Nel giugno del 1798, durante la campagna d’Egitto, la flotta francese fece scalo a Malta con il pretesto di rifornirsi. Ma il vero obiettivo era un altro. L’Ordine dei Cavalieri, già indebolito internamente e screditato dalla popolazione locale per la sua rigidità feudale e il distacco dai bisogni dell’isola, si rivelò incapace di resistere all’energia dirompente delle truppe napoleoniche. In meno di una settimana, l’isola capitolò. Il Gran Maestro Ferdinand von Hompesch firmò la resa il 12 giugno, cedendo uno dei più antichi baluardi della cristianità senza combattere seriamente.
Ma dietro la mossa tattica si celava una più profonda trasformazione simbolica e politica. Napoleone non si limitò a occupare militarmente l’isola: avviò un programma di riforme amministrative, abolì i privilegi feudali, confiscò i beni ecclesiastici e avviò un processo di laicizzazione simile a quello già realizzato in Francia. Furono introdotti nuovi codici legali, si fondarono scuole laiche e si tentò di rompere il secolare legame tra autorità religiosa e potere temporale che aveva retto l’Ordine per secoli.
Hibbert descrive con rigore come questa “modernizzazione forzata” venne accolta con entusiasmo da alcuni settori dell’élite maltese, ma suscitò profonda ostilità nella popolazione, fortemente legata alla Chiesa e alla tradizione. La presenza francese, lungi dal consolidarsi, fu presto percepita come un’occupazione straniera e arrogante. Nel giro di pochi mesi, scoppiò la rivolta. I maltesi, sostenuti dalla flotta britannica comandata da Horatio Nelson, circondarono le guarnigioni francesi. L’assedio, durato due anni, si concluse nel 1800 con la resa dei francesi e l’inizio del controllo britannico sull’isola.
L’episodio maltese, spesso considerato marginale nella biografia napoleonica, è in realtà rivelatore della visione imperiale e centralista del giovane Bonaparte. Malta non era solo una pedina logistica sulla rotta per l’Egitto, ma un simbolo del passaggio dall’ancien régime cavalleresco a una modernità secolare e burocratica. Era la dimostrazione che le vestigia medievali, come l’Ordine di Malta, non avevano più spazio nel nuovo ordine geopolitico europeo delineato dalla Francia rivoluzionaria.
A oltre due secoli di distanza, lo studio di Hibbert conserva un valore cruciale: ci ricorda come le ambizioni di potere raramente si limitino al campo di battaglia. Esse si manifestano anche nella riforma delle istituzioni, nella propaganda, nella riscrittura dei codici e nella lotta per il controllo delle identità collettive. L’occupazione di Malta fu breve, ma segnò un momento di frattura. Sotto la superficie di una vittoria tattica, si consumava lo scontro tra due mondi: quello cavalleresco e quello illuminista, quello della fede e quello della ragione di Stato.
Nel panorama odierno, dove le rotte mediterranee tornano a essere teatro di tensioni strategiche, la lezione di Malta resta di straordinaria attualità. L’isola, allora come oggi, appare non come una semplice appendice geografica, ma come uno specchio delle ambizioni e dei conflitti che attraversano il cuore stesso dell’Europa.

