martedì 11 maggio 2021

Terza coalizione

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La terza coalizione fu un'alleanza militare creata nel 1805 da Gran Bretagna, Impero austriaco, Impero russo, Regno di Napoli, Regno di Sicilia e Svezia contro la Francia, allo scopo di sconfiggere Napoleone Bonaparte, divenuto imperatore dei francesi il 2 dicembre 1804, distruggere il sistema di predominio francese sull'Europa centro-meridionale e restaurare le vecchie monarchie dell'Antico regime, deposte durante le guerre rivoluzionarie.
La guerra sul continente, preceduta fin dal 1803 dal nuovo conflitto tra Gran Bretagna e Francia dopo la rottura della breve pace di Amiens, si concluse alla fine di dicembre 1805 con la schiacciante vittoria di Napoleone sugli austriaci e i russi e con la pace di Presburgo che accrebbe ancora il predominio francese in Europa; tuttavia la Gran Bretagna rafforzò il suo dominio marittimo e poté continuare ad opporsi militarmente e politicamente all'Impero napoleonico anche dopo la dissoluzione della coalizione.

La Francia contro le monarchie europee
Rottura della pace di Amiens
Il 25 marzo 1802 il trattato di Amiens aveva messo ufficialmente fine alle guerre rivoluzionarie, stabilendo un provvisorio intervallo di pace generale in Europa; anche la Gran Bretagna aveva accettato di concludere un accordo con la Francia guidata, dopo il lungo periodo rivoluzionario, dal Primo console Napoleone Bonaparte. Il governo britannico guidato dal primo ministro Henry Addington sembrava deciso - nonostante le molte critiche ricevute in patria per aver concluso un accordo che appariva sostanzialmente favorevole alla Francia - ad avviare un periodo di pace, contando di poter migliorare la situazione economica delle isole dopo l'auspicata riapertura dei porti continentali alle merci inglesi.
Non era invece negli intenti di Bonaparte favorire i commerci britannici sul continente; preoccupato di salvaguardare l'agricoltura e i prodotti francesi, il Primo console non solo non revocò le proibizioni stabilite dal Direttorio contro i prodotti inglesi, ma incrementò i diritti doganali e la tassazione sui prodotti coloniali. Egli respinse anche la richiesta britannica di tornare al trattato di commercio del 1786. Oltre a continuare la guerra economica contro la Gran Bretagna, Bonaparte inoltre intraprese una aggressiva politica di espansione coloniale che non poteva che irritare e preoccupare i britannici.
Era negli ambiziosi progetti del Primo console ristabilire il potere francese nelle Americhe; una spedizione al comando del generale Charles Leclerc, venne inviata a San Domingo dove arrestò e deportò il 7 aprile 1802 Toussaint Louverture, il generale Antoine Richepanse rioccupo le Piccole Antille, si parlò di grandi progetti in Louisiana dove era previsto l'invio di una spedizione guidata dal generale Victor. Alleati della Spagna, i francesi potevano prendere il dominio del Golfo del Messico. In realtà in breve tempo questi programmi di Bonaparte incontrarono grandi difficoltà; a San Domingo esplose una rivolta generale della popolazione di colore a causa del ristabilimento della schiavitù, e il corpo di spedizione francese, decimato dalla febbre gialla, dovette arrendersi il 19 novembre 1803. Inoltre Bonaparte, sollecitato dalle pressioni degli Stati Uniti, che minacciarono di allearsi con la Gran Bretagna in caso di ripresa della guerra, decise di cedere la Louisiana e l'accordo venne concluso con gli statunitensi il 3 maggio 1803.
Il 26 giugno 1802 anche l'Impero Ottomano aveva concluso la pace con la Francia, concedendo il transito degli stretti; Bonaparte si accinse quindi a sviluppare progetti di espansione anche in Oriente. Vennero riaperti i consolati del Levante, a Tripoli, Tunisi e Algeri, manovre francesi vennero segnalate in Morea, a Giannina in Serbia, soprattutto venne ripreso il progetto di espansione in Egitto. Alla fine di agosto 1802 il generale Horace Sébastiani venne inviato in questo paese, da dove si recò anche in Siria; nel gennaio 1803, in contemporanea con il completamento dell'evacuazione delle truppe britanniche dall'Egitto, Sebastiani inviò rapporti ottimistici sulle possibilità di riconquistare la regione. Bonaparte non si limitò a queste mosse aggressive; sembrò addirittura intenzionato a minacciare le Indie. Il 6 marzo 1803 il generale Charles Decaen partì per l'India con uno stato maggiore per inquadrare truppe indigene; il generale Jean-Baptiste Cavaignac si recò a Mascate. I britannici, molto preoccupati per queste manovre francesi, ritennero indispensabile prendere precauzioni e, tra l'altro, non abbandonarono Malta, come pure era previsto dal trattato di Amiens.
