sabato 20 agosto 2022
Come ha fatto un personaggio come Napoleone, a guadagnarsi il rispetto e la fedeltà del suo esercito ?
venerdì 19 agosto 2022
Chi era il Cicisbeo?
IL CICISBEO
Definito anche “cavalier servente”, era tendenzialmente una figura marginale appartenente all’aristocrazia, che aveva come compito quello di accompagnare una nobildonna sposata in occasioni mondane: essendo un giovane aristocratico decaduto, intraprendeva questa carriera di servizio presso una dama per fruire di un lusso e un’agiatezza che altrimenti non gli sarebbero mai stati possibili.
Egli si arrogava il compito di servire e accompagnare la nobili presso feste, teatri, ricevimenti, compere, visite, giochi e assisterla durante le incombenze personali. Doveva passare con lei gran parte della giornata e doveva elogiarla, sedersi accanto a lei durante pranzi e cene, accompagnarla e dilettarla nelle passeggiate e nei giri in città. Era richiesta di avere una certa avvenenza e buona educazione, di essere spiritoso e un ottimo affabulatore.
Poiché il matrimonio era, prima ancora che un auspicabile vincolo di affettività anche solo sporadica, un contratto economico, il cicisbeo non poteva che essere in buoni rapporti col marito della donna che serviva; era infatti una prassi consolidata quella di avere un proprio cicisbeo che entrava in questo modo nel nucleo familiare.
Questa figura ha avuto, soprattutto a Venezia, un ruolo molto importante tra il 1600 ed il 1700.
giovedì 18 agosto 2022
Il finale meno degno per uno dei più grandi geni della storia
Vienna, 7 dicembre 1791.
Al funerale, che si svolge nel cimitero di St Marx, partecipano poche persone. Avvolto in un semplice sudario e ricoperto di calce vergine, il cadavere veniva gettato nella fossa comune.
Nessuna targa indicava l'ultima dimora di uno dei più grandi geni musicali del mondo: Wolfgang Amadeus Mozart.
Il motivo?
Il suo mecenate, il barone van Swieten, noto per la sua avarizia, era in difficoltà al momento della morte di Mozart.
mercoledì 17 agosto 2022
L'ultimo addio...
E' un pomeriggio di settembre del 1814 e nell'isola d'Elba, dove Napoleone è relegato in esilio, sbarcano alcuni viaggiatori : sono la Contessa Maria Walewska e suo figlio Alessandro con il loro seguito.
Nell'isola si sparge la notizia, sbagliata, che all'Elba sia giunta l'Imperatrice Maria Luisa, moglie dell'Imperatore con il figlio, il piccolo Re di Roma.
Ma Maria Luisa non ci pensa affatto a raggiungere Napoleone, se ne sta in quel di Parma indifferente alla sorte di un marito che non ha mai amato.
Invece Maria ama sinceramente quell'uomo e lo dimostra proprio nel momento più triste della sua vita quando è caduto in disgrazia...
Piccola, snella, bionda, con occhi immensi azzurri, Maria ha conosciuto Napoleone ad un ballo a Varsavia , il 1° gennaio 1807, dopo la memorabile vittoria di Austerliz quando l'astro di Bonaparte era al massimo fulgore.
Lei ha appena 19 anni ed è sposata con il Principe Colonna Walewsky, che di anni ne ha 71, da cui ha avuto anche un figlio.
Appena la vede Napoleone se ne invaghisce e le chiede di incontrarla.
Dopo qualche resistenza, invogliata dai suoi conoscenti e con il placet del marito, Maria accetta l'incontro poiché vede in Napoleone il liberatore della sua patria ma, poi, finisce per amarlo davvero con tutta la passione dei suoi diciannnove anni.
E, definitivamente conquistata, lascia figlio e marito e segue il suo Imperatore stabilendosi a Parigi. Intanto scopre di essere incinta e spera di essere lei la prossima moglie di Napoleone, avendo quest'ultimo annullato il matrimonio con Giuseppina Beauharnais per mancanza di eredi.
Ma incombe la ragione di Stato e Napoleone sposa, infelicemente, Maria Luisa d'Austria e Maria apprende la notizia dai dispacci...
Ne rimane sconvolta, con il ricordo di un amore impossibile e con un figlio che dopo poco tempo vedrà la luce.
Ma per Napoleone , dopo la disastrosa campagna di Russia, arriva l'esilio nell'isola d'Elba e il vuoto totale si fa intorno al vincitore di tante battaglie.
