giovedì 26 settembre 2024

Napoleone e Lettow-Vorbeck: strateghe dell’impossibile, maestri dell’arte di resistere

All’apparenza, Napoleone Bonaparte e Paul Emil von Lettow-Vorbeck appartengono a mondi distanti e inconciliabili. Il primo, imperatore dei francesi, dominatore dell’Europa all’alba del XIX secolo; il secondo, generale prussiano, figura marginale nella narrazione bellica europea, relegata ai margini dell’Africa orientale durante la Prima guerra mondiale. Eppure, sotto la superficie delle cronache e delle mappe, qualcosa li accomuna in profondità: l’arte della guerra come teatro della volontà, l’ostinazione dell’uomo contro forze soverchianti e l’abilità — quasi alchemica — di trasformare la ritirata in leggenda.

Napoleone e Lettow-Vorbeck sono, ciascuno a modo suo, esponenti supremi della guerra di movimento. Entrambi seppero sfruttare l’ambiente come alleato, il tempo come arma, la sorpresa come forma di superiorità tattica. E in entrambi si manifesta il tratto raro e quasi sacrale del comandante capace di ispirare un’intera armata anche nel momento della disfatta.

Napoleone trasformò un esercito disordinato e affamato nella forza più temibile d’Europa, scrivendo pagine immortali a Marengo, Austerlitz, Jena. Ma fu nella ritirata di Russia, e più tardi a Waterloo, che emerse il suo carisma tragico: anche nella sconfitta, anche nella fuga, Bonaparte restava il centro gravitazionale della storia. La sua parabola è l’epopea dell’uomo solo contro la coalizione di tutte le potenze del continente. Un titano che resiste nonostante tutto, un Prometeo in uniforme.

Similmente, Lettow-Vorbeck combatté la sua personale guerra napoleonica nel cuore dell’Africa. Con appena 14.000 uomini, dei quali la maggior parte erano soldati africani askari, tenne testa per quattro anni a un nemico che lo sovrastava in numero, mezzi, risorse e logistica. Condusse la sua campagna militare su un territorio vastissimo, attraversando l’attuale Tanzania, Mozambico, Zambia e Zimbabwe. Non fu mai sconfitto. E soprattutto non si arrese mai: depose le armi solo l’ordine diretto di Berlino, dopo l’armistizio dell’11 novembre 1918, e lo fece a guerra già finita.

Come Napoleone, Lettow-Vorbeck fu maestro della mobilità, del colpo d’occhio strategico, della logorante guerra asimmetrica. E come il francese, seppe farsi mito, alimentando attorno alla propria figura un’aura leggendaria. Venne chiamato “la lucertola imprendibile” dagli inglesi, che pure impiegarono oltre 300.000 uomini per provare a catturarlo. Era il fantasma che attraversava la savana, l’incubo che vanificava ogni certezza coloniale.

Ma la vera affinità tra i due non è solo militare. Sta nel carattere, nell’idea quasi romantica di una guerra personale e totale. Napoleone e Lettow-Vorbeck combatterono non per conto dei governi, ma come incarnazioni viventi di una visione politica e morale. L’uno per la Francia rivoluzionaria che voleva plasmare il mondo; l’altro per un Impero prussiano in declino, al quale tentava di restituire onore e significato in una campagna dimenticata.

Entrambi, alla fine, furono sconfitti. Ma non domati. E forse è proprio questa la loro eredità più duratura: aver mostrato che la grandezza non risiede soltanto nella vittoria, ma nella capacità di sfidare l’impossibile, di mantenere saldo il comando nell’inferno del disordine, di costruire — attraverso il fuoco e la ritirata — un racconto che resista al tempo.

