Parlare di Napoleone Bonaparte significa evocare l’immagine di
un gigante della storia, uno stratega ineguagliabile, un legislatore
rivoluzionario, un despota e un riformatore. Tuttavia, dietro il mito
dell’Imperatore che cambiò l’Europa si cela un uomo pieno di
contraddizioni, debolezze e abitudini insolite, alcuni aspetti dei
quali sono sfuggiti alla narrazione più nota. Scavare in questi
dettagli non significa sminuirne la grandezza, bensì comprenderla
meglio: perché persino gli dei, come ci insegna la mitologia, sono
più interessanti quando mostrano i loro difetti.
Contrariamente alla credenza popolare, Napoleone non era affatto
basso. La sua altezza, stimata tra i 168 e i 170 cm, era in linea con
la media dei francesi del suo tempo. L’idea del “piccolo
Napoleone” fu frutto della propaganda britannica, la stessa che
cercò di minarne la statura politica riducendola a un fatto fisico.
Il confronto con le sue imponenti guardie imperiali, spesso di
statura eccezionale, contribuì ulteriormente a perpetuare
l’illusione.
Dietro la figura austera del condottiero si nascondeva anche un
uomo dalle capacità artistiche alquanto limitate. Sebbene amasse la
musica, Napoleone non era in grado di cantare o fischiettare
correttamente. Stonava a tal punto da compromettere la melodia
originale, e il suo senso del ritmo era pressoché inesistente. Era
altrettanto goffo nel ballo, un dettaglio imbarazzante se paragonato
all’elegante rivale Wellington, noto per la sua bravura sulla pista
da ballo.
La passione per il comando non gli impediva di abbandonarsi a
dipendenze singolari. Era ghiotto di liquirizia e consumava
regolarmente tabacco da fiuto. In un gesto di bizzarra tenerezza, era
solito offrire la liquirizia ai bambini. Non si può dire lo stesso
del suo talento nei giochi di logica: era un pessimo giocatore di
scacchi e carte. Celebre la sua umiliante sconfitta contro il “Turco
Meccanico”, un automa scacchista, che lo fece infuriare al punto da
minacciare di radere al suolo Berlino. Peggio ancora, tendeva a
barare a carte e, quando scoperto, se la cavava con una risata.
Eppure, dietro questi difetti, emergevano tratti di profonda
umanità. Visitando un campo di battaglia, fu colto da una crisi
emotiva quando un cane gli corse incontro e lo guidò verso il
cadavere del padrone. "Senza lacrime ho mandato migliaia di
uomini a morire", scrisse. "Eppure un cane mi ha fatto
piangere."
Grande amante dei cavalli, detestava invece i gatti, tollerandoli
solo per amore dell’Imperatrice Giuseppina, che ne teneva molti. La
sua avversione per i felini fu ereditata in forma acuta dal nipote
Napoleone III, afflitto da una fobia conclamata.
Napoleone era anche un avido lettore. Possedeva una biblioteca
portatile che lo seguiva nelle campagne militari, e si distingueva
per la velocità con cui assimilava contenuti complessi. A Sant’Elena
cercò persino di imparare l’inglese, anche se con scarsi
risultati. Il suo “inglese” era una miscela surreale di parole
francesi e fonetiche anglofone, che l’amica Betsy Balcombe definì
“la lingua più strana del mondo”.
Curiosamente, Napoleone dimostrava affetto in modo piuttosto
doloroso: pizzicava. Forte, e spesso sulle orecchie. Era una
consuetudine familiare corsa, che manteneva in età adulta, lasciando
basiti i suoi interlocutori. Nonostante l'indole focosa, disprezzava
i duelli: li riteneva un inutile spreco di risorse umane e un
ostacolo alla disciplina militare. Non ne proibì formalmente la
pratica, ma ne scoraggiò l’uso con decisione.
Sul campo di battaglia, pur non eccellendo con la spada, era un
tiratore formidabile, dote che coltivò sin da ragazzo grazie alla
passione per la caccia. E se Wellington era uno schermidore elegante,
Napoleone compensava con una mira letale e calcolata.
Napoleone era più corso che francese, almeno nello spirito.
Parlava con un marcato accento isolano, era sensibile al freddo e
prediligeva pasti semplici, da consumare con le mani. Il suo cappotto
grigio, indossato con regolarità, era più un’armatura contro il
freddo che una scelta estetica.
Sebbene poco religioso, era superstizioso. Evitava il numero 13,
temeva il venerdì, ma credeva nei talismani e nella propria “buona
stella”. Vedeva in Giuseppina un amuleto vivente, ed esitava a
separarsene proprio per timore che la sorte gli voltasse le spalle.
Era un instancabile lavoratore. Dormiva poco, spesso non più di
quattro ore per notte. La sua capacità di concentrazione era
prodigiosa. Dettava lettere mentre si radeva o mangiava, gestiva più
dossier contemporaneamente e non interrompeva mai l’attività
mentale, neanche durante lunghi bagni caldi, che usava per leggere e
lavorare.
Aveva un olfatto sviluppatissimo. Amava l’acqua di colonia,
tanto da usarla in abbondanza e – in alcune occasioni – persino
ingerirla. Questo spiega la sua celebre lettera a Giuseppina: “Non
lavarti, arrivo!” – una testimonianza del suo impulso olfattivo e
della chimica sensuale che li legava. Nonostante i reciproci
tradimenti, il loro fu un amore intenso, passionale, autentico.
Astemio non era, ma detestava l’ubriachezza. Beveva poco e solo
vino annacquato, convinto che la lucidità mentale fosse il primo
dovere di un comandante. La sua grafia, tuttavia, lasciava a
desiderare: tanto illeggibile da costringere i segretari a lunghe
sessioni interpretative.
Le sue condizioni di salute furono peggiorate dalla sua carriera.
Soffriva di disturbi gastrointestinali, emorroidi, forse epilessia, e
fu ferito in battaglia più volte di quanto comunemente si creda. Ma
sempre cercò di celare la sofferenza, per non apparire vulnerabile.
Persino i suoi cavalli pagavano un prezzo altissimo: ne perse più di
una dozzina.
Infine, Napoleone è stato una delle figure storiche più trattate
dalla letteratura mondiale. Alcuni sostengono che esistano più libri
su di lui che giorni trascorsi dalla sua morte. Una leggenda? Forse.
Ma certo è che, come pochi altri uomini della storia, Napoleone
continua ad affascinare per ciò che ha fatto… e per ciò che era.
Un uomo prima ancora che un imperatore.