E quel giorno di settembre , quando tutti lo rinnegano, solo Maria torna da lui ma, dopo un'ultima notte insieme i due si lasciano per sempre.
Maria gli esprime il desiderio di rimanere lì con lui ma Napoleone desiste, i suoi progetti non contemplano la sua presenza per cui la sera stessa Maria con il cuore a pezzi riparte.
Napoleone la saluta non senza emozione e bacia per l'ultima volta suo figlio.
Per tutti loro quello sarà l'addio definitivo, non si vedranno mai più...
Ma come la storia ci insegna, per Bonaparte arrivano i cento giorni, la disfatta di Waterloo e la prigionia a Sant'Elena. Maria in quel periodo, rimasta vedova del vecchio marito, cerca di rifarsi una vita e, sempre nel rimpianto del suo impossibile amore, si risposa con un cugino di Napoleone.
Quel matrimonio però sarà la sua sfortuna perché, nel 1817, a soli 31 anni, muore di parto.
La notizia della sua morte impiega quattro anni per giungere a Sant'Elena e vi arriva il 7 maggio 1821, due giorni dopo il fatale 5 maggio, quando Napoleone ha , ormai, definitivamente esalato "il suo mortal sospiro"...
* * * * *
martedì 16 agosto 2022
Quando George Washington si preparò ad attaccare le truppe britanniche a Trenton il giorno di Natale, l'attacco sarebbe stato in violazione di una tregua concordata tra le parti in guerra
Non c'è stata alcuna "tregua concordata" nel 1776 perché gli americani erano affamati e sconfitti e gli ufficiali britannico-assiani li avrebbero disprezzati troppo per prendere in considerazione una cosa del genere. È possibile che i soldati professionisti in Europa abbiano avuto un'intesa di questo tipo, se entrambe le parti erano protestanti o cattoliche. Il colonnello Rall aveva piazzato dei picchetti, ma non abbastanza. Credo che siano stati eliminati con spade e baionette.
Nonostante i problemi che gli uomini di Washington ebbero con i dettagli, dal punto di vista operativo fu un attacco a sorpresa perfettamente eseguito. Se Rall fosse sopravvissuto, avrebbe potuto essere rimproverato e basta.
Come la Russia schiacciò Napoleone nel 1812
Il maresciallo Ney a sostegno della retroguardia durante la ritirata da Mosca.
I francesi credevano che la conquista di Mosca avrebbe segnato la vittoria nella guerra. Ma la capitale si rivelò la tomba della Grande Armata…
Nella notte tra il 23 e il 24 giugno 1812, mentre pattugliava il confine dell'Impero Russo sul fiume Neman, vicino a Kovno (l'attuale Kaunas), una pattuglia del Reggimento Cosacco scoprì una compagnia di genieri francesi che sbarcavano sulla riva. “Chi va là?”, gridò loro in francese un ufficiale russo. “Francia”, risposero i soldati in un sussurro. “Cosa avete intenzione di fare qui?”, proseguì il russo. “Ve lo faremo vedere, dannazione!”. Davanti a questa risposta minacciosa, i cosacchi spararono una raffica contro i genieri e si ritirarono. Si concluse così la prima schermaglia della Guerra del 1812, un conflitto che avrebbe portato a un completo riassetto della mappa politica dell’Europa.
Napoleone Bonaparte sperava che la campagna militare in Russia sarebbe stata rapida e vittoriosa, e che alla fine, dopo il trionfo, sarebbe stato possibile imporre la propria volontà allo zar Alessandro I. L’imperatore cercò soprattutto di riportare la Russia al sistema di blocco continentale con cui la Francia cercava di strangolare economicamente l'Inghilterra.
Formalmente lo zar era stato costretto ad aderirvi già nel 1807 dopo la sconfitta dei francesi nella battaglia di Friedland. Tuttavia, per la Russia era estremamente poco redditizio interrompere i legami economici con la “nebbiosa Albione” (Albione è l’antico nome della Gran Bretagna, ndr), e continuava a commerciare segretamente. Questo stato di cose rendeva insensata l'idea stessa del blocco.