Il governo Addington era ancor più irritato per la nuova espansione francese in Europa; pur avendo evacuato i porti del Regno di Napoli e dello Stato Pontificio, Bonaparte non evacuò i Paesi Bassi e nell'estate 1802 annetté alla Francia l'isola d'Elba, il Piemonte e Parma. Soprattutto il Primo console intervenne in Svizzera imponendo l'Atto di mediazione del 19 febbraio 1803, mentre il generale Michel Ney occupava il paese con un corpo di truppe. Con questo documento Bonaparte si faceva garante dell'indipendenza e della cantonizzazione della Svizzera che però sarebbe rimasta priva di forze armate e avrebbe concluso un trattato di alleanza cinquantennale con la Francia. Infine in Germania il recesso del Reichstag del 25 febbraio 1803, il Reichsdeputationshauptschluss, che stabiliva la riorganizzazione generale e le compensazioni degli stati tedeschi dopo il passaggio della Renania alla Francia, sanzionò la crescente influenza francese. Gli stati della Germania meridionale si affiancarono alla Francia, mentre l'Austria perse gran parte del suo potere; lo zar Alessandro I apparentemente aveva agito in accordo con Bonaparte ma in realtà fin dal 10 giugno 1802 aveva incontrato il re di Prussia Federico Guglielmo III e sua moglie Luisa, per discutere i nuovi assetti tedeschi che preoccupavano molto anche la Prussia.
Tutti questi avvenimenti convinsero il governo britannico che le possibilità di una pace duratura erano scarse e che fosse necessario prendere energiche iniziative prima di un eccessivo rafforzamento della Francia; fin dal 27 ottobre 1802 il ministro degli esteri Lord Hawkesbury aveva proposto un accordo antifrancese alla Russia. Alessandro non accolse subito la proposta britannica ma le manovre francesi in oriente irritavano molto anche lo zar che intendeva riprendere i grandiosi progetti espansionistici del padre Paolo I. L'8 febbraio 1803 lo zar consigliò quindi alla Gran Bretagna di non riconsegnare Malta. Il rifiuto britannico di abbandonare l'isola provocò subito violenti contrasti con la Francia. Dopo aspri scontri nei colloqui tra Bonaparte e l'ambasciatore britannico Charles Whitworth, il 15 marzo 1803 la Gran Bretagna richiese ufficialmente il possesso di Malta per dieci anni in compensazione dell'espansionismo francese. Bonaparte sembra che prevedesse la guerra solo nell'autunno 1804 e fu sorpreso dalla improvvisa rigidità inglese; l'11 marzo il Primo console richiese la mediazione dello zar, ma il 26 aprile Whitworth presentò un ultimatum e il 12 maggio la Gran Bretagna ruppe le relazioni diplomatiche e l'ambasciatore lasciò Parigi. Senza formale dichiarazione di guerra, le navi britanniche catturarono in alto mare il naviglio mercantile francese, dando inizio al nuovo conflitto anglo-francese che sarebbe proseguito ininterrottamente fino al 1815.

Ripresa della guerra tra Gran Bretagna e Francia
Inizialmente la guerra riprese soprattutto a livello commerciale e navale. Dopo gli attacchi alle navi mercantili, Bonaparte rispose con l'arresto e l'internamento dei sudditi nemici presenti nei territori controllati dalla Francia. Sul mare la Royal Navy, disponendo della netta superiorità numerica, raggiunse immediatamente il predominio; i porti francesi furono di nuovo bloccati, il commercio coloniale francese interrotto e i britannici rioccuparono senza difficoltà Santa Lucia, Tobago, e la Guyana olandese. La ripresa della guerra commerciale con la Gran Bretagna mise in difficoltà l'economia francese; gli stati vassalli, Portogallo, Spagna e Paesi Bassi, dovettero contribuire finanziariamente allo sforzo bellico francese. Sul continente, per bloccante il commercio nemico, Bonaparte inviò guarnigioni a Flessinga e nel Brabante olandese, i porti del Regno di Napoli furono rioccupati dal generale Laurent Gouvion-Saint-Cyr; il generale Édouard Mortier a maggio 1803 invase con un corpo di truppe l'Hannover e raggiunse Cuxhaven e Meppen.
