L'Assemblea nazionale costituente
(in francese: Assemblée nationale
constituante), nota anche come
Assemblea costituente del 1789
(in francese: Assemblée
constituante de 1789), fu la prima assemblea costituente della storia
francese.
Venne ufficialmente istituita il 9
luglio 1789, dopo che i rappresentanti del Terzo Stato - già
convocati il 5 maggio negli Stati generali, insieme ai rappresentanti
del Clero e della Nobiltà - si erano proclamati "Assemblea
nazionale" (17 giugno), impegnandosi solennemente a non
separarsi prima di aver dato una costituzione alla Francia
(giuramento della Pallacorda, 20 giugno). Ebbe da qui origine un
grande movimento rivoluzionario, il cui primo atto simbolico fu la
presa della Bastiglia (14 luglio) da parte del popolo parigino
insorto a difesa dell'Assemblea.
Nei suoi due anni circa di esistenza i
deputati dell'Assemblea costituente discussero e approvarono molte
riforme, destinate a mutare radicalmente il volto della Francia. Ebbe
inizio con l'Assemblea un'altra società, del tutto innovativa
rispetto a quella dell’Ancien Régime: una società amministrata e
diretta dalla borghesia.
L'Assemblea nazionale approvò come suo
atto finale la Costituzione (3 settembre 1791); il 30 settembre dello
stesso anno, avendo adempiuto al suo compito, l'Assemblea nazionale
si sciolse e venne sostituita dall'Assemblea legislativa, eletta a
suffragio censitario.
L'origine dell'Assemblea nazionale
costituente è negli Stati Generali, convocati l'8 agosto 1788 per
volontà dei due ordini privilegiati, ovvero Nobiltà e Clero, alle
quali il re, in notevoli difficoltà economiche, voleva imporre il
pagamento delle tasse fino ad allora gravanti unicamente sul Terzo
Stato. Istituiti nel Medioevo, gli Stati generali costituivano
l'assemblea dei rappresentanti dei tre ordini (Clero, Nobiltà, Terzo
Stato), riunita saltuariamente e con poteri soltanto consultivi per
esprimere un parere sull'operato del sovrano.
L'intenzione dei nobili e degli
ecclesiastici, dunque, è di fare degli Stati generali uno strumento
per ribadire i propri privilegi. Fin dall'inizio, tuttavia, la
situazione sfugge loro di mano: la campagna elettorale per scegliere
i deputati da inviare agli Stati generali diventa una grande
occasione per il Terzo Stato di discutere, acquistare coscienza di sé
e reclamare tutti i diritti negati. Appena insediati, il 5 maggio
1789 a Versailles, gli Stati generali si dividono sulla questione del
voto: i combattivi deputati del Terzo Stato, assai più numerosi di
quelli degli altri due stati messi insieme, richiedono che si voti
per testa (secondo il principio "un voto per ogni eletto")
mentre Clero e Nobiltà vogliono mantenere la tradizionale votazione
per ordine, che consentirebbe loro di mantenere la supremazia
nell'assemblea. Nell'impossibilità di raggiungere un accordo, il 17
giugno i rappresentanti del Terzo Stato si proclamano Assemblea
nazionale (il termine "costituente" viene ufficialmente
aggiunto il 9 luglio) e tre giorni dopo, radunati nella sala della
Pallacorda, giurano di non separarsi finché non avranno dato una
costituzione alla Francia (giuramento della Pallacorda, 20 giugno).
Forzato dalle circostanze, il 27 giugno re Luigi XVI invita i
rappresentanti degli altri due ordini a riunirsi con i rappresentanti
del Terzo Stato.
Nonostante i buoni propositi dei suoi
artefici, questa rivoluzione nelle aule assembleari non avrebbe avuto
però il successo sperato se non fosse stato per l'intervento a suo
favore del grosso del Terzo Stato, ovvero quello del popolo comune.