Napoleone morì in esilio a Sant’Elena, solo e sorvegliato, mentre il mondo lo trasformava in leggenda. Lettow-Vorbeck tornò in Germania, povero ma celebrato come eroe, testimone vivente di una guerra che aveva combattuto con onore. A unirli, infine, resta una medesima orma nella sabbia della storia: quella di uomini che, pur privi di mezzi, seppero piegare il destino alla propria volontà.

mercoledì 25 settembre 2024

Napoleone, l’India e i piroscafi britannici: la rotta imperiale che sfidò l’Oriente

Mentre l’Europa usciva sconvolta dalle guerre napoleoniche, con il vecchio continente intento a ridisegnare i suoi equilibri interni, una silenziosa ma inarrestabile rivoluzione avveniva nei mari: quella del vapore. E se Napoleone Bonaparte aveva concepito, almeno in linea teorica, un piano per minacciare l’India britannica partendo dall’Egitto, furono invece i piroscafi britannici, qualche decennio più tardi, a consolidare il dominio imperiale nel subcontinente attraverso un’autentica rivoluzione logistica.

Nel 1798, Napoleone guidò la campagna d’Egitto con un’ambizione che andava ben oltre i confini del Nord Africa. Il suo obiettivo strategico era chiaro: aprire una rotta verso l’India, cuore dell’Impero britannico e sua fonte principale di ricchezza. L’idea, ambiziosa al limite dell’utopia, prevedeva di tagliare le comunicazioni tra Londra e le colonie indiane, destabilizzando l’equilibrio geopolitico mondiale. Ma l’impresa, benché audace, si scontrò con limiti logistici insormontabili. Il controllo navale britannico nel Mediterraneo e nel Mar Rosso, unito alla fragilità delle comunicazioni terrestri tra Egitto e India, rese la visione napoleonica irrealizzabile. Tuttavia, essa anticipava una verità strategica che gli inglesi avrebbero intuito per primi: il futuro dell’Impero si sarebbe giocato sulla velocità dei collegamenti.

Fu con l’avvento della navigazione a vapore che la Gran Bretagna riuscì a piegare definitivamente le distanze geografiche, trasformandole in strumenti di dominio. I primi piroscafi commerciali britannici iniziarono a solcare con regolarità le rotte verso l’India negli anni ’30 dell’Ottocento. Il viaggio, che in precedenza poteva durare fino a sei mesi a vela, venne progressivamente ridotto a meno di due mesi, grazie a una rotta che univa l’Inghilterra a Suez, da lì via terra a Suez City e poi per mare verso Bombay e Calcutta.

La compagnia pionieristica fu la Peninsular and Oriental Steam Navigation Company (P&O), che nel 1840 ottenne un contratto governativo per trasportare la posta imperiale. Ma si trattava di ben più che lettere: ogni piroscafo trasportava ufficiali, merci, investimenti, ordini e simboli del potere britannico. Con loro, viaggiava l’ideologia imperiale — il concetto stesso di civiltà, efficienza, dominio.

Il passaggio chiave rimaneva Suez, molto prima che il celebre canale fosse completato nel 1869. In attesa dell’opera, si impiegava un trasbordo via cammello o carrozza da Alessandria a Suez, e da lì un altro piroscafo prendeva il largo verso l’Oceano Indiano. Il governo britannico investì enormi risorse per sviluppare queste tratte, dotando i porti di infrastrutture moderne e stringendo alleanze locali con i sovrani arabi della regione. La linea Londra-Marsiglia-Alessandria-Suez-Aden-Bombay divenne l’aorta dell’Impero orientale, una rotta che non solo trasportava beni e persone, ma consolidava una visione del mondo centrata su Londra come capitale della modernità globale.

La vera ironia storica sta nel fatto che, pur non avendo mai potuto attuare il proprio piano per raggiungere l’India, Napoleone intuì per primo l’importanza di quell’asse geopolitico. La sua campagna d’Egitto, più fallimentare sul campo che sul piano ideologico, avrebbe gettato le basi di una sensibilità nuova nei confronti dell’Oriente. I Britannici, che avevano visto con sospetto l’invasione napoleonica, capirono che proteggere le vie d’accesso all’India era una priorità esistenziale.

L’ingegno napoleonico — visionario, continentale, imperfetto — si scontrò con la potenza industriale e navale dell’Inghilterra vittoriana. Fu quest’ultima, con il carbone e l’acciaio, a fare della rotta per l’India non più un sogno da conquistatori, ma una certezza logistica, commerciale e strategica.