Bonaparte, dopo il fallimento della rivolta irlandese di Thomas Russell e Robert Emmet, si decise a riprendere in considerazione i vecchi progetti di sbarco in Inghilterra per portare la guerra ad una rapida decisione; gran parte dell'esercito francese venne quindi raggruppato al campo di Boulogne dove il 2 dicembre 1803 venne denominato Armée d'Angleterre. Si intrapresero vasti preparativi per costituire il naviglio necessario per il suo trasporto oltre la Manica; entro il 1804 oltre 1.700 chiatte, su cui si prevedeva di trasportare le truppe e i materiali necessari, furono quindi concentrate, nonostante gli interventi delle navi britanniche, a Boulogne e nei porti vicini, ma l'ammiraglio Eustache Bruix, assegnato al comando, mise in guardia sui pericoli di una traversata del canale senza avere preventivamente distrutto o allontanato le squadre navali nemiche dalla zona. Bonaparte quindi, nonostante l'inferiorità numerica e qualitativa della sua flotta rispetto alle forze navali britanniche, progettò di organizzare una serie di complesse manovre delle sue squadre navali per impegnare la flotta nemica e impedirle di intervenire nella Manica.
I porti francesi principali erano sorvegliati dalle squadre britanniche ma solo a Brest l'ammiraglio William Cornwallis bloccava la squadra francese dell'ammiraglio Honoré Ganteaume, impedendogli di uscire; a Rochefort e Tolone, al contrario, le navi francesi, non essendo controllate da vicino, erano in grado di prendere il largo senza difficoltà.
I minacciosi preparativi francesi al campo di Boulogne ed i pericoli di un'invasione allarmarono fortemente i dirigenti britannici e provocarono un intenso movimento di patriottismo tra la popolazione delle isole; per rafforzare la direzione della guerra il governo Addington si dimise nell'aprile 1804 e venne costituito un esecutivo guidato nuovamente da William Pitt che cercò di rafforzare le difese terrestri e potenziare la resistenza nazionale al possibile invasore. Mentre Pitt sviluppava i contatti con le potenze continentali per costituituire una nuova coalizione antifrancese, l'esercito britannico incrementò le riserve addestrate organizzando una milizia volontaria e una additional force reclutata per sorteggio; le forze navali furono lentamente incrementate fino a 115 navi di linea e l'Ammiragliato passò sotto la guida di Lord Barham che dimostrò efficienza e coordinò con abilità le squadre navali.
Nonostante il rafforzamento militare della Gran Bretagna, Bonaparte sembrò deciso a tentare l'invasione; nell'agosto 1804 si recò a Boulogne per ispezionare e galvanizzare l'armata; in questa occasione il 16 agosto 1804 vennero consegnate le insegne della Legion d'onore. Sopraggiunsero però nuove difficoltà: i preparativi organizzativi erano in ritardo, gli ammiragli più esperti, Bruix e Louis Latouche-Treville morirono, sul continente si moltiplicarono i segnali della costituzione di una nuova coalizione antifrancese. La posizione francese sembrò invece rafforzarsi nel dicembre 1804 quando la Spagna, i cui bastimenti erano stati catturati dalle navi britanniche, entrò in guerra contro la Gran Bretagna, apportando un prezioso contributo navale. Bonaparte decise quindi di attivare il suo piano per concentrare tutte le squadre navali alle Antille dove avrebbero attirato la flotta britannica, prima di ritornare rapidamente sulla Manica e liberare il passo alle chiatte per trasportare l'armata francese in Inghilterra.
A causa di difficoltà pratiche, dell'inferiorità delle navi francesi e delle modeste qualità dei comandanti delle squadre, il complicato piano sarebbe finito in un totale fallimento. L'ammiraglio Charles Villeneuve, comandante della squadra di Tolone, dopo aver raggiunto inutilmente la Martinica il 14 maggio 1805, ritornò indietro inseguito dalla squadra dell'ammiraglio Horatio Nelson. Dopo aver subito perdite alla battaglia di Capo Finisterre contro la squadra dell'ammiraglio Robert Calder, l'ammiraglio Villeneuve si ritirò prima a El Ferrol e quindi il 18 agosto a Cadice, dove venne bloccato dalle squadre degli ammiragli Cornwallis e Calder. A questa data le operazioni navali erano ormai inutili dato che Napoleone decise il 24 agosto 1805 di abbandonare i suoi piani di sbarco in Inghilterra e, di fronte all'imminenza dell'attacco delle potenze continentali, trasferire in massa l'esercito, ridenominato Grande Armata, da Boulogne sul fronte del Reno e del Danubio.
