giovedì 7 ottobre 2021

La scommessa più incredibile della storia

 Charles-Geneviève-Louis-Auguste-André-Timothée d'Éon de Beaumont, noto come Chevalier d'Éon, era un diplomatico, spia, massone francese e soldato nella Guerra dei Sette Anni vissuto nel Settecento.

D'Éon aveva caratteristiche fisiche androgine e nei primi anni della sua vita apparve in pubblico come uomo, perseguendo occupazioni maschili per 49 anni, sebbene durante quel periodo d'Éon si fosse infiltrato con successo nella corte dell'imperatrice Elisabetta di Russia presentandosi come una donna. Successivamente, per 33 anni, d'Éon visse come donna.

Il cavaliere d'Éon affermò di essere stato donna alla nascita, ma di essere stato cresciuto come un ragazzo perché suo padre avrebbe potuto ereditare dai suoceri solo se avesse avuto un figlio.

Fu così che a un certo punto alla Borsa di Londra si aprì un pool di scommesse sul vero sesso di d'Éon. D'Éon venne invitato a partecipare, ma rifiutò, dicendo che un esame sarebbe stato disonorevole, qualunque fosse stato il risultato. Nessuno era in grado di affermare con certezza se egli fosse uomo o donna. E solo un'autopsia o un esame medico (che aveva sempre rifiutato), avrebbero potuto stabilire la verità.

Una volta morto, il chirurgo che esaminò il corpo di d'Éon attestò nel certificato post mortem che il cavaliere aveva "organi maschili perfettamente formati", mentre allo stesso tempo mostrava caratteristiche femminili. Un paio di caratteristiche descritte nel certificato erano "insolita rotondità nella conformazione degli arti", così come "seno notevolmente pieno". Queste informazioni suggeriscono che D'Éon potrebbe essere stato intersessuale.



mercoledì 6 ottobre 2021

Perché la Russia non ha invaso l'Europa dopo aver sconfitto l'esercito di Napoleone?

Eisenhower incontrò una volta Stalin a Potsdam. Chiese al leader sovietico perché appariva così triste nella loro ora della vittoria. Stalin rispose: "Lo zar Alessandro I raggiunse Parigi."
La leggenda popolare sull'origine del bistrot veniva dai cosacchi che acquistavano alcolici dai ristoranti. Era vietato bere. Quindi dissero ai camerieri di “sbrigarsi” in modo da poterlo ingoiare prima di essere catturati da un ufficiale.








