domenica 10 novembre 2024

Napoleone Bonaparte: Il Conquistatore Mai Sazio



Napoleone Bonaparte è una figura che divide ancora oggi: eroe o tiranno? Genio militare o despota sanguinario? Ma al di là delle sue conquiste, emerge un ritratto più intimo—quello di un uomo tormentato, incapace di trovare pace nonostante i trionfi. La sua vita fu un turbine di gloria e disperazione, e in questo, somiglia ad altri grandi conquistatori della storia, condannati a un’eterna insoddisfazione.


Un Uomo di Contraddizioni

Il Riformatore

Napoleone non fu solo un generale: fu un modernizzatore. Il Codice Napoleonico (1804) rivoluzionò il diritto europeo, introducendo principi come l’uguaglianza davanti alla legge e la laicità dello Stato. In Francia, riorganizzò l’istruzione, l’amministrazione e l’economia, creando le fondamenta dello Stato moderno.


Il Tiranno

Eppure, il suo potere si nutrì di guerra. Tra il 1803 e il 1815, oltre 3 milioni di soldati morirono nelle sue campagne. Ripristinò la schiavitù nelle colonie francesi nel 1802, tradendo gli ideali della Rivoluzione. E quando il potere vacillò, preferì sacrificare migliaia di vite pur di non cedere—come nella disastrosa campagna di Russia (1812).


L’Uomo Solo

E qui emerge il paradosso: più conquistava, più sembrava infelice. Il suo matrimonio con Joséphine de Beauharnais fu travagliato da tradimenti e ossessioni. Dopo il divorzio, sposò Maria Luisa d’Austria per legittimarsi, ma nei suoi diari a Sant’Elena è Joséphine che rimpiange.


"La felicità non è nella gloria, ma nella concordia domestica."
— Napoleone a Sant’Elena

Morì nel 1821, prigioniero degli inglesi, consumato dalla nostalgia del potere e dai rimpianti.

Napoleone non fu un caso isolato. La storia è piena di conquistatori la cui grandezza coincide con un vuoto interiore.


1. Alessandro Magno

  • Conquistò l’impero persiano a 25 anni, spingendosi fino all’India.

  • Mai sazio: Piangeva perché "non c’erano più mondi da conquistare".

  • Morte precoce (32 anni), forse per avvelenamento, circondato da rivalità.


2. Giulio Cesare

  • Genio militare e politico, ma la sua ambizione distrusse la Repubblica Romana.

  • Pugnalato dai suoi stessi alleati, morendo con la consapevolezza di aver scatenato una guerra civile.

3. Genghis Khan

  • Unificò la Mongolia e creò il più vasto impero terrestre.

  • Negli ultimi anni, era paranoico e solo, temendo tradimenti persino dai figli.


4. Hannibal Barca

  • Giurò odio a Roma e la terrorizzà per anni.

  • Finì in esilio, preferendo il veleno alla cattura.


Perché questi uomini, pur dominando il mondo, non trovarono mai serenità? Forse perché il potere, quando diventa un’ossessione, consuma chi lo detiene. Napoleone stesso lo ammise:

"La gloria è fugace, ma l’oblio è eterno."

Eppure, il suo mito resiste. Forse perché, nella sua grandezza e nelle sue miserie, vediamo riflessa la natura umana: capace di toccare il cielo, ma incapace di trovarvi riposo.


sabato 9 novembre 2024

Oltre Napoleone: Le Radici Storiche del Nazionalismo Europeo

L'idea che Napoleone Bonaparte abbia “inventato” il nazionalismo è una semplificazione storica fuorviante, benché comprensibile. Più che inventore, l’imperatore francese fu catalizzatore e moltiplicatore di un fenomeno che affondava le sue radici ben prima della sua ascesa, e che avrebbe assunto forme diverse nel corso del XIX secolo. Il nazionalismo, inteso come sentimento di appartenenza collettiva a una comunità definita da lingua, cultura, territorio e storia comune, precede la parabola napoleonica e la supera in ampiezza e profondità.