Il 28 settembre l'ammiraglio Nelson raggiunse le altre squadre a Cadice e assunse il comando; l'ammiraglio Villeneuve, sollecitato da Napoleone a prendere l'iniziativa e attaccare Napoli dove stava per sbarcare un corpo di spedizione anglo-russo, decise di uscire da Cadice con la sua flotta franco-spagnola al completo, ma venne intercettato il 21 ottobre 1805 e completamente sconfitto al capo Trafalgar. La maggior parte delle navi vennero catturate o affondate e l'ammiraglio cadde prigioniero. La battaglia segnava una svolta decisiva della guerra tra Francia e Gran Bretagna, suggellando il dominio britannico dei mari e impedendo per molto tempo ogni possibilità da parte di Napoleone di riprendere i piani di sbarco in Inghilterra.

Formazione della Terza coalizione
Le scelte politiche di Bonaparte in Europa preoccupavano e irritavano straordinariamente anche le potenze continentali che, nonostante la conclusione della pace, mantenevano grande ostilità ideologica verso la Francia rivoluzionaria e verso il suo nuovo capo, di cui parlavano come dell'"usurpatore" o del "successore di Robespierre". Era soprattutto il nuovo zar Alessandro I che manifestava un attivismo globale e che, con la sua personalità affascinante, egocentrica e contraddittoria, intendeva assumere un ruolo di guida dell'Europa in contrasto con il progetto egemonico francese. Di fronte alle manovre francesi in Oriente, lo zar quindi in segreto consigliò alla Gran Bretagna di non cedere Malta e poi, dopo la richiesta di mediazione di Bonaparte, propose un nuovo accordo generale in Europa che prevedeva che l'isola sarebbe passata alla Russia, i britannici avrebbero acquisito Lampedusa, la Francia avrebbe mantenuto il possesso del Piemonte, mentre gli stati italiani, quelli tedeschi, la Svizzera e i Paesi Bassi sarebbero stati neutralizzati. Bonaparte il 29 agosto 1803 respinse nettamente questo piano che avrebbe vanificato tutti i suoi programmi e avrebbe trasformato lo zar in arbitro del continente, e in poche settimane i rapporti tra Russia e Francia si deteriorarono fortemente; i rispettivi ambasciatori furono richiamati.
I tragici fatti del rapimento e della fucilazione da parte francese del duca di Enghien, di cui si temevano manovre legittimiste contro il Primo console in connessione con un congiura ordita da Georges Cadoudal con la connivenza dei generali Jean-Charles Pichegru e Jean Victor Moreau, avvenuta il 21 febbraio 1804 dopo un'incursione a Ettenheim in territorio tedesco neutrale, rovinò definitivamente i rapporti tra Russia e Francia. Bonaparte rispose con sarcastica ironia alle proteste di Alessandro e alla fine di settembre anche l'incaricato d'affari russo a Parigi, d'Oubril, lasciò la sua sede, interrompendo formalmente i rapporti diplomatici tra i due paesi.
Dopo la rottura con Bonaparte, Alessandro riprese quindi i contatti con il primo ministro Pitt; i britannici si mostrarono refrattari ai grandiosi progetti di riorganizzazione generale dello zar, e il 29 giugno 1804 venne concluso un primo accordo in cui si prevedeva soltanto di togliere il Belgio e la Renania alla Francia. Mentre l'inviato dello zar Novosilcev si recava a Londra per ridiscutere l'accordo e Loveson-Gower arrivava a Pietroburgo, la Svezia si allineò all'alleanza anglo-russo firmando un accordo con i britannici il 3 dicembre 1804 e con i russi nel gennaio 1805. Le discussioni continuarono fino all'11 aprile 1805 quando venne firmato un formale trattato che prevedeva importanti sovvenzioni britanniche alla Russia collegate al numero di soldati mobilitati. Venne previsto anche un intervento in Pomerania per rinforzare gli svedesi, e una azione anglo-russa a Napoli dove la regina Maria Carolina, accesamente antifrancese, aveva assunto la direzione degli affari e aveva concluso una convenzione nel novembre 1804. In Sicilia l'ammiraglio Nelson aveva il pieno controllo della situazione, mentre anche l'Impero Ottomano venne consultato e si rifiutò di riconoscere l'impero francese. L'accordo anglo-russo dell'11 aprile 1805 prevedeva di togliere alla Francia le conquiste nei Paesi Bassi e in Renania, mentre si stabilì che si sarebbe cercato di imporre una restaurazione della monarchia borbonica.