Col tempo, i piroscafi furono sostituiti da navi sempre più rapide, e con l’apertura del Canale di Suez, la distanza tra metropoli e colonia si accorciò ulteriormente. Ma l’eco dell’intuizione napoleonica restò. Nel suo sogno di scardinare l’Impero britannico si nascondeva la consapevolezza che il dominio sull’India non sarebbe dipeso dalle battaglie, ma dalle rotte.

Oggi, ripercorrere quella storia significa leggere in filigrana la genesi del mondo moderno: un mondo in cui la logistica e la tecnologia ridefiniscono i confini del potere, proprio come fecero quei primi piroscafi che, a colpi di vapore, trasformarono un’idea imperiale in realtà.

martedì 24 settembre 2024

Napoleone Incontra Lady Oscar: Un Inatteso Incrocio di Destini nella Saga di Riyoko Ikeda

Le sapienti mani di Riyoko Ikeda, la mangaka giapponese che ha conquistato generazioni con la sua appassionata rilettura della storia francese in "Lady Oscar" (Versailles no Bara), non hanno confini nella loro esplorazione degli eventi e dei personaggi che hanno plasmato la Francia. Pur essendo la saga principalmente immersa nell'Ancien Régime e nel fervore della Rivoluzione Francese, Ikeda ha concesso ai suoi lettori un'inattesa e affascinante digressione, portando sulla scena un protagonista che avrebbe segnato indelebilmente il futuro del paese: Napoleone Bonaparte.

Per chi ha amato le vicende di Oscar François de Jarjayes, la nobildonna cresciuta come un uomo e profondamente coinvolta negli sconvolgimenti sociali che precedettero e accompagnarono la caduta della monarchia, l'apparizione di Napoleone potrebbe sembrare un anacronismo. La maggior parte della narrazione si concentra sugli anni che precedono il 1789 e sui primi, sanguinosi anni della Rivoluzione, un periodo in cui il futuro imperatore era ancora un giovane ufficiale di artiglieria, lontano dai fasti che lo avrebbero reso celebre.

Eppure, è proprio in questa cornice storica, in un momento in cui la Francia è in ebollizione e i vecchi equilibri sono in frantumi, che Ikeda decide di far intravedere la figura di Napoleone. Questo non è un errore cronologico, bensì una scelta narrativa audace e ricca di significato. L'autrice, con la sua profonda conoscenza della storia francese, introduce Bonaparte come un germoglio, un talento emergente in un contesto di radicale cambiamento.

L'incontro, o il passaggio in cui Napoleone è protagonista all'interno della saga, non è centrale alla trama principale che ruota attorno a Lady Oscar e Maria Antonietta. Si tratta piuttosto di un interludio, una sorta di "cameo" storico che permette a Ikeda di ampliare l'orizzonte della sua narrazione e di mostrare come le dinamiche innescate dalla Rivoluzione avrebbero aperto la strada all'ascesa di figure come Bonaparte.

Questo espediente narrativo serve a diversi scopi. In primo luogo, sottolinea la portata epocale degli eventi narrati in "Lady Oscar". La Rivoluzione non fu un evento isolato, ma un punto di svolta che trasformò radicalmente la Francia e l'Europa, aprendo la strada a nuove leadership e a un nuovo ordine politico. L'introduzione di Napoleone, anche in un ruolo secondario, serve a ricordare al lettore il futuro che attende la Francia dopo la tempesta rivoluzionaria.

In secondo luogo, testimonia la passione di Riyoko Ikeda per la storia francese nella sua interezza. La sua attenzione non si limita al dramma della corte di Versailles e alle barricate parigine, ma si estende anche alle figure che avrebbero raccolto l'eredità della Rivoluzione, nel bene e nel male. Napoleone, con la sua ambizione, il suo genio militare e il suo impatto duraturo sulla storia europea, non poteva rimanere escluso da una narrazione così profondamente radicata nella storia francese.