Lungi dall’essere un parto esclusivo dell’età napoleonica, le prime avvisaglie del nazionalismo si intravedono già nel tardo Medioevo, quando le monarchie europee iniziano a costruire identità politiche e culturali stabili. Il Regno di Francia, la Castiglia e l’Inghilterra svilupparono forme di lealtà collettiva che avrebbero poi gettato le basi per l’idea moderna di nazione. Tuttavia, fu nel XVIII secolo, con l’Illuminismo e soprattutto con la Rivoluzione francese del 1789, che il nazionalismo trovò una cornice ideologica più solida e radicale. Il concetto di “popolo sovrano” e di “nazione” come espressione della volontà popolare scardinò i vecchi paradigmi basati sulla legittimità dinastica e sull'autorità religiosa.

Napoleone Bonaparte, salito al potere nel caos post-rivoluzionario, seppe cavalcare l’onda del patriottismo francese per legittimare il proprio impero. Ma fu anche paradossalmente l’artefice di una diffusione involontaria del nazionalismo su scala continentale. Mentre conquistava l’Europa con le sue armate, le popolazioni sottomesse assorbivano — e allo stesso tempo si ribellavano contro — i principi rivoluzionari francesi: libertà, uguaglianza, autodeterminazione. Così, ciò che era iniziato come un movimento francese si trasformò progressivamente in un fenomeno europeo. In Spagna, Germania, Polonia e Italia, il desiderio di autodeterminazione nazionale crebbe proprio in opposizione all'egemonia napoleonica.

È in questo contesto che emerge una delle figure più significative nella storia del nazionalismo europeo: Giuseppe Mazzini. Filosofo, patriota e teorico politico, Mazzini non solo articolò una visione etica e progressista della nazione, ma fu anche un instancabile attivista per l’unificazione dell’Italia. Fondatore della “Giovine Italia” e, successivamente, della “Giovine Europa”, Mazzini sognava un continente di nazioni libere, unite dalla solidarietà e dal principio repubblicano, piuttosto che da logiche imperiali o coloniali.

Il suo pensiero ebbe un’eco notevole anche oltre i confini italiani. Rifugiatosi a Londra per sfuggire alla repressione austriaca, Mazzini divenne una figura influente nell’Inghilterra vittoriana. Tra i suoi ammiratori vi furono intellettuali del calibro di Thomas Carlyle, considerato uno dei padri della sociologia moderna, il romanziere Charles Dickens, la pioniera dell’assistenza infermieristica Florence Nightingale e il poeta ribelle Algernon Charles Swinburne. In Irlanda, il movimento repubblicano che lottava contro il dominio britannico trasse ispirazione diretta dai suoi scritti e dalla sua attività rivoluzionaria.

L’eredità del nazionalismo mazziniano non si esaurisce nel Risorgimento italiano. La sua idea di una “nazione etica”, fondata non solo sulla comune appartenenza culturale ma anche su un impegno morale verso la libertà e la giustizia, rimane un punto di riferimento nel dibattito politico contemporaneo. In contrapposizione alle forme degenerative del nazionalismo — xenofobia, suprematismo, esclusione — il pensiero di Mazzini offre una visione più elevata, cosmopolita, nella quale le nazioni non si contrappongono ma collaborano in un’alleanza di popoli liberi.

Il nazionalismo moderno, insomma, è frutto di un lungo processo storico in cui Napoleone fu solo uno dei tanti protagonisti. La sua parabola, pur decisiva, si inserisce in una trama complessa fatta di rivoluzioni, resistenze, idee filosofiche e movimenti popolari. La verità storica, come sempre, è meno comoda delle leggende. E più interessante.



venerdì 8 novembre 2024

"L’Impero che non si può conquistare: Napoleone e l’ammirazione strategica per i Turchi"

Il rispetto che Napoleone Bonaparte mostrava nei confronti dei turchi, pur avendoli sconfitti militarmente, riflette una visione strategica e culturale ben più sofisticata della semplice logica amico-nemico. Le tre citazioni che hai segnalato, tratte da "Napoleon in His Own Words" di Jules Bertaut (1916), sono tra le più attendibili e significative in relazione alla sua opinione sugli Ottomani e sulla centralità di Costantinopoli.