Per attaccare la Francia sul continente gli anglo-russi necessitavano di alleati in Germania, ma gli stati tedeschi meridionali, ostili all'Austria che esercitava pressioni per il ripristino della sua influenza nel Reichstag, si avvicinarono invece alla Francia che le proteggeva contro le minacce austriache. La Baviera si alleò con la Francia il 25 agosto 1805 e il Württemberg si affiancò di fatto il 5 settembre. La Prussia invece mostrò grande indecisione; la sua dirigenza politica era divisa tra un partito francese, guidato da Johann Wilhelm Lombard e da una fazione vicina alla Russia di cui facevano parte Christian von Haugwitz e Karl August von Hardenberg e soprattutto la regina Luisa che esprimeva apertamente la sua simpatia per lo zar e il suo odio per Bonaparte, "il rifiuto dell'inferno". A luglio 1803 lo zar aveva proposto a Federico Guglielmo un'alleanza difensiva in caso di minacce francesi nell'Hannover o sul Weser; un accordo fu concluso in questo senso il 24 maggio 1804. Ma il Primo console fu molto abile; intraprese trattative con la Prussia per evitarne l'intervento e cercare di legarla alla Francia, prospettando la possibilità dell'acquisizione dell'Hannover, occupato dalle truppe francesi. Le trattative si prolungarono, Bonaparte guadagnò tempo, evacuò l'Hannover e impedì il passaggio della Prussia nell'alleanza anglo-russa.
In un primo tempo anche l'Austria, nonostante le perdite territoriali sanzionate dal trattato di Lunéville, sembrava desiderosa di mantenere la pace; la situazione economica dell'impero era critica, le riforme amministrative e militari intraprese dall'arciduca Carlo erano solo all'inizio, l'imperatore Francesco II rimaneva prudente ed anche il cancelliere Ludwig von Cobenzl manifestava la volontà di collaborare con la Francia. Tuttavia anche a Vienna erano presenti fautori della guerra contro la Francia, come Johann von Stadion e George Adam Stahremberg; gli ambasciatori delle potenze coalizzate premevano per favorire una decisione austriaca e lo stesso Cobenzl, dopo la rottura della pace di Amiens, si riavvicinò alla Russia che propose un'alleanza già a gennaio 1804.
Le nuove decisioni del Primo console in Francia favorirono la definitiva costituzione della coalizione e spinsero l'Austria ad intervenire; prendendo a pretesto la recente congiura di Cadoudal e le costanti minacce alla vita di Bonaparte, venne approvata il 28 floreale anno XII (18 maggio 1804) una nuova costituzione, confermata da un plebiscito, che instaurava l'impero in Francia e creava la carica di "Imperatore dei francesi", assegnata a Bonaparte con il nome di Napoleone I. L'incoronazione formale avvenne il 2 dicembre 1804 a Notre-Dame alla presenza del Papa Pio VII e provocò aspre reazione da parte dei controrivoluzionari e dei legittimisti europei. In Austria si vide minacciata, da questo nuovo impero con una nuova dinastia, la posizione del Sacro Romano Impero Germanico. Inoltre Napoleone continuò a rafforzare il predominio francese nelle repubbliche "sorelle": nei Paesi Bassi venne emendata la costituzione rafforzando i poteri dell'esecutivo guidato da Rutger Jan Schimmelpenninck, strettamente legato ai francesi; il 9 giugno 1805 venne decisa l'annessione di Genova e della Liguria alla Francia; soprattutto Napoleone prese l'iniziativa, in connessione con la costituzione dell'impero, di trasformare la Repubblica italiana in Regno d'Italia, di cui lui stesso sarebbe stato il re con viceré Eugenio di Beauharnais. Il 18 marzo 1805 venne approvato un senatocosulto e il 18 maggio si svolse la cerimonia di incoronazione a Milano.
Di fronte a questi clamorosi sviluppi dell'equilibrio europeo il cancelliere Cobenzl modificò la sua precedente posizione e prese una serie di iniziative antifrancesi; fin dal 6 novembre 1804 Austria e Russia avevano concluso un trattato difensivo; inoltre l'arciduca Carlo, dubbioso sull'opportunità di una nuova guerra, venne sostituito alla testa dell'esercito dal generale Karl Mack; il 17 giugno il consiglio aulico di Vienna decise di affiancarsi all'alleanza anglo-russa. Da quel momento la Terza coalizione divenne una realtà concreta; dopo i colloqui tra i generali Ferdinand von Wintzingerode e Mack il 16 luglio per concordare un piano di operazioni, il 28 luglio Gran Bretagna e Russia ratificarono il trattato d'alleanza e il 9 agosto anche l'Austria entrò ufficialmente nella coalizione. L'11 settembre alle potenze si unì il Regno di Napoli, la cui parte continentale del territorio era occupata dalle truppe francesi del generale Gouvion-Saint-Cyr.