La Grande Armata invase l'Impero russo con oltre 400mila uomini, ai quali se ne aggiunsero altri 200mila nei mesi successivi. L'esercito comprendeva svizzeri, polacchi, tedeschi, spagnoli, portoghesi, olandesi e soldati di altre nazionalità. Molti di loro avrebbero preferito combattere contro Napoleone piuttosto che al suo fianco, ma con il dominio totale della Francia in Europa, non avevano altra scelta. I francesi stessi rappresentavano poco più della metà delle truppe.
L'aggressore si trovò di fronte tre eserciti russi eterogenei con una forza totale di 230.000 uomini. Per evitare la battaglia generale voluta da Bonaparte, gli schieramenti si ritirarono verso est, all’interno del Paese. Il 15 agosto, la 1° e la 2° armata occidentale si collegarono a Smolensk. Il principe Barclay de Tolly, feldmaresciallo russo e ministro della guerra durante la campagna di Russia del 1812, aveva intenzione di continuare la ritirata, ma sotto la pressione dell'opinione pubblica fu costretto a dare battaglia ai francesi. Dopo due giorni di scontri accaniti, la città di Smolensk, inghiottita dagli incendi, fu abbandonata.
La battaglia di Smolensk
Il quartier generale francese prima della battaglia
A questo punto la campagna di Russia per la Grande Armata non sembrava più una passeggiata. Nel tentativo di avanzare insieme a Napoleone verso il “cuore della Russia”, ovvero Mosca, le forze principali iniziarono a subire pesanti perdite negli scontri con le truppe russe.
“Il pane è finito, non c'è una goccia di vino né di vodka, la gente si nutre di sola carne bovina, proveniente dal bestiame sottratto agli abitanti e ai villaggi circostanti”, scriveva un ufficiale della guarnigione francese, di ritorno da Smolensk, il 27 agosto: “Ma anche la carne non basta, perché quando ci avviciniamo si disperdono e portano via con sé tutto ciò che possono prendere e si nascondono nelle fitte foreste, quasi inespugnabili. I nostri soldati abbandonano i loro stendardi e si disperdono in cerca di cibo; i contadini russi, quando li vedono, li uccidono con le loro mazze, le lance e i fucili”.
Le squadre di autodifesa nate spontaneamente nei villaggi affrontarono senza pietà gli invasori, mentre alcuni distaccamenti partigiani di ussari e cosacchi operavano nelle retrovie dell'esercito nemico. “Il pensiero dominante dei partigiani dell'epoca doveva essere quello di schiacciare, disturbare, molestare, fare a pezzi, e, per così dire, bruciare il nemico senza intoppi e senza sosta”, scrisse Denis Davydov, comandante di uno di questi distaccamenti, nel suo “Diario delle azioni partigiane”.
Il generale Mikhail kutuzov, che subentrò a Barclay de Tolly nella carica di comandante in capo dell'esercito russo, condivise la strategia del suo predecessore: schiacciare il nemico attraverso una massiccia ritirata nelle profondità nel Paese. Ma c’era chi chiedeva una grande battaglia e il 7 settembre, presso il villaggio di Borodino, a 125 chilometri da Mosca, i russi e i francesi si scontrarono in un ferocissimo combattimento.
Al termine di quella che fu una delle battaglie più sanguinose della storia del XIX secolo, sul campo rimasero i corpi inermi di 80mila persone. Nessuna delle due parti fu in grado di ottenere una vittoria decisiva. Napoleone in seguito avrebbe detto: “La battaglia di Borodino è stata la più bella e la più temibile, i francesi si sono dimostrati degni della vittoria e i russi hanno meritato di essere invincibili”.
La battaglia di Borodino
Kutuzov si rese conto che l'esercito russo, ormai dissanguato, non avrebbe retto a un nuovo scontro. Il 13 settembre, in un consiglio di guerra organizzato nel villaggio di Fili, fu presa una decisione difficile: ritirarsi, lasciando la capitale in mano al nemico. “Con la perdita di Mosca non si perde la Russia. Il primo compito, credo, è quello di preservare l'esercito”, disse il comandante in capo.
Dopo aver occupato Mosca, l'imperatore francese pensò di aver finalmente ottenuto la vittoria e attese gli ambasciatori dello zar Alessandro I con delle proposte di pace. Ma, al contrario, fu “accolto” da un terribile incendio che distrusse tre quarti degli edifici in legno della città. “Che spettacolo terribile! Sono loro che hanno dato fuoco a se stessi... Che determinazione! Che uomini!”, disse l'Imperatore guardando l'oceano di fuoco che imperversava dal Cremlino.