Infine, questo inatteso incrocio di destini tra Lady Oscar, figura emblematica della fine di un'epoca, e Napoleone, simbolo dell'inizio di una nuova era, aggiunge un ulteriore livello di profondità e complessità alla saga. Permette al lettore di intravedere la transizione tra due mondi, tra la decadenza dell'Ancien Régime e l'emergere di una nuova Francia napoleonica.

Il passaggio dedicato a Napoleone Bonaparte all'interno della saga di "Lady Oscar" è una piccola ma significativa gemma che rivela la maestria narrativa e la profonda passione storica di Riyoko Ikeda. Un inatteso incontro tra un'eroina iconica della Rivoluzione e il futuro imperatore, un promemoria del vasto e affascinante affresco storico che fa da sfondo a una delle opere più amate del manga e dell'animazione giapponese.

lunedì 23 settembre 2024

Parigi in Fiamme: Cronache di un Cittadino (1789-1794)


Luglio 1789: L'aria è densa di voci, un mormorio che si fa ruggito. Per anni abbiamo sopportato le tasse ingiuste, la fame che stringe lo stomaco, il lusso sfacciato di Versailles che ci deride. Ma ora... ora sento che qualcosa sta per spezzarsi. Gli Stati Generali si sono riuniti, promesse di cambiamento sussurrate nei caffè fumosi. Poi, il licenziamento di Necker, l'uomo che sembrava ascoltare le nostre preghiere. È la scintilla!

Oggi, il 14 luglio, il sole picchiava come un martello. La folla si è riversata nelle strade, un fiume di facce cupe e occhi infiammati. Si parlava di armi, di polvere. La Bastiglia! Quella vecchia fortezza, simbolo dell'arbitrio del Re, è diventata il nostro obiettivo. Ho visto uomini e donne, fornai e mercanti, studenti e artigiani, tutti uniti da una rabbia sorda. Ci siamo lanciati contro le sue mura, armati di picche, bastoni, qualche vecchio moschetto arrugginito. Il rumore degli spari, le grida... il sangue che macchiava la polvere. Ma alla fine, le porte hanno ceduto. Abbiamo visto i prigionieri liberati, pochi in verità, ma il significato era immenso. La tirannia, per la prima volta, aveva vacillato sotto i nostri colpi.

Agosto 1789: L'eco della Bastiglia non si è spenta. La "Grande Paura" si è diffusa nelle campagne, voci di briganti e nobili vendicativi hanno scosso i villaggi. Ma da questa paura è nata qualcosa di potente. Nella notte del 4 agosto, ho sentito raccontare di nobili che rinunciavano ai loro privilegi, ai loro diritti feudali. Un'ondata di fratellanza, o forse di terrore, li ha spinti a questo gesto. Poi, la Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino! Parole che non avrei mai pensato di udire: libertà, uguaglianza, fraternità. Sembrava un sogno, un mondo nuovo che si apriva davanti a noi.

Ottobre 1789: La fame non è diminuita, anzi, sembra farsi più pungente. Ho visto le donne del mercato, le madri con i loro bambini affamati, marciare su Versailles. Un'onda di disperazione che si è infranta contro i cancelli dorati. E poi... il Re! Portato a Parigi, prigioniero nel suo stesso palazzo delle Tuileries. La sua aura divina si è incrinata, la sua autorità sminuita.

1790-1791: Anni di speranza e di crescente divisione. La Costituzione civile del clero ha spaccato la nazione, buoni cattolici contro coloro che giuravano fedeltà alla Rivoluzione. Ho visto preti rifiutarsi, la fede dei nostri padri messa in discussione. Poi, la fuga del Re! Quel tentativo patetico di sottrarsi al suo destino. Catturato a Varennes, riportato a Parigi sotto scorta. La fiducia in lui è morta. La Repubblica... la parola cominciava a serpeggiare tra la folla.

1792: La guerra! L'Austria e la Prussia minacciano la nostra fragile libertà. L'entusiasmo iniziale si è trasformato in paura. Le Tuileries assaltate di nuovo, il Re sospeso, imprigionato al Tempio. Settembre! Un orrore che non potrò mai dimenticare. Voci di traditori nelle prigioni, la paura dell'invasione... e poi la violenza cieca. Ho sentito le urla, ho visto le carrette cariche di corpi. La giustizia popolare, dicevano. Ma era solo sangue e follia.

