che segnò la fine del Direttorio e l’ascesa di Bonaparte al Consolato. Come Ministro della Guerra, riorganizzò l’esercito francese prima della campagna del 1800, dove a Marengo, pur non avendo un comando diretto, si distinse ancora una volta nella logistica dell'Armata di Riserva, traversando le Alpi con migliaia di uomini e cannoni — impresa memorabile per precisione e tempismo.
Berthier fu nominato Maresciallo dell’Impero nel 1804, primo nella lista per anzianità e merito. Seguì Napoleone in tutte le principali campagne — da Austerlitz a Jena, da Friedland a Wagram — sempre come capo di Stato Maggiore. La sua influenza crebbe fino a ottenere titoli principeschi. Eppure rimase un uomo schivo, privo della vanità di molti suoi colleghi marescialli.
Nel 1812, nella disastrosa campagna di Russia, fu ancora una volta al centro della macchina militare francese, ma fu lì che cominciarono a manifestarsi segni di esaurimento: l’immensità del teatro di guerra, l’impossibilità di mantenere comunicazioni efficaci, e la dispersione delle truppe misero in crisi anche la sua leggendaria efficienza. Lo stesso accadde in Germania e in Francia nel 1813-1814. Dopo l’abdicazione di Napoleone, Berthier si ritirò nei suoi feudi, accompagnando Luigi XVIII a Parigi, ma mantenendosi defilato.
Quando giunse la notizia del ritorno di Napoleone dall’Elba, Berthier esitò. Non si unì all’Imperatore, né si schierò apertamente contro di lui. Poco dopo si ritirò nel suo castello di Bamberga, dove il 1º giugno 1815 morì in circostanze mai chiarite: cadde da una finestra del terzo piano. Fu un incidente? Un suicidio? O un assassinio orchestrato per impedirgli di riabbracciare il suo antico signore? La verità resta sepolta con lui.
Napoleone, da Sant’Elena, non ebbe dubbi: la sua assenza fu decisiva. “Se Berthier fosse stato con me a Waterloo, l’esito della battaglia sarebbe potuto essere diverso”. È difficile stabilirlo con certezza, ma ciò che è certo è che nessun altro maresciallo impersonò la razionalità dell’Impero come Louis-Alexandre Berthier. Non era il volto della guerra, ma la mente che la rendeva possibile.