martedì 5 ottobre 2021

Il boia più famoso della storia



Mastro Titta, detto er boja de Roma, un boia che durante la sua vita giustizio' impiccando, decapitando e squartando centinaia di persone. All’attività di carnefice affiancava quella di pittore e venditore di ombrelli (da qui il titolo di “mastro” ovvero “maestro), ma in città ovviamente non era ben visto: i romani non volevano vederlo sulla parte opposta del Tevere, tanto da coniare il detto: “boja nun passa ponte”. Il problema è che per raggiungere il patibolo a Campo de’ Fiori o Piazza del Popolo, Titta doveva per forza recarsi sull’altra sponda del fiume.
Da qui un secondo detto: “Mastro Titta passa ponte”, locuzione ancora in uso per indicare che in quel preciso giorno è previsto qualcosa di brutto. “
Il boia più famoso della storia, Mastro Titta, esordì in Umbria a soli 17 anni
Di mestiere faceva il venditore e riparatore di ombrelli, la fama e l’agiatezza l’ottenne, tuttavia ed incredibilmente, per la sua lunga carriera di “boja”: 68 lunghi anni di lavoro tagliando teste con la scure o con la ghigliottina, infilando colli di uomini e donne nel cappio della forca, mazzolando (cioè colpendo alla testa il condannato col mazzuolo) e squartando. Il tutto, sia chiaro, in forma ufficiale come braccio secolare dello Stato Pontificio e, per un periodo, anche dell’autorità francese.
Conosciuto col nomignolo di Mastro Titta, si chiamava all’anagrafe Giovanni Battista Bugatti (1779-1869) ed era nato a Senigallia. Si spense a Roma, dove trascorse gran parte dell’esistenza, a novanta anni.
Bugatti eseguì, su mandato della giustizia terrena, ben 514 sentenze capitali, di cui 55 per ordine dei francesi, non solo nella Città Eterna, ma spostandosi anche nelle regioni dello Stato Pontificio ed in un caso pure a Firenze. L’ultimo impegno l’assolse – l’11 giugno 1864 – a Subiaco. Per lui più che un lavoro, l’attività di boia – da sempre ritenuta figura abietta – rappresentava una vocazione. Fu collocato a riposo ad 85 anni – evidentemente il suo non era un lavoro usurante avendolo portato avanti sino a questa veneranda età – durante il pontificato di Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti, pure lui di Senigallia) che gli riconobbe una pensione di 30 scudi. Esattamente il doppio di quanto il carnefice riscuoteva all’inizio della sua professione, a cui però venivano aggiunti l’alloggio (in Vaticano), sussidi e riconoscimenti vari. La sua eredità di carnefice l’assunse – senza tuttavia raggiungere la fama del maestro – l’allievo Vincenzo Balducci, che lo aveva affiancato fin dal 1850 e che resterà al suo posto fino alla breccia di Porta Pia, il 20 settembre 1870.
Non tutti sanno che Mastro Titta – sul patibolo saliva indossando un elegante mantello, color rosso sangue, naturalmente – consumò la sua prima esecuzione, in maniera inappuntabile sebbene nessun cittadino lo avesse voluto aiutare a tirar su la forca, a Foligno. Correva l’anno 1796 e il carnefice esordì giovanissimo: appena 17 anni. Il 22 settembre di quell’anno gli venne affidato dalla giustizia il condannato Nicola Gentilucci. Questo soggetto – di cui non si conoscono altro se non le generalità ed i gravi reati commessi – aveva ammazzato un prete di Cannaiola di Trevi ed il suo cocchiere – pare per gelosia di una donna – e, successivamente, rapinato e ucciso due frati. Il reo venne trascinato sulla piazza di Foligno e qui impiccato e, immediatamente dopo, squartato. Già perché alla condanna capitale quasi sempre seguiva lo squartamento che consisteva – orribile a dirsi – in un taglio da vero e proprio macellaio del cadavere appena morto, in più pezzi, davanti al pubblico in genere molto numeroso. In caso di decollazione il boia, come da tradizione, mostrava agli astanti la testa del reo, tenuta per i capelli o infilzata su una picca, spostandosi sui quattro lati del patibolo affinché tutti potessero godersi (sic) lo spettacolo.
Mastro Titta, davvero preciso e puntiglioso, annotava su una sorta di block notes le date, i luoghi dell’esecuzione, i nomi e i reati contestati ai condannati passati per le sue mani. Sulla base di questa scarna ma importante documentazione, alcuni lustri dopo la sua morte, venne redatto da uno scrittore restato anonimo (secondo alcune fonti si tratterebbe di Ernesto Mezzabotta, giornalista, nato a Foligno nel 1852 e morto a Roma nel 1901) un romanzo dal titolo “Mastro Titta, il boia di Roma: memorie di un carnefice scritte da lui stesso”. Il testo venne pubblicato a dispense dall’editore torinese Edoardo Perino. E anche qui l’Umbria ebbe a ritagliarsi un suo ruolo, in quanto i fascicoli vennero stampati dalla tipografia Lapi di Città di Castello nel 1886 e venduti in tutta la penisola, divenuta nel frattempo Regno d’Italia, a 5 centesimi ciascuno, ottenendo un rilevante successo editoriale.


lunedì 4 ottobre 2021

Una donna molto influente nella storia che quasi nessuno conosce

Per la storia d'Italia sicuramente lei : Virginia Oldoini


Considerata una delle donne più belle dell'800, era cugina di Camillo Benso Conte di cavour. Nel 1855 il cugino, in cerca di un alleanza militare con Napoleone III, la spedì in Francia presso la corte dell'imperatore. Grazie alla sua potente bellezza riuscì,nel giro di poco tempo, a diventare l'amante ufficiale dell'imperatore francese. Tale relazione permise di ottenere il favore di Napoleone III al progetto dell'unita d'italia. Orgogliosa del suo contributo, Virginia Oldoini custodì per tutta la vita la vestaglia verde che indossava negli incontri con Napoleone III.


domenica 3 ottobre 2021

Un atto eroico, compiuto in guerra, poco famoso

La battaglia di Fredericksburg del 1862 è stata una delle più sanguinose della guerra civile americana.



Le truppe Nordiste avevano caricato più volte le linee confederate, ma erano state respinte ogni volta ed il campo era disseminato di corpi di soldati dell'Unione morti e feriti.

I feriti, coscienti, gridavano dal dolore e dall’arsura, ma sarebbe stata una morte certa per chiunque dei loro compagni che avesse tentato di attraversare il campo per soccorrerli.

Ma quelle angosciose grida commossero il soldato confederato Richard Rowland Kirkland, che chiese il permesso al generale Kershaw di portare l'acqua ai feriti. Il generale cercò di dissuaderlo dalla missione suicida, ma con riluttanza diede il permesso a Kirkland.

Richard scavalcò il muro di pietra ed i proiettili iniziarono subito ad abbattersi su di lui mentre si precipitava verso il ferito più vicino. Il fuoco però si arrestò non appena le truppe dell'Unione si resero conto di cosa stava facendo.