Piani di guerra
Dispersione delle forze dei coalizzati
Teoricamente le potenze della terza coalizione potevano impegnare nella guerra oltre mezzo milione di soldati e disponevano quindi di una chiara superiorità numerica sull'avversario; tuttavia i piani predisposti, complicati e di difficile coordinamento, provocarono la dispersione di queste poderose forze. Durante i colloqui del 16 luglio tra i generali Wintzigenrode e Mack erano stati esaminati in dettaglio i tempi e le modalità della cooperazione austro-russa sul fronte tedesco. Il piano adottato prevedeva che in Germania una armata austriaca costituita da 60.000 soldati, più 11.000 nel Vorarlberg, guidata dall'arciduca Ferdinando e dal generale Mack attendesse sul Lech, prima di attaccare, l'arrivo della prima armata russa che, sotto il comando del generale Mikhail Kutuzov, sarebbe arrivata entro il 20 ottobre e sarebbe stata seguita in breve dalla seconda armata russa del generale Friedrich von Buxhoeveden. L'Austria diede tuttavia grande importanza al fronte italiano e sull'Adige venne raggruppata l'armata dell'arciduca Carlo con 65.000 soldati, appoggiati nel Tirolo da altri 25.000 uomini dell'arciduca Giovanni.
L'esercito austriaco, ancora in fase di trasformazione dopo i tentativi di riforma del generale Mack, rimaneva ancora debole numericamente, scarsamente progredito nelle tattiche di battaglia e molto disorganizzato sul piano materiale. Inoltre il generale Wintzigenrode fu prodigo di promesse ma in realtà il generale Kutuzov portò in Germania solo 38.000 soldati invece dei 50.000 previsti, e il generale Buxhoeveden non arrivò sul campo che alla fine di novembre. Oltre a queste offensive principali in Germania e in Italia, le potenze coalizzate progettarono una serie di altri attacchi secondari nei settori periferici che avrebbero dovuto permettere di riconquistare importante regione europee e di schiacciare le forze francesi da tutti i lati. Venne quindi studiata un'offensiva per riconquistare l'Hannover con 15.000 soldati britannici che sarebbero sbarcate a Cuxhaven, con 12.000 svedesi in Pomerania e con 20.000 russi concentrati a Stralsunda. Si previde anche l'impiego di una terza armata russa di 50.000 soldati che, al comando del generale Levin von Bennigsen, si sarebbe schierata sulla Vistola per minacciare la Prussia e spingerla ad intervenire a fianco della coalizione.
Si progettò inoltre la riconquista della parte continentale del Regno di Napoli con il corpo di spedizione britannico del generale James Henry Craig, con forze russe provenienti da Corfù, con truppe albanesi e con 36.000 soldati borbonici disponibili in Sicilia. Altre forze russe vennero schierate a Odessa per intervenire in Moldavia e Valacchia; la Gran Bretagna infine ipotizzò di effettuare sbarchi sulle coste francesi per riattivare la rivolta realista chouan.
Questi piani furono intralciati da una serie di difficoltà ed errori: re Federico Guglielmo di Prussia il 15 luglio rifiutò di accordare il passaggio attraverso la Pomerania alle truppe anglo-russo-svedesi e non aderì alla coalizione nonostante le pressioni dello zar Alessandro che minacciò di ricostituire la Polonia e che il 23 luglio arrivò a Puławy insieme al suo consigliere polacco Adam Czartoryski. Il corpo di spedizione britannico del generale Craig fu ritardato a Gibilterra dalla guerra di squadre che precedette la vittoria di Trafalgar; differenze tra il calendario gregoriano adottato dagli austriaci e il calendario giuliano impiegato dai russi provocò un increscioso equivoco sui tempi di intervento delle truppe dello zar sul Danubio. Inoltre gli austriaci diedero eccessiva importanza al fronte italiano dove ritennero che Napoleone avrebbe sferrato la sua offensiva principale come nel 1796 e 1800.

Napoleone e la Grande Armata
Fino alla fine di luglio Napoleone non credette alla formazione di una nuova coalizione ed alla possibilità di una guerra continentale, solo il 23 agosto si convinse definitivamente del pericolo e quindi decise di abbandonare i piani di sbarco in Inghilterra e di attuare un gigantesco movimento strategico della massa delle sue forze, denominate Grande Armata, dal campo di Boulogne al Reno. L'imperatore decise di concentrare al massimo le sue truppe e quindi ordinò al maresciallo Jean-Baptiste Bernadotte di abbandonare l'Hannover con il I corpo d'armata ed al generale Auguste Marmont di lasciare i Paesi Bassi con il II corpo ed affrettarsi verso la Baviera. I piani di Napoleone prevedevano di raggruppare una massa di 176.000 soldati divisi in sei corpi d'armata, la riserva di cavalleria e la Guardia imperiale. Il VII corpo d'armata del maresciallo Pierre Augereau, schierato in Bretagna sarebbe arrivato in un secondo tempo. Sulle coste della Manica sarebbe rimasto solo il maresciallo Guillaume Brune con 30.000 soldati.