La Repubblica è stata proclamata. Un nuovo calendario, nuovi nomi per i mesi, come se potessimo cancellare il passato con un tratto di penna. Ma la ghigliottina... quella macchina infernale è diventata la protagonista silenziosa della nostra rivoluzione.

1793: Il Re! Processato come un criminale comune. Ho visto la folla silenziosa mentre saliva al patibolo. "Figlio di San Luigi, sali al cielo!" ha gridato qualcuno. Poi, il tonfo sordo della lama. Un'era era finita, ma cosa sarebbe nata dalle sue ceneri?

La guerra infuriava, la Vandea si ribellava. La Convenzione, divisa dalle lotte tra Girondini e Montagnardi. Ho visto i deputati contendersi con ferocia, le accuse volavano come pietre. Poi, l'epurazione, i Girondini arrestati. Il potere nelle mani di Robespierre e dei suoi.

Il Terrore! La legge dei sospetti, le prigioni piene, le esecuzioni quotidiane. Chiunque fosse anche solo sospettato di non essere un vero rivoluzionario finiva sotto la lama. Ho visto amici, vicini, gente comune, trascinati via. La paura era un mantello pesante che avvolgeva Parigi. La libertà che sognavamo si era trasformata in un incubo di sospetti e morte.

1794: La spirale di violenza sembrava inarrestabile. Nemici ovunque, dentro e fuori la Repubblica. La "Virtù" imposta con la ghigliottina. Ma la paura alla fine si è rivoltata contro i suoi stessi artefici. Ho sentito sussurri, congiure. E poi, il 9 Termidoro. Il grido "Abbasso il tiranno!" ha squarciato l'aria della Convenzione. Robespierre, Saint-Just, Couthon... arrestati, processati, ghigliottinati. La folla esultava, un misto di sollievo e terrore ancora negli occhi.

Cosa ci riserva il futuro? Non lo so. Abbiamo attraversato un mare di sangue e di passione. Abbiamo rovesciato un re, sognato la libertà, e ci siamo ritrovati intrappolati in un regno di terrore. Forse, con la caduta di Robespierre, la furia si placherà. Ma le cicatrici di questi anni rimarranno incise nella nostra memoria per sempre. Ho visto la Rivoluzione nascere con la speranza e degenerare nella violenza. Sono un testimone. E non dimenticherò mai.


domenica 22 settembre 2024

Amore e Guerra ai Tempi della Rivoluzione Francese e di Napoleone: Un'Analisi di Due Nuovi Studi

 

Due recenti pubblicazioni, "The Soldier's Reward: Love and War in the Age of the French Revolution and Napoleon" di Jennifer Ngaire Heuer e "Matchmaking and the Marriage Market in Postrevolutionary France" di Andrea Mansker, gettano una luce affascinante sulle dinamiche dell'amore e del matrimonio durante un periodo di sconvolgimenti epocali come la Rivoluzione Francese e l'era napoleonica.

Come acutamente osserva Christine Adams nella sua recensione apparsa su History Today, l'istituzione del matrimonio si colloca in un punto nevralgico tra la sfera personale e quella politica. Intima per sua natura e carica di aspettative, essa riveste un'importanza cruciale per la stabilità sociale ed economica, tanto da essere stata oggetto di contesa e controllo da parte di governi, istituzioni religiose e individui nel corso della storia.

L'epoca della Rivoluzione Francese, con la sua radicale trasformazione del governo e l'incessante susseguirsi di guerre dal 1792 al 1815, rappresentò un terreno fertile per rinegoziare le fondamenta del matrimonio. La secolarizzazione del rito nel 1791 e la legalizzazione del divorzio nel 1792 furono solo alcune delle modifiche legislative che scossero le tradizionali concezioni.