Vediamole nel loro contesto storico e strategico.


1. “I turchi possono essere uccisi, ma non potranno mai essere conquistati.”

Questa affermazione riflette un principio ricorrente nel pensiero napoleonico: la distinzione tra sconfiggere e dominare. Napoleone, come stratega militare e politico, comprese che la forza d’animo e la coesione culturale di un popolo sono più decisive della mera potenza bellica. Riconosceva nei turchi – in particolare nell’Impero Ottomano – un’identità storica profondamente radicata, con una struttura religiosa, amministrativa e militare che rendeva quasi impossibile la loro assimilazione da parte di un potere straniero.

Questa osservazione è in linea con il pensiero di altri contemporanei come Metternich o Chateaubriand, che, pur considerando l’Impero Ottomano “malato”, lo ritenevano tutt’altro che facilmente assimilabile dai poteri europei. Napoleone stava probabilmente anche proiettando su di loro la sua concezione di "popolo forte": non nel senso di potenza militare assoluta, ma di coesione spirituale e resistenza culturale.

2. “Chiunque possieda Costantinopoli dovrebbe governare il mondo.”

Costantinopoli rappresentava per Napoleone ciò che fu per Costantino, Maometto II e successivamente per gli zar: il cuore geopolitico e simbolico dell’Eurasia. La città era crocevia di rotte commerciali, religiose e militari, un nodo che congiungeva Europa, Asia e Medio Oriente. Possedere Costantinopoli significava, nella sua visione imperiale, detenere il controllo sul Mediterraneo orientale, sul Mar Nero e, indirettamente, su buona parte delle rotte terrestri dell’Asia Minore.

Va notato che Napoleone, nel corso della campagna d’Egitto, contemplò l’idea di spingersi verso Costantinopoli. Non era un progetto concreto, ma un’ipotesi strategica coerente con la sua idea di espansione verso l’Oriente come chiave per contrastare la superiorità navale britannica.

3. “Quando i russi si impadroniranno di Costantinopoli, potranno trattenere lì quanti musulmani vorranno...”

Questa riflessione è più fredda e pragmatica. Napoleone riconosce l’inevitabile logica imperiale delle potenze del Nord (come la Russia zarista) nel mirare a Costantinopoli. Ma è anche una riflessione sul destino dei popoli conquistati. Paragona i musulmani ottomani ai Mori di Spagna, suggerendo che ogni occupazione può, de facto, essere tollerata da chi è conquistato, ma a costo della loro identità — fino a quando un ordine politico non ne decreti l’espulsione.

È un commento impregnato di cinismo geopolitico, ma anche di realismo storico. Conosceva le ferite dell'espulsione degli arabi e dei sefarditi dalla Spagna, e prevedeva, in un certo senso, che un simile processo si potesse ripetere se la Russia si fosse imposta su Costantinopoli: una lenta erosione culturale, mascherata da tolleranza.

Napoleone parlava con rispetto dei turchi nonostante la facilità apparente con cui li sconfisse perché il suo pensiero andava ben oltre il campo di battaglia. Era perfettamente consapevole che una vittoria militare non equivaleva a una conquista politica e culturale. I turchi, nella sua visione, erano l’incarnazione di un impero decadente ma non domabile, di una potenza spirituale e organizzativa che meritava rispetto strategico, se non altro per la sua resilienza storica.

Queste citazioni, lungi dall’essere solo espressioni di ammirazione, sono strumenti per comprendere il realismo politico napoleonico. In esse si riflette una delle più lucide interpretazioni dell’Impero Ottomano nell’epoca moderna: né modello, né alleato, né nemico da disprezzare, ma un attore imprescindibile nello scacchiere globale.



























giovedì 7 novembre 2024

Il mistero del tesoro perduto di Napoleone

 

La caduta di Napoleone Bonaparte nel 1815 segnò la fine di un'epoca, ma lasciò anche una domanda irrisolta: dove finì il suo immenso tesoro?

Durante il suo regno, Napoleone accumulò una fortuna enorme:

  • Oro e argento razziati dalle nazioni conquistate.