Mentre la massa delle forze francesi si sarebbe concentrata sul fronte tedesco per sferrare un colpo decisivo contro gli austriaci possibilmente prima dell'arrivo dei russi, Napoleone lasciò sul fronte italiano il maresciallo Andrea Massena, uno dei suoi più fidati luogotenenti, al comando dell'Armata d'Italia con solo 42.000 soldati con l'ordine di mantenersi sulla difensiva in attesa degli sviluppi in Germania. L'imperatore decise inoltre, per guadagnare tempo e accrescere le forze disponibili, di trattare una convenzione di sgombero con l'ambasciatore del Regno di Napoli. L'accordo venne concluso il 21 settembre e quindi le truppe del generale Gouvion-Saint-Cyr evacuarono il territorio peninsulare e andarono a rinforzare lo schieramento nell'Italia settentrionale; truppe francesi entrarono anche in Etruria e occuparono Ancona nonostante le proteste del Papa.
Napoleone, dopo aver diramato fin dal 13 agosto 1805 i famosi ordini di marcia della Grande Armata all'intendente generale Pierre Daru che prevedevano già la grande manovra dalle coste della Manica alla Germania, e dopo aver diretto le prime fasi del movimento dei vari corpi d'armata, tornò brevemente a Parigi dove si trovò di fronte a torbide manovre dei realisti, all'opinione pubblica molto preoccupata per la nuova guerra e soprattutto ad una grave crisi finanziaria a causa di oscure transazioni speculative che coinvolgevano la Banca di Francia. L'esercito subì le conseguenze della crisi economica; i mezzi e i materiali erano molto carenti, le paghe mancavano, molti soldati entrarono in campagna con un solo paio di scarpe e con scarso vettovagliamento, il servizio delle tappe e delle guarnigioni dovette essere interrotto.
Nonostante queste gravi carenze organizzative e materiali causate anche da un sistema di intendenza e di forniture inefficiente e corrotto, la Grande Armata avrebbe dato prova durante la campagna di grande combattività e di una stupefacente rapidità di movimento. I soldati, pur poco riforniti, spesso indisciplinati, dediti al saccheggio nei territori occupati per colmare le carenze di vettovagliamento, erano tuttavia molto esperti dopo le guerre rivoluzionarie, agguerriti, in grado di effettuare le improvvise marce forzate richieste dalla strategia napoleonica, con un morale molto alto dopo le precedenti vittorie e convinti della propria superiorità di cittadini della "Grande nazione" di fronte agli eserciti mercenari dell'antico regime. Gli ufficiali e i sottufficiali, provenienti anch'essi dai ranghi inferiori, erano molto coraggiosi e motivati dalla speranza dell'elevazione sociale e materiale consentita dal sistema dell'uguaglianza e della promozione per merito.
Napoleone aveva migliorato durante i pochi anni di pace l'efficienza e le capacità di impiego operativo degli eserciti rivoluzionari attraverso l'organizzazione dei corpi d'armata, grandi formazioni costituite da 2-4 divisioni con artiglieria e cavalleria di riserva in grado di sostenere temporaneamente uno scontro anche contro forze superiori, che permettevano la grande flessibilità della strategia napoleonica. Comandati dai suoi generali, quasi tutti elevati al rango di maresciallo di Francia, questi corpi d'armata avrebbero consentito all'imperatore durante la prima parte della campagna del 1805 di dominare grandi spazi con la sua tecnica di marcia separata ma coordinata, serrando progressivamente gli eserciti nemici in una zona sempre più ristretta prima del concentramento generale per sferrare l'attacco decisivo.

La guerra
La manovra di Ulma

«L'imperatore ha vinto con le nostre gambe»
(Espressione usata dai soldati francesi per evidenziare la decisiva velocità della marcia forzata della Grande Armata durante la campagna del 1805)

Inizialmente Napoleone aveva previsto di concentrare la Grande Armata in Alsazia; ma, tra il 24 ed il 28 agosto, decise per accelerare i tempi della marcia e favorire il congiungimento dei corpi d'armata provenienti da Boulogne con il I corpo del maresciallo Bernadotte e il II corpo del generale Marmont che scendevano da nord, di marciare direttamente verso il Palatinato. La marcia si effettuò secondo un programma rigidamente stabilito, ogni corpo diresse le sue divisioni su strade differenti, in ventiquattro marce venne previsto l'arrivo della Grande Armata fino al Reno tra Mannheim e Strasburgo. I soldati francesi effettuarono una impressionante marcia di 35-40 chilometri al giorno; alcuni reparti percorsero fino a settecento chilometri a piedi. Nonostante le carenze dei fornitori e dell'organizzazione, la manovra, ideata da Napoleone fin nei dettagli nell'ordine di operazioni del 13 agosto, ebbe completo successo. L'imperatore arrivò a Strasburgo il 26 settembre e assunse il comando, mentre dal 24 settembre l'armata aveva iniziato ad attraversare il Reno.