In un primo momento, insorge il
popolo parigino, che il 14 luglio 1789 assedia ed espugna la fortezza
- prigione della Bastiglia, odiato simbolo dell'assolutismo regio: è
l'avvio di una seconda fase, definita dagli storici "rivoluzione
cittadina", fondamentale perché segna l'irruzione delle masse
popolari sulla scena politica (non a caso in Francia si festeggia il
14 luglio come data d'inizio della rivoluzione). A distanza di pochi
giorni insorgono anche le campagne; questa "rivoluzione
contadina" si dirige contro i cosiddetti diritti feudali. Le due
rivoluzioni popolari dell'estate 1789 mostrano sia ai rappresentanti
del Terzo Stato che agli altri due stati la diffusa ostilità nei
confronti dell'ancien régime e il consenso popolare verso il
progetto di dare una costituzione allo stato francese.
L'Assemblea costituente è formata da
1145 deputati. Fra questi: il generale La Fayette, che aveva
combattuto nella Rivoluzione Americana; il conte di Mirabeau, nobile
ma anti-assolutista; l'astronomo Jean Sylvain Bailly, che sarebbe poi
diventato il primo sindaco di Parigi; l'abate Sieyès, autore
dell'opuscolo Che cos'è il Terzo Stato? nel quale veniva
identificato il popolo come vera nazione e gli altri due ordini
(nobiltà e clero) come pesi morti del Paese. Per il momento poco
conosciuto, ma destinato a un futuro di leader, è Robespierre,
giovane avvocato di Arras. La sede dell'Assemblea inizialmente è a
Versailles, ma dopo che il re, il 6 ottobre 1789, è obbligato dai
rivoltosi a trasferirsi a Parigi, anche la Costituente si sposta
nella capitale, nella sala del Maneggio, dove per quasi 2 anni
condurrà un'attività duplice e contemporanea. Viene infatti
affidato ad alcune apposite commissioni il compito di stendere la
nuova costituzione; nel frattempo nelle sedute ordinarie si svolge
una vera e propria attività di tipo legislativo.
Nel corso delle riunioni si impone pian
piano l'usanza di identificare i diversi gruppi parlamentari con i
termini "destra" o "sinistra": a destra si
siedono i nobili e i membri del clero che avevano in principio
cercato senza risultato di opporsi all'abolizione dell'ancien régime,
mentre nel centro e a sinistra prendono posto i rappresentanti del
Terzo Stato e tutti i deputati contrari ai privilegi, a loro volta
distinti fra monarchici e repubblicani, liberali e democratici. La
maggioranza dell'Assemblea la detengono comunque deputati contrari
all'assolutismo ma di tendenze moderate, fautori di una monarchia
costituzionale, diffidenti nei confronti del movimento popolare e
delle sue richieste di giustizia sociale ed economica.
Dopo la presa della Bastiglia, il 14
luglio, scoppiano gravi disordini nelle campagne francesi. Come già
accennato, i contadini, esasperati dalla crisi economica e ancora
sotto il giogo feudale, attaccano i castelli dei nobili, bruciano gli
archivi in cui sono annotati i diritti signorili, uccidono chi gli
resiste. È un grande vento di protesta contro "l'oppressione
feudale". Per arginare la rivolta nella notte del 4 agosto 1789
l'Assemblea costituente decreta di abolire immediatamente i diritti
feudali, le esenzioni fiscali, la giustizia signorile, le decime.
Certo, i signori non vengono espropriati del tutto dei loro diritti,
considerati come una proprietà privata, e in quanto tale
inviolabili; infatti i contadini dovranno riscattare in denaro i loro
obblighi. Tuttavia si tratta di una decisione storica, che segna la
fine dell'ancien régime e l'avvio di una nuova legislazione fondata
sull'uguaglianza civile dei singoli.