  • Gioielli e opere d'arte saccheggiati in Italia, Spagna, Prussia e Russia.

  • Tesori della Corona francese, tra cui diamanti e lingotti.

Si stima che, solo dalla campagna di Russia (1812), l'esercito francese abbia trafugato oltre 100 tonnellate d'oro e argento da Mosca e altre città.

Dopo la disastrosa ritirata dalla Russia e la sconfitta a Waterloo (1815), gran parte del bottino andò perduto. Diverse teorie cercano di spiegare cosa sia successo:

1. Il tesoro affondato nel fiume Berezina

Durante la ritirata dalla Russia, i francesi furono costretti ad attraversare il fiume Berezina sotto l’assalto dei cosacchi. Si dice che, per non far cadere il tesoro in mano nemica, carri pieni d’oro e gioielli furono gettati nelle acque gelide. Alcuni cercatori sostengono che il bottino sia ancora lì, sepolto sotto il fango.

2. Il tesoro sepolto in Lituania

Secondo alcune leggende, parte dell’oro di Napoleone fu nascosto vicino a Vilnius (Lituania) durante la ritirata. Alcuni documenti parlano di un convoglio segreto che si fermò in una foresta, dove il tesoro fu sotterrato. Finora, però, nessuno l’ha mai trovato.

3. Il tesoro di Waterloo

Dopo la sconfitta finale, Napoleone fuggì da Parigi con un carico di oro e diamanti. Alcuni storici credono che una parte sia stata nascosta in Francia o in Belgio, forse sepolta da fedeli ufficiali in attesa di un suo ritorno.

4. Il tesoro della Corona disperso

Molti gioielli della Corona francese furono fusi o venduti per finanziare le guerre. Alcuni pezzi, però, potrebbero essere finiti in collezioni private o in banche svizzere.

Nel corso degli anni, molti hanno cercato il tesoro perduto di Napoleone:

  • 2012: Un team franco-russe ha scandagliato il fiume Berezina con metal detector, trovando solo alcuni reperti minori.

  • 2018: In Lituania, un gruppo di archeologi ha cercato tracce del convoglio segreto, senza successo.

  • Alcuni credono che parte dell’oro sia finito nelle casse dei banchieri Rothschild, che finanziarono sia Napoleone che i suoi nemici.

Ancora oggi, nessuno sa con certezza dove sia finito il tesoro di Napoleone. Forse giace in fondo a un fiume, sepolto in una foresta, o disperso tra collezionisti. Una cosa è certa: finché non verrà trovato, la leggenda del bottino perduto continuerà ad affascinare storici e avventurieri.

"La gloria è effimera, ma l'oro è eterno" – e forse, da qualche parte, quello di Napoleone aspetta ancora di essere scoperto.







mercoledì 6 novembre 2024

Napoleone Bonaparte: genio militare e stratega senza eguali


"Ero solito dire di lui che la sua presenza sul campo di battaglia rappresentava una differenza di 40.000 uomini in più" – così il duca di Wellington descriveva Napoleone, riconoscendone il carisma e l’abilità strategica.

Ma cosa rese Napoleone uno dei più grandi condottieri della storia? La risposta risiede nella sua capacità di innovare la guerra, fondendo rapidità, ingegno tattico e un esercito organizzato in modo rivoluzionario.

Napoleone non era un teorico, ma un pragmatico. Studiava i grandi condottieri del passato, adattando le loro idee alla realtà del campo di battaglia. Il suo obiettivo era chiaro: annientare l’esercito avversario con rapidità e precisione.

"In Europa vi sono molti bravi generali, ma essi guardano troppe cose tutte in una volta. Io vedo una cosa sola: la parte più forte dell’esercito nemico. Cerco di annientarla, pensando che le questioni meno importanti si sistemeranno da sole" (1797).

La sua strategia si basava su due principi fondamentali:

  1. La "manoeuvre sur les derriéres" (accerchiamento strategico): aggirare il nemico sfruttando il terreno, attaccandolo alle spalle mentre una forza minore lo teneva impegnato frontalmente.