Kirkland sollevava la testa di ogni ferito e dopo aver messo lo zaino sotto la nuca dei compagni avvicinava una borraccia alle labbra degli uomini. Quando finì l'acqua, valicò la sua muraglia e la battaglia riprese, ma il suo operato non era terminato: ritornò nuovamente sul campo di battaglia armato solo di acqua ed il fuoco si arrestò nuovamente.

Nessun altro ebbe il coraggio di aiutarlo, e per 90 minuti prestò soccorso a tutti i feriti da solo.

Kirkland morì meno di un anno dopo nella battaglia di Chickamauga, ma il suo coraggio e la sua umanità resteranno per sempre nel ricordo dei posteri.



sabato 2 ottobre 2021

Quale parte aveva più truppe all'inizio della battaglia di Waterloo?

All'inizio della battaglia di Waterloo, i francesi guidati dal vecchio Bonny avevano 73.000 uomini mentre gli inglesi sotto Wellington ne avevano solo 68.000.

Nonostante fosse più numeroso di Wellington e avesse truppe più esperte, il vecchio Bonny non riusciva a rompere la linea britannica. Le sue ripetute cariche di cavalleria non riuscivano a penetrare i quadrati di fanteria britannica.



Alla fine i francesi erano esausti e l'esercito prussiano diede il colpo finale all'esercito di Napoleone, sbaragliandolo.

Il vecchio Bonny fu poi esiliato a Sant'Elena, dove visse una vita triste per i successivi 6 anni. Avrebbe dovuto rimanere all'Elba invece di causare un altro putiferio.


venerdì 1 ottobre 2021

Quale paese è stato il più difficile da conquistare durante l'era coloniale?

E se ti chiedessi di elencare le culture più bellicose della storia? Senza dubbio alla maggior parte verrebbe in mente questa cultura guerriera, famosa in tutto il mondo: i Māori.



I coloni scozzesi si resero presto conto di essere nei guai, quando i guerrieri Maori si presentarono per combattere, facendo strane danze e tirando fuori la lingua.

Le guerre Maori, 1843-1872.

A metà del 1800, gli inglesi avevano già combattuto praticamente chiunque valesse la pena combattere, solo 30 anni prima avevano sconfitto una volta per tutte la potente Francia, ponendo fine a uno stato di guerra quasi costante tra le due grandi potenze militari, una guerra che infuriava da 700 anni, tra il 1109 e il 1815.

Le tribù Maori della Nuova Zelanda schieravano guerrieri che erano in genere più alti e fisicamente più potenti degli allora europei. Tuttavia, questo non avrebbe costituito un problema per gli inglesi che avevano già sconfitto con facilità molte altre società bellicose fisicamente intimidatorie. Ciò che rendeva i Maori diversi dagli altri era che le loro isole, in maniera molto simile alle isole britanniche e giapponesi, erano sopravvissute a secoli di guerre tribali senza fine, culminate nelle guerre dei moschetti, 1807-1837.

In parole povere, i Maori erano persone feroci e bellicose la cui società era stata forgiata in secoli di guerra costante trascorrendo gli ultimi 30 anni a combattere un nuovo stile di intense guerre tribali tra di loro, armati di moschetti europei e armi di cui si erano impossessati. Contro gli inglesi i Maori schierarono guerrieri induriti dalle recenti esperienze di battaglia, coraggiosi, altamente disciplinati, capaci di tattiche diaboliche e comandati da abili capi militari.

Ciò che era iniziato come una disputa sulla terra tra coloni e singole tribù Maori, alla fine si trasformò in una guerra totale quando una potente coalizione di tribù si unì e iniziò a condurre uno stile di guerra asimmetrica brutalmente efficiente. La guerra sembrò simile a una partita a scacchi di alto livello, tra due delle più grandi culture storicamente bellicose della terra.


I Maori erano in inferiorità numerica, non altrettanto ben equipaggiati e sicuramente non potevano competere con gli inglesi nella guerra in campo aperto in stile europeo. Così decisero di combattere un conflitto di guerriglia basato sull'imboscata, con forti Pah difensivi.

Che cos'è un Pah? Il nome di uno stile di fortificazioni efficaci costruite dai Māori, utilizzando terrapieni, palizzate di legno, trincee, kill box e persino bunker che potevano fornire riparo dagli sbarramenti dell'artiglieria britannica.


Le fortificazioni Maori furono così efficaci durante il conflitto tanto da neutralizzare i vantaggi detenuti degli inglesi in termini di numeri e tecnologia.


Battaglia di Porta Pā, 29 aprile 1864.