L'Assemblea, approvando a gran voce il
decreto, si è spogliata volontariamente dei suoi privilegi. Questa
scelta rafforza la posizione, all'interno dell'Assemblea, del Terzo
Stato che controlla sistematicamente gli altri ordini. Tuttavia
alcuni deputati del Terzo Stato non hanno gradito il decreto; il loro
leader, il carismatico Dupont de Nemours, appartenente al
centro-destra, sostiene che si tratta una violazione dei diritti dei
cittadini. Per comprendere questa opposizione bisogna considerare
che, oltre ai nobili, anche i borghesi hanno delle proprietà
terriere che vogliono difendere. Dupont viene comunque messo a tacere
dall'assemblea. In conclusione la notte del 4 agosto è, come osserva
lo storico Ernest Labrousse, «...la grande notte antifeudale per
eccellenza...», nonché «...la grande conquista del popolo delle
campagne...»; d'altronde «...con questi testi che promettono molto
di più di quanto diano, sparisce unicamente o quasi la feudalità
formale; in complesso la feudalità reale, la feudalità economica
rimane. L'aristocrazia, moltiplicando le rinunce, ha conservato il
meglio del patrimonio...».
Pochi giorni dopo, il 26 agosto 1789,
l'Assemblea approva il preambolo della futura legge fondamentale
dello stato, la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino,
documento che riassume al suo interno i valori del 1789, affermando
in modo chiaro e puntuale i concetti di libertà e uguaglianza che
avevano fino a quel momento guidato il moto rivoluzionario. Il
bersaglio polemico del testo, come d'altronde quello dell'Assemblea e
più in generale della rivoluzione, è infatti l'ancien régime
basato sul privilegio. Tenendo conto che la proprietà è definita
come un diritto inalienabile e sacro, si capisce comunque che
l'uguaglianza proclamata dalla Dichiarazione è solo di tipo
giuridico e civile, non economico. Il testo è articolato in una
breve premessa e 17 articoli, dei quali i primi 3 sono i più
importanti in quanto sanciscono i principi fondamentali:
l'uguaglianza degli uomini (art. 1); l'esistenza di diritti naturali
e inalienabili di ogni singolo individuo - libertà, proprietà,
sicurezza e resistenza all'oppressione -, che nemmeno lo stato può
calpestare (art. 2); la sovranità popolare (art.3).
La restante parte della Dichiarazione
ha il fine di dare concretezza, nei vari campi della vita associata,
a questi principi: si affermano così la libertà di religione, di
parola e di stampa; la tutela da arresti e da condanne arbitrarie; il
divieto di tortura; la presunzione di innocenza finché non c'è una
condanna definitiva. Il principio della volontà generale come fonte
della legge, l'equità e il criterio del merito per l'accesso agli
incarichi pubblici sono solennemente affermati nell'articolo 6 con
queste parole: «La legge è l'espressione della volontà generale.
Tutti i cittadini hanno diritto di concorrere, personalmente o
mediante i loro rappresentanti, alla sua formazione. Essa deve essere
uguale per tutti, sia che protegga, sia che punisca. Tutti i
cittadini essendo uguali ai suoi occhi, sono ugualmente ammissibili a
tutte le dignità, posti ed impieghi pubblici secondo le loro
capacità, e senza altra distinzione che quella delle loro virtù o
dei loro talenti.»
Un grande problema che i membri
dell'Assemblea devono affrontare è quello finanziario, che aveva
messo in moto il meccanismo di convocazione degli Stati generali. In
primo luogo si decide che, per sanare almeno in parte i gravosi
debiti statali, vengano confiscate tutte le terre del clero; Viene
così votata il 2 novembre 1789 la legge sulla nazionalizzazione dei
beni del clero, che dichiara disponibili per la nazione tutti i beni
della Chiesa. Questa decisione è ben accolta dalla popolazione, in
particolare dalla borghesia, alla quale viene venduto gran parte
dell'immenso patrimonio terriero (circa il 6-10% del territorio
nazionale).