Davanti a quella città distrutta, l’esercito francese, un tempo “grande”, iniziò pian piano a perdere pezzi, con i soldati che si davano all’alcol e ai saccheggi. Non riuscendo a scendere a patti con i russi e dopo aver rifiutato la proposta dei suoi comandanti di passare l’inverno in città, Napoleone e le sue truppe lasciarono Mosca il 19 ottobre.
I francesi intendevano sfondare a sud-ovest, verso Kaluga, dove si trovavano i depositi di cibo dell'esercito russo. Ma il 24 ottobre, nella cittadina di Malojaroslavets, incontrarono le truppe inviate da Kutuzov per tagliargli la strada.
“A ogni passo si vedevano braccia e gambe strappate, teste schiacciate dall'artiglieria di passaggio - disse un testimone oculare della battaglia, Eugène Labome -. Delle case rimanevano solo rovine fumanti, con scheletri semidistrutti visibili sotto la cenere ardente".
Sebbene la città fosse ormai in mano ai francesi, essi non riuscirono ad avanzare a causa delle pesanti perdite subite. Napoleone tornò indietro verso la strada di Smolensk, che era già stata devastata dalle sue truppe.
11 Diverse armate russe si lanciarono dietro al nemico in ritirata, cercando un momento opportuno per attaccare. I distaccamenti partigiani “volanti” non lasciarono un attimo di tregua ai francesi.
A metà novembre, nei pressi della città di Krasny, le truppe russe riuscirono a tagliare la strada e a sconfiggere il corpo d'armata del principe Eugenio di Beauharnais, dei marescialli Louis-Nicolas Davout e Michel Ney. I francesi persero moltissimi uomini: 10.000 morti e altri 26.000 feriti. “Intere folle di francesi, alla sola vista dei nostri piccoli distaccamenti, si affrettavano a gettare le armi”, raccontò Davydov.
Il 24 novembre l'esercito francese di 80.000 uomini (di cui solo la metà in grado di combattere) si avvicinò al fiume Berezina. Al di là del fiume si trovava l’accesso diretto alla frontiera tra l'Impero Russo e il Ducato di Varsavia, alleato di Napoleone.
“Tutti si preoccupavano solo dell'autoconservazione personale - disse l'ufficiale Vionnet de Marengonet -, i vincoli della disciplina erano venuti meno; l'ordine non esisteva più: per raggiungere il ponte, il più forte rovesciava il debole e ne calpestava il cadavere”.
I russi cercarono di tendere una trappola ai francesi, ma l'Imperatore, il suo stato maggiore, le Guardie e parte delle truppe riuscirono comunque a sfondare verso ovest. Gli altri furono meno fortunati: circa 50.000 persone furono uccise nelle battaglie, catturate o annegate nelle fredde acque della Berezina.
La Grande Armata cessò di esistere, ma Napoleone, che aveva ricevuto un colpo terribile, non era ancora stato completamente piegato. Le truppe russe dovettero marciare attraverso l'Europa, versare molto sangue ed entrare a Parigi prima che l'imperatore francese abdicasse al trono.
lunedì 15 agosto 2022
Quale dipinto raffigura un periodo buio in cui l'umanità ha quasi perso l'amore?
"Il mercato degli schiavi" è un dipinto del 1882 dell'artista Gustave Boulanger. Descrive un'asta di schiavi nell'Antica Roma. Mostra la vendita di sette giovani schiavi, da bambini ad adulti.
Sia gli uomini che le tre donne hanno un aspetto simile, il che potrebbe far pensare che fossero membri della stessa famiglia costretti alla schiavitù a causa delle condizioni economiche.
Tutti indossano cartellini che indicano che sono in vendita. La donna più alta sullo sfondo indossa un abito traslucido che mostra chiaramente il seno e i peli pubici.
Cerca di coprirsi gli occhi perché, forse, tra i potenziali acquirenti ci sono amici o vicini che la vedono nuda per la prima volta. Il banditore pranza con un atteggiamento piuttosto disinvolto.
Dal punto di vista dell'arte d'epoca, il dipinto raffigura una scena erotizzata travestita da quadro storico, come si usava a Parigi all'epoca.
Boulanger ha visitato l'Italia, la Grecia e il Nord Africa e questa tela riflette la sua attenzione nel rappresentare accuratamente i dettagli culturali e la sua abilità nel dipingere le forme femminili.