Quando circa 250 guerrieri Maori raggiunsero un vecchio Pah che sorvegliava una strada importante per il controllo locale, cominciarono a espandere e migliorare le fortificazioni che si trovavano a cavallo di un'ampia collina bassa, situata tra due paludi insidiose.

La piccola forza Maori costruì rapidamente il Gate Pah, o Gate Pā, o semplicemente il forte del Gate, creando una posizione difensiva alquanto notevole con fianchi sicuri, diversi strati difensivi, posizioni di imboscata e una rete di trincee che zigzagava lungo il pendio.

Gli inglesi avevano inviato un esercito di circa 1.700 soldati sotto il comando di un ufficiale veterano della guerra di Crimea per reprimere la resistenza tribale Maori locale.

Al Gate Pā i britannici superarono pesantemente di numero i Māori di ben 8 a 1, ma l'esperto comandante britannico non volle comunque correre alcun rischio - ordinò un intenso sbarramento di artiglieria dei Māori in inferiorità numerica, che non avevano artiglieria per rispondere al fuoco, e questa operazione durò diverse ore.

Nel frattempo piccoli distaccamenti britannici si erano spostati attraverso le paludi sui fianchi e avevano preso posizioni pericolose dietro il forte Maori, bloccando la ritirata dei nemici. Furono questi distaccamenti ad informare i cannonieri dell'artiglieria che da ore stavano sparando centinaia di proiettili contro una falsa sezione non presidiata del forte.

Ripresosi da questo imbarazzante errore, i cannonieri dell'artiglieria corressero la mira e bombardarono la lunga collina fortificata fino al calare della notte.

Alle prime luci dell'alba, le squadre di artiglieria e mortaio scatenarono un intenso bombardamento di otto ore che lasciò la palizzata di legno in frantumi e in rovina, tutti i combattimenti dei Maori sembravano svaniti e un silenzio inquietante fluttuava sulla brezza immobile della sera che trasportava solo polvere e fumo attraverso la carneficina del forte di terra e della palizzata abbandonata.

All'approssimarsi della sera, il comandante britannico ordinò un assalto da parte di una forza di 300 uomini che comprendeva un gruppo di marinai con esperienza nel combattimento ravvicinato. Questi uomini entrarono in sortita con le loro baionette direttamente nella fortificazione, alcuni caddero colpiti da armi da fuoco leggere mentre si avvicinavano; una volta all'interno divampò una breve lotta contro ciò che rimaneva della resistenza: la forza di 300 uomini sopraffece quei pochi Māori che riuscirono a trovare ancora in piedi.

Nel giro di pochi minuti, il forte tacque di nuovo e apparve quasi abbandonato, dozzine di Maori giacevano sparsi dove erano caduti. Gli inglesi camminavano leggermente sorpresi di aver conquistato un forte così grande con tanta facilità.

Per un po' i soldati britannici vagarono per il labirinto di trincee, esplorando l'imponente ridotta. Improvvisamente un'esplosione di spari e urla esplose tutto intorno, poiché i Maori si erano nascosti e avevano attirato gli invasori nella loro trappola diabolica.

I sopravvissuti dei circa 250 guerrieri Maori presidiati nel forte erano rimasti nascosti nei loro bunker e tunnel, in attesa che il nemico abbassasse la guardia. I comandanti Maori avevano ordinato ai loro guerrieri ben disciplinati di rimanere completamente in silenzio e aspettare un segnale prestabilito per far scattare la trappola.

Quei guerrieri erano armati con fucili a doppia canna e alcune delle loro tradizionali armi da mischia Maori. Quando arrivò il segnale, spararono a quasi tutti gli ufficiali britannici durante la prima raffica e si abbatterono sui restanti soldati storditi e privati dei loro capi; quindi li dominarono nel combattimento corpo a corpo con feroce abilità in mischia.


Dei 300 soldati britannici che presero d'assalto il forte, più di un terzo morì o rimase ferito, con ufficiali e sottufficiali che rappresentavano la maggior parte delle vittime. Coloro che potevano scappare dal massacro lo fecero, fuggendo nel caos dalle rovine fumanti del forte e da un'imboscata che era riuscito a sconvolgere un esercito del più grande impero della storia umana.

Le guerre Maori continuarono per diversi anni, ma questa loro vittoria cambiò la mentalità dei coloni e della leadership britannica, che decise di limitare l'ulteriore confisca delle terre tribali.

Con le terre tribali messe al sicuro, i Maori deposero le armi e da allora in poi le ostilità cessarono. Anche se erano in netta inferiorità numerica e affrontavano un nemico altrettanto bellicoso e tecnologicamente superiore, riuscirono comunque a infliggere perdite ingenti al loro nemico e a proteggere le loro terre da avversità non indifferenti.