  2. La "posizione centrale": quando in inferiorità numerica, divideva le armate nemiche, affrontandole separatamente prima che potessero riunirsi.

Napoleone sapeva che la guerra moderna richiedeva mobilità e flessibilità. Per questo rivoluzionò l’organizzazione militare:

  • Corpi d’Armata autonomi: piccoli eserciti indipendenti, capaci di combattere da soli e riunirsi rapidamente quando necessario.

  • Meritocrazia: gli ufficiali venivano scelti per capacità, non per nobiltà.

  • Motivazione delle truppe: i soldati lo adoravano perché li guidava personalmente e li ricompensava con gloria e bottino.


Le armi della Grande Armée

Artiglieria: la specialità di Napoleone

Formatosi come artigliere, Napoleone potenziò i cannoni francesi, rendendoli tra i più efficaci d’Europa. L’artiglieria apriva le battaglie, indebolendo il nemico prima dell’assalto.


Fanteria: la "furia francese"

I fanti napoleonici erano temuti per la loro aggressività. Combattevano in colonne compatte, avanzando sotto il fuoco nemico per poi scaricare raffiche di moschetti e caricare alla baionetta.

Cavalleria: lo shock sul campo

Riorganizzata da Murat, la cavalleria napoleonica era un’arma micidiale. Dai veloci ussari ai pesanti corazzieri, poteva sfondare le linee nemiche con cariche travolgenti.

La Guardia Imperiale: l’élite

Era l’unità d’élite, fedelissima a Napoleone. Combatté fino all’ultimo a Waterloo, difendendo l’Imperatore in quadrati impenetrabili.

Napoleone cambiò per sempre l’arte della guerra. La sua capacità di unire strategia, velocità e motivazione delle truppe lo rese invincibile per anni. Anche dopo la sconfitta, i suoi metodi influenzarono generazioni di generali, dimostrando che in guerra non contano solo i numeri, ma l’intelligenza e l’audacia.

"La vittoria appartiene al più perseverante" – e Napoleone, più di chiunque altro, seppe incarnare questo principio.




martedì 5 novembre 2024

Come comunicavano tra loro gli ufficiali dell'esercito di Napoleone?

Gli ufficiali dell’esercito napoleonico comunicavano principalmente in francese, che era la lingua ufficiale dell’esercito e dell’amministrazione imperiale. Tuttavia, la realtà sul campo era molto più complessa e sfaccettata, soprattutto a causa della composizione estremamente eterogenea della Grande Armée.

Il francese era obbligatorio per tutti gli ufficiali, almeno a livello scritto e formale. Tutti gli ordini, rapporti, corrispondenze e comunicazioni strategiche erano redatti in francese. Gli ufficiali che non lo parlavano all'inizio della loro carriera dovevano impararlo per poter avanzare nei ranghi. Questo valeva in particolare per gli ufficiali stranieri arruolati nei reggimenti alleati o nelle unità satelliti dell’Impero.

La Grande Armée non era composta solo da francesi, ma anche da italiani, tedeschi, polacchi, spagnoli, belgi, olandesi, svizzeri, croati, e persino irlandesi. Questo mosaico linguistico richiedeva soluzioni pratiche:

  • Gli ufficiali stranieri più esperti spesso fungevano da interpreti tra le truppe e i comandi superiori.

  • In alcune unità straniere, come la Legione Polacca o i reggimenti tedeschi della Confederazione del Reno, gli ordini venivano impartiti nella lingua madre a livello tattico, mentre le comunicazioni con il quartier generale restavano in francese.

  • Tra i soldati semplici, le comunicazioni quotidiane e orali avvenivano nella lingua locale o in una sorta di pidgin multilingue, a volte con l’aiuto di sottufficiali bilingui.

Gli ufficiali italiani, provenienti dai vari regni napoleonici (Regno d’Italia, Regno di Napoli, ecc.), trovavano più facile apprendere il francese, grazie alla somiglianza linguistica. L’intercomprensione era facilitata, e non mancano lettere o rapporti redatti in un “franco-italiano” comprensibile a entrambi.