Il libro di Jennifer Ngaire Heuer, "The Soldier's Reward", si concentra sulle relazioni sentimentali e sul matrimonio in un'epoca segnata dalla massiccia mobilitazione militare. La "ricompensa" evocata dal titolo si riferisce alla promessa di matrimonio che attendeva i soldati al ritorno dal servizio in difesa della nazione. Con oltre tre milioni di francesi impegnati nelle guerre rivoluzionarie e napoleoniche, il tema del ritorno del soldato e della fedele sposa divenne un motivo ricorrente nella cultura popolare dell'epoca, celebrato in opere teatrali, canzoni e incisioni. L'eroe ferito che tornava trovava spesso una compagna pronta a ricompensare il suo valore con l'amore, disdegnando chi aveva evitato il proprio dovere patriottico.

Tuttavia, la meticolosa ricerca di Heuer rivela un profondo divario tra questa idealizzazione e la dura realtà. Le necessità economiche delle famiglie contadine spesso spingevano a cercare di esonerare i figli dal servizio militare. Inoltre, i soldati che facevano ritorno dal fronte potevano essere gravemente feriti, diventando partner indesiderabili o un peso per un'eventuale consorte. Le promesse di sostegno finanziario da parte dello Stato o di generosi benefattori si rivelarono spesso vane. Sebbene la propaganda e il teatro esaltassero il sacrificio del soldato e la lealtà della sua amata, la perdita o l'invalidità di un giovane uomo rappresentava una seria minaccia per l'economia familiare.

Il regime napoleonico, basandosi sulla coscrizione, aveva un forte interesse nel promuovere l'immagine di un eroe di guerra ricompensato con amore, onore e sostegno economico. In alcuni casi, lo Stato organizzava persino matrimoni tra veterani e giovani donne, fornendo doti. Tuttavia, come sottolinea Heuer, queste unioni "autorizzate" non sempre si concretizzavano e le doti promesse spesso rimanevano sulla carta.

Il matrimonio divenne anche una potenziale via di fuga dalla coscrizione. Con il passare del tempo e il calo dell'entusiasmo per le campagne napoleoniche, diventare capifamiglia divenne un modo per evitare il servizio militare. La legge Jourdan del 1798 sancì che i giovani uomini single avrebbero costituito la maggioranza dei ranghi militari. La fretta di sposarsi per evitare la leva portò talvolta a "matrimoni di carta" improbabili tra giovani e donne anziane. La maggiore difficoltà di ottenere il divorzio con il Codice Napoleonico del 1804 rese queste unioni potenzialmente permanenti.

Con la sconfitta di Napoleone e il ritorno dei Borboni, la Francia si trovò di fronte a una società in rapida trasformazione, con il capitalismo e il consumismo in ascesa. Il libro di Andrea Mansker, "Matchmaking and the Marriage Market in Postrevolutionary France", esplora come questi cambiamenti influenzarono le dinamiche del corteggiamento e del matrimonio.

Mansker si concentra su due figure di mediatori matrimoniali, Claude Villiaume e Charles de Foy, che sfruttarono la crescente stampa e pubblicità per promuovere i loro servizi. Il matrimonio veniva ora pubblicizzato non solo come ricompensa per i soldati, ma come un diritto di tutti i cittadini francesi. Esso era anche un mercato, e i mediatori si proponevano di aiutare uomini e donne, in particolare della borghesia emergente, a trovare un partner adeguato.

Come Heuer, Mansker analizza le fantasie generate dal "commercio degli incontri" e la realtà di questa attività. Figure ambigue come Villiaume, un ex soldato con un passato burrascoso, utilizzavano le loro capacità narrative per attrarre clienti, evidenziando l'elemento del caso nel mercato matrimoniale. Foy, invece, si presentava come un professionista serio, sottolineando la sua competenza e la sua licenza statale. Tuttavia, la sua enfasi sulla segretezza e le velate minacce ai clienti morosi suggerivano una reputazione meno che impeccabile.

Il dibattito pubblico sui servizi di matchmaking nel XIX secolo sollevò interrogativi fondamentali sul significato del matrimonio, questioni già innescate dalla Rivoluzione Francese: era un semplice contratto civile? Chi doveva organizzare i matrimoni? Era un bene di consumo o un'unione sacra?