La nazionalizzazione crea però uno
stato di tensione fra l'Assemblea rivoluzionaria e la Chiesa
cattolica, che si aggrava dopo la decisione presa dai deputati il 13
febbraio 1790 di sciogliere tutti gli ordini religiosi che non sono
dediti all'assistenza e all'insegnamento. Dopodiché viene firmata,
il 12 luglio, la Costituzione civile del clero che trasforma i
sacerdoti in funzionari stipendiati al servizio dello Stato,
sottoponendo a rigido controllo la loro attività e impedendo così
ogni interferenza del papa. Ne consegue la condanna ufficiale della
rivoluzione da parte del pontefice e la divisione del clero in preti
giurati o costituzionali, che giurano fedeltà alla costituzione, e
preti refrattari, che invece si schierano contro.
Anche se la Costituzione e l'abolizione
della feudalità hanno la precedenza nel lavoro dei deputati, vengono
comunque decise altre riforme. Sul piano amministrativo, l'Assemblea
opera una semplificazione, dividendo il paese in 83 dipartimenti, a
loro volta divisi in distretti, cantoni, comuni, retti da organi
elettivi (decreto del 22 dicembre 1789). Sotto un profilo economico
l'Assemblea erige le basi per un sistema di stampo capitalistico. Va
ricordata a questo proposito la liberalizzazione degli scambi
commerciali, con l'abolizione del monopolio della compagnia francese
delle Indie orientali e di altre compagnie privilegiate e la
soppressione delle dogane interne. Inoltre, con la Legge Le
Chapelier, del 14 giugno 1791, vengono abolite le antiche
corporazioni dei mestieri e proibiti sindacati e il diritto di
sciopero, dando così minori garanzie ai lavoratori e liberando i
capitalisti da responsabilità e vincoli.
Il 13 settembre 1791 il re Luigi XVI è
costretto ad accettare la nuova costituzione, elaborata
dall'assemblea, la quale presenta molti elementi di continuità con
la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino. Un elemento
di continuità è la separazione dei poteri: il potere legislativo
viene assegnato ad un'unica camera, quello esecutivo al re e al
governo, quello giudiziario ad un corpo di magistrati eletti dal
popolo. Un altro elemento di continuità è l'abolizione di ogni
forma di discriminazione nei confronti delle minoranze religiose,
cosicché protestanti ed ebrei diventano cittadini a pieno titolo. La
costituzione non è comunque priva di contraddizioni: non viene ad
esempio abolita la schiavitù nelle colonie francesi, nonostante
tutte le solenni dichiarazioni di uguaglianza e libertà dell'uomo e
del cittadino espresse precedentemente nelle sedute dell'Assemblea.
Inoltre si adotta un sistema elettivo a
base censitaria, dividendo così i cittadini francesi in attivi e
passivi. Per essere definito attivo, e quindi avere diritto di voto,
il cittadino deve pagare come minimo tasse equivalenti al prezzo di
tre giornate di lavoro; invece i poveri e i nullatenenti rientrano
nella categoria dei passivi e sono esclusi dalla vita politica; in
questo modo risultano esclusi circa 2-3 milioni di cittadini maschi
adulti, una notevole parte della popolazione, mentre gli attivi sono
4.300.000.[senza fonte] Un'altra notevole contraddizione è infine
l'esclusione dai diritti politici delle donne: per questo motivo le
più attive rivoluzionarie protestano e rispondono con la creazione
di club femminili. Tra queste donne coraggiose e colte vale la pena
ricordare Olympe de Gouges, che stende provocatoriamente nel 1791 la
Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina.
Sul piano dei rapporti famigliari,
tuttavia, la Costituzione riconosce diritti alle donne: l'articolo 7
dichiara che il matrimonio è un contratto civile, il che implica la
parità dei soggetti contraenti. Terminati i suoi compiti, il 30
settembre 1791, l'Assemblea nazionale costituente si scioglie; le
succede l'Assemblea legislativa, eletta a suffragio censitario.
Nessuno dei deputati dell'Assemblea nazionale costituente entra a far
parte di questa nuova assemblea: un decreto votato il 16 maggio del
1791, per iniziativa di Robespierre, aveva sancito la loro non
rieleggibilità.
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