Gli ufficiali provenienti dagli Stati tedeschi della Confederazione del Reno (come Baviera, Sassonia, Württemberg) dovevano invece imparare il francese come seconda lingua, cosa che spesso facevano grazie all’educazione aristocratica o militare. In alcuni casi, le traduzioni erano fornite direttamente dai quartier generali imperiali, soprattutto per documenti complessi.

Tra gli slavi (come i croati o i polacchi), era comune che i comandanti francesi si affidassero a ufficiali intermedi bilingui per trasmettere ordini alle truppe.

Durante le campagne, le comunicazioni avvenivano anche tramite:

  • messaggeri a cavallo (ordinanze o aide-de-camp);

  • biglietti e dispacci scritti a mano, trasportati da corrieri militari;

  • codici e cifrari, soprattutto per le comunicazioni sensibili tra i livelli più alti del comando;

  • segnali visivi e acustici, come fanfare, tamburi e bandiere, per manovre immediate sul campo di battaglia.

Napoleone stesso parlava un francese con forte accento corso, ma era un oratore efficace. Non conosceva altre lingue in modo fluente, sebbene avesse tentato di imparare l’inglese a Sant’Elena. Preferiva però circondarsi di ufficiali e collaboratori che potessero mediare linguisticamente con i contingenti stranieri.

Il francese era la lingua del potere, del comando e della strategia, ma la quotidianità dell’esercito napoleonico era attraversata da una sorprendente pluralità linguistica, gestita con pragmatismo, interpreti e una buona dose di adattabilità. Questo aspetto contribuì alla straordinaria flessibilità operativa della Grande Armée — e alla sua efficienza, almeno fino al tracollo delle campagne successive al 1812.


lunedì 4 novembre 2024

Napoleone: il genio, l’uomo e i suoi lati nascosti


Parlare di Napoleone Bonaparte significa evocare l’immagine di un gigante della storia, uno stratega ineguagliabile, un legislatore rivoluzionario, un despota e un riformatore. Tuttavia, dietro il mito dell’Imperatore che cambiò l’Europa si cela un uomo pieno di contraddizioni, debolezze e abitudini insolite, alcuni aspetti dei quali sono sfuggiti alla narrazione più nota. Scavare in questi dettagli non significa sminuirne la grandezza, bensì comprenderla meglio: perché persino gli dei, come ci insegna la mitologia, sono più interessanti quando mostrano i loro difetti.

Contrariamente alla credenza popolare, Napoleone non era affatto basso. La sua altezza, stimata tra i 168 e i 170 cm, era in linea con la media dei francesi del suo tempo. L’idea del “piccolo Napoleone” fu frutto della propaganda britannica, la stessa che cercò di minarne la statura politica riducendola a un fatto fisico. Il confronto con le sue imponenti guardie imperiali, spesso di statura eccezionale, contribuì ulteriormente a perpetuare l’illusione.

Dietro la figura austera del condottiero si nascondeva anche un uomo dalle capacità artistiche alquanto limitate. Sebbene amasse la musica, Napoleone non era in grado di cantare o fischiettare correttamente. Stonava a tal punto da compromettere la melodia originale, e il suo senso del ritmo era pressoché inesistente. Era altrettanto goffo nel ballo, un dettaglio imbarazzante se paragonato all’elegante rivale Wellington, noto per la sua bravura sulla pista da ballo.

La passione per il comando non gli impediva di abbandonarsi a dipendenze singolari. Era ghiotto di liquirizia e consumava regolarmente tabacco da fiuto. In un gesto di bizzarra tenerezza, era solito offrire la liquirizia ai bambini. Non si può dire lo stesso del suo talento nei giochi di logica: era un pessimo giocatore di scacchi e carte. Celebre la sua umiliante sconfitta contro il “Turco Meccanico”, un automa scacchista, che lo fece infuriare al punto da minacciare di radere al suolo Berlino. Peggio ancora, tendeva a barare a carte e, quando scoperto, se la cavava con una risata.