Questi interrogativi rimasero aperti. Sebbene Foy avesse vinto diverse cause legali a difesa dei contratti di mediazione matrimoniale, una sentenza del 1855 sottolineò la natura unica del matrimonio rispetto ad altri contratti, soprattutto in un'epoca in cui il divorzio era ancora impossibile. Nonostante ciò, la mediazione matrimoniale continuò a prosperare, con la dote e le risorse materiali a giocare un ruolo significativo, anche se il linguaggio dell'amore divenne dominante.

Come sottolineano Heuer e Mansker nei loro affascinanti studi, alcuni cambiamenti negli atteggiamenti verso il matrimonio erano già in corso nel XVIII secolo, ma la guerra e la rivoluzione accelerarono e sconvolsero gli equilibri sociali. L'enfasi sul matrimonio di compagnia, sulla scelta individuale e sulla natura contrattuale della relazione guadagnarono terreno. Tuttavia, il matrimonio rimase e rimane un'istituzione complessa, sospesa tra considerazioni emotive e pratiche. I dibattiti che animarono la Francia di oltre due secoli fa sul significato del matrimonio, sul ruolo dell'amore e dell'interesse, e sul suo rapporto con lo Stato e la società, continuano a risuonare con forza nel mondo contemporaneo.


sabato 21 settembre 2024

14 luglio 1789: La Presa della Bastiglia – Il Popolo al Potere



Il 14 luglio 1789 è una data indelebile nella storia della Francia e del mondo intero. Quel giorno, il popolo parigino, esasperato dalla fame, dalle disuguaglianze e dall'ingiustizia sociale, si sollevò contro il regime monarchico assolutista di Luigi XVI, dando inizio alla Rivoluzione Francese. La Bastiglia, un simbolo di oppressione e di potere monarchico, cadde sotto i colpi di una folla determinata, segnando un momento decisivo che avrebbe trasformato la Francia e, con essa, l'intero assetto politico ed economico europeo.

Il capitano della guardia della Bastiglia, Bernard-René de Launay, non riuscì a fermare l'assalto, e la prigione, che ospitava principalmente prigionieri politici, venne abbattuta. Il gesto di distruggere la Bastiglia divenne simbolo di un popolo che non aveva più paura del potere assoluto e che rivendicava la propria libertà. Quella rivoluzione avrebbe innescato una serie di cambiamenti radicali che portarono alla fine dell'Ancien Régime e all'instaurazione di una nuova era, incentrata sui principi di libertà, uguaglianza e fraternità.

In questo contesto, un giovane ufficiale di artiglieria di nome Napoleone Bonaparte stava appena iniziando la sua carriera militare. Non aveva nemmeno 20 anni e, pur essendo consapevole degli sconvolgimenti politici, non avrebbe mai immaginato che sarebbe diventato uno degli uomini più influenti della storia mondiale. Napoleone, che all'epoca della presa della Bastiglia era ancora lontano dalla fama, avrebbe poi preso il comando durante gli anni successivi, sfruttando l'instabilità della Rivoluzione per emergere come uno dei protagonisti principali.

Quando Napoleone salì al potere, la Rivoluzione Francese aveva già demolito il vecchio ordine sociale, ma la sua ascesa politica sarebbe stata la sua risposta a una nazione che cercava una guida forte e unitaria. Da giovane ufficiale, il futuro imperatore della Francia si distinse per la sua abilità strategica e la sua determinazione. La sua carriera avrebbe culminato nella creazione dell'Impero francese, ma sempre con un legame profondo alla rivoluzione che, paradossalmente, aveva contribuito a mettere in moto.

In quel lontano 14 luglio, Napoleone non era ancora il simbolo della rivoluzione, ma nei decenni successivi, sarebbe diventato l'emblema di quella trasformazione radicale che partì proprio dalla presa della Bastiglia. In un certo senso, la sua figura incarnò il contrasto tra il popolo al potere e la volontà di centralizzare tale potere sotto un'unica figura autoritaria.

