Si chiamava East India company, nota da noi come Compagnia delle Indie. Aveva sede a Londra e durò per oltre due secoli (1600-1858). Siete pronti per conoscere l’epopea di questa multinazionale ante litteram? Bene, allora issiamo le vele e salpiamo alla volta di questa meravigliosa avventura.
La Compagnia agiva come un vero Stato sovrano: amministrava la giustizia, batteva moneta, aveva una bandiera propria. E in caso di problemi aveva persino un esercito formato dai sepoys, i mercenari indiani.
Gli inglesi ebbero l’idea di “appaltare” tutti i loro affari con l’Oriente a un’unica grande ditta privata. Nel 1600 la regina Elisabetta I firmò un decreto che concedeva solo alla compagnia di navigare verso le Indie.
In principio, le sue attività commerciali interessarono il pepe, fondamentale per conservare la carne, ma anche per coprirne l’olezzo in caso di insuccesso. Con il tempo arrivò a operare in tre continenti e a decidere i destini di un quinto dell’umanità.
Ben presto al pepe si affiancarono molte altre merci come la noce moscata, i chiodi di garofano, il tè, l’oppio. La prima base orientale della Compagnia fu Bantam; mezzo secolo dopo c’è n’erano già 23 sparse anche a Calcutta e Bombay.
Il suo fatturato superò il Pil della Gran Bretagna. Il numero di persone amministrate toccò i 250 milioni, in un mondo che contava poco più di un miliardo di anime. Nel 1750 il governatore della Compagnia, Robert Clive, era l’uomo più ricco d’Inghilterra.
A questo stupefacente risultato si arrivò spargendo molto sangue: i nodi vennero al pettine nel 1857 quando gli stessi sepoys si ribellarono ai loro padroni. L’anno successivo il parlamento inglese revocò la legge della patente nautica di Elisabetta I e i beni nazionalizzati.
Così moriva la prima multinazionale della storia e nasceva l’impero inglese.
Nessun commento:
Posta un commento