Eppure, dietro questi difetti, emergevano tratti di profonda umanità. Visitando un campo di battaglia, fu colto da una crisi emotiva quando un cane gli corse incontro e lo guidò verso il cadavere del padrone. "Senza lacrime ho mandato migliaia di uomini a morire", scrisse. "Eppure un cane mi ha fatto piangere."

Grande amante dei cavalli, detestava invece i gatti, tollerandoli solo per amore dell’Imperatrice Giuseppina, che ne teneva molti. La sua avversione per i felini fu ereditata in forma acuta dal nipote Napoleone III, afflitto da una fobia conclamata.

Napoleone era anche un avido lettore. Possedeva una biblioteca portatile che lo seguiva nelle campagne militari, e si distingueva per la velocità con cui assimilava contenuti complessi. A Sant’Elena cercò persino di imparare l’inglese, anche se con scarsi risultati. Il suo “inglese” era una miscela surreale di parole francesi e fonetiche anglofone, che l’amica Betsy Balcombe definì “la lingua più strana del mondo”.

Curiosamente, Napoleone dimostrava affetto in modo piuttosto doloroso: pizzicava. Forte, e spesso sulle orecchie. Era una consuetudine familiare corsa, che manteneva in età adulta, lasciando basiti i suoi interlocutori. Nonostante l'indole focosa, disprezzava i duelli: li riteneva un inutile spreco di risorse umane e un ostacolo alla disciplina militare. Non ne proibì formalmente la pratica, ma ne scoraggiò l’uso con decisione.

Sul campo di battaglia, pur non eccellendo con la spada, era un tiratore formidabile, dote che coltivò sin da ragazzo grazie alla passione per la caccia. E se Wellington era uno schermidore elegante, Napoleone compensava con una mira letale e calcolata.

Napoleone era più corso che francese, almeno nello spirito. Parlava con un marcato accento isolano, era sensibile al freddo e prediligeva pasti semplici, da consumare con le mani. Il suo cappotto grigio, indossato con regolarità, era più un’armatura contro il freddo che una scelta estetica.

Sebbene poco religioso, era superstizioso. Evitava il numero 13, temeva il venerdì, ma credeva nei talismani e nella propria “buona stella”. Vedeva in Giuseppina un amuleto vivente, ed esitava a separarsene proprio per timore che la sorte gli voltasse le spalle.

Era un instancabile lavoratore. Dormiva poco, spesso non più di quattro ore per notte. La sua capacità di concentrazione era prodigiosa. Dettava lettere mentre si radeva o mangiava, gestiva più dossier contemporaneamente e non interrompeva mai l’attività mentale, neanche durante lunghi bagni caldi, che usava per leggere e lavorare.

Aveva un olfatto sviluppatissimo. Amava l’acqua di colonia, tanto da usarla in abbondanza e – in alcune occasioni – persino ingerirla. Questo spiega la sua celebre lettera a Giuseppina: “Non lavarti, arrivo!” – una testimonianza del suo impulso olfattivo e della chimica sensuale che li legava. Nonostante i reciproci tradimenti, il loro fu un amore intenso, passionale, autentico.

Astemio non era, ma detestava l’ubriachezza. Beveva poco e solo vino annacquato, convinto che la lucidità mentale fosse il primo dovere di un comandante. La sua grafia, tuttavia, lasciava a desiderare: tanto illeggibile da costringere i segretari a lunghe sessioni interpretative.

Le sue condizioni di salute furono peggiorate dalla sua carriera. Soffriva di disturbi gastrointestinali, emorroidi, forse epilessia, e fu ferito in battaglia più volte di quanto comunemente si creda. Ma sempre cercò di celare la sofferenza, per non apparire vulnerabile. Persino i suoi cavalli pagavano un prezzo altissimo: ne perse più di una dozzina.

Infine, Napoleone è stato una delle figure storiche più trattate dalla letteratura mondiale. Alcuni sostengono che esistano più libri su di lui che giorni trascorsi dalla sua morte. Una leggenda? Forse. Ma certo è che, come pochi altri uomini della storia, Napoleone continua ad affascinare per ciò che ha fatto… e per ciò che era. Un uomo prima ancora che un imperatore.