Così, mentre il popolo parigino lottava per la propria libertà, Napoleone, nel suo silenzio giovanile, stava iniziando a tracciare il proprio destino, che lo avrebbe portato a diventare uno dei più grandi protagonisti della storia europea.



venerdì 20 settembre 2024

"Carolina Bonaparte: Tra Destino Imperiale e Ambizione Personale"



Maria Annunziata Carolina Bonaparte nacque ad Ajaccio il 25 marzo 1782, in un giorno carico di simbolismo religioso, quello dell'Annunciazione, che ispirò il suo nome. Cresciuta nell'ombra di uno dei più potenti imperatori della storia, Carolina visse una vita che, pur attraversata da momenti di splendore e potere, fu segnata anche da sfide politiche e familiari complesse.

Nel giugno del 1797, la famiglia Bonaparte si trasferì nel castello di Mombello a Verona, e Carolina assistette al matrimonio delle sue sorelle Elisa e Paolina, che sposarono rispettivamente il capitano Felice Baciocchi e il generale Emanuel Leclerc. Fu in questo periodo che Carolina, allora appena quindicenne, conobbe Gioacchino Murat, aiutante di campo di Napoleone, con cui si sposò il 20 gennaio 1800. Il matrimonio, pur non entusiasmando inizialmente Napoleone, venne celebrato due mesi dopo il colpo di stato che portò il fratello al potere come Primo Console.

Carolina, pur giovane e senza una solida educazione, divenne consapevole del suo ruolo nella famiglia e nella politica europea. Napoleone, tuttavia, riteneva che la sua preparazione fosse insufficiente, e per tale motivo decise di inviarla a Saint Germain en Laye, dove fu educata al collegio di Madame Campan. In questo ambiente, Carolina ebbe l’opportunità di formarsi, e divenne amica di Ortensia Beauharnais, figlia di Josèphine, e di Stéphanie, sua cugina.

Nel dicembre del 1800, Carolina si trovò accanto a Giuseppina durante l’attentato di rue Saint-Nicaise, evento che segnò uno dei momenti cruciali del periodo napoleonico. Da regina consorte di Napoli, Carolina si distinse per la sua dedizione alla cultura e alla crescita della città, sostenendo gli scavi di Pompei e promuovendo la costruzione di opere pubbliche. La sua visione economica fu altrettanto incisiva: stimolò lo sviluppo dell’industria locale, rinnovò le attrezzature per la produzione di seta e cotone e si impegnò a piantare gelsi per l’allevamento del baco da seta, fondamentale per l'economia della regione.

Ma Carolina non si limitò a contribuire al miglioramento materiale del regno; la sua attenzione si rivolse anche all'educazione delle giovani napoletane. Ispirandosi all'Istituto Elisa, creato dalla sorella maggiore, fondò nel 1808 il «Pensionato dei Miracoli», destinato a formare le ragazze della nobiltà napoletana. La sua ambizione, tuttavia, andava ben oltre il regno di Napoli: stimolò costantemente Murat a perseguire ambizioni politiche più grandi, spingendolo a schierarsi al fianco dell'Austria dopo la disfatta di Napoleone in Russia, sfidando così il fratello.

Quando Murat lasciò Napoli, Carolina assunse il ruolo di reggente, mantenendo l'ordine e la tranquillità del regno. Tuttavia, la sorte della sua famiglia cambiò drasticamente dopo la sconfitta di Murat a Tolentino, costringendo Carolina e il marito a lasciare Napoli e rifugiarsi prima a Venezia e poi a Trieste. Nel 1825, dopo il fallimento del tentativo di Murat di sollevare la popolazione italiana, il marito fu fucilato a Pizzo Calabro, segnando la fine definitiva della sua carriera politica.

Carolina si trasferì in Austria, ma il suo destino non si fermò lì. Nel 1830, sposò il generale Francesco Macdonald, ex ministro della Guerra del Regno di Napoli, e tornò in Italia, stabilendosi a Firenze nel Palazzo di Annalena, dove visse fino alla sua morte il 18 maggio 1839.

Il percorso di Carolina Bonaparte, regina di Napoli e donna di potere, è quello di una figura ambiziosa, pragmatica e determinata a lasciare il segno, non solo come membro della famiglia Bonaparte, ma come protagonista della storia europea del suo tempo.