L'arciduca Ferdinando, comandante nominale dell'esercito austriaco in Germania, temendo di esporre le sue truppe, in un primo momento aveva proposto di mantenere l'armata concentrata dietro il Lech e attendere l'arrivo dei russi del generale Kutuzov, ma il generale Mack, sottovalutando fortemente la consistenza numerica delle forze francesi che Napoleone avrebbe potuto schierare sul Reno, lo convinse ad avanzare subito fino alla Foresta Nera. L'11 settembre 1805 l'armata austriaca quindi superò il fiume Inn e invase la Baviera senza incontrare molta resistenza; l'esercito bavarese si ritirò a nord dietro il fiume Meno.
Napoleone attraversò il Reno tra Mannheim e Strasburgo con quattro corpi d'armata dal 25 settembre 1805 e quindi diresse le sue forze, coperte dalla cavalleria del maresciallo Gioacchino Murat, verso il Danubio mentre da nord marciavano i corpi del generale Marmont e del maresciallo Bernadotte che, per accelerare il suo movimento, attraversò su ordine dell'imperatore il territorio prussiano di Ansbach. La Grande Armata effettuò la manovra a nord del Danubio con rapidità e Napoleone, appreso che il grosso degli austriaci era raggruppato a Ulma, concentrò progressivamente le sue forze a valle di Ulma per farle attraversare il fiume inotrno a Donauwörth. Il 2 ottobre l'armata fece una conversione a destra, su un fronte da Ansbach a Stoccarda, puntando decisamente sulle retrovie austriache, Il 6 ottobre i francesi erano raggruppati sulla linea Ingolstadt-Donauwörth e Napoleone poté dare ordine di iniziare ad attraversare il Danubio.
I corpi francesi attraversarono dal 7 ottobre il fiume senza incontrare resistenza; il generale Mack, sorpreso dall'improvviso concentramento nemico a nord del Danubio, aveva infatti deciso di concentrare le sue forze a Ulma senza cercare di rallentare i movimenti nemici; la marcia austriaca si effettuò con difficoltà e l'8 e il 9 ottobre due formazioni furono sconfitte in scontri d'avanguardia a Wertingen e Günzburg. Napoleone, non trovando opposizione alle sue manovre, ipotizzò che il generale Mack avesse deciso di ripiegare, e decise quindi, per evitare una ritirata austriaca verso sud o verso est, di dispiegare su ampio fronte i suoi corpi d'armata per coprire tutte le possibili direzioni. mentre il III corpo del maresciallo Louis-Nicolas Davout e il I corpo del maresciallo Bernadotte si diressero verso Monaco e l'Isar per proteggere le spalle dell'esercito in caso di intervento dei russi da est, il grosso della Grande Armata, con il IV corpo del maresciallo Nicolas Soult, il II corpo del generale Marmont, il V corpo del maresciallo Jean Lannes e il VI corpo del maresciallo Michel Ney, marciò verso ovest in direzione di Ulma e dell'Iller dove Napoleone si aspettava di combattere la battaglia decisiva. A nord del Danubio in un primo momento rimase solo la divisione del generale Pierre Dupont, appartenente al corpo del maresciallo Ney.
La posizione isolata della divisione del generale Dupont espose le truppe francesi alla manovra organizzata l'11 ottobre dal generale Mack a nord del Danubio con una parte delle sue forze; ad Haslach la divisione francese si trovò in difficoltà e dovette combattere una dura battaglia per respingere gli austriaci. Il reparto del generale Werneck poté sfuggire a nord insieme all'arciduca Ferdinando, ma il generale Mack, ingannato dalle informazioni ricevute sulla marcia del grosso dei francesi verso l'Iller, che egli interpretò come una manovra di ritirata, decise di non insistere a nord del Danubio e rientrò con gran parte delle sue truppe ad Ulma senza avvertire il pericolo di un accerchiamento generale.
Napoleone, apprese le notizie delle difficoltà a nord del Danubio, intervenne subito distaccando sulla riva settentrionale del fiume il VI corpo del maresciallo Ney e la cavalleria del maresciallo Murat che a Elchingen il 15 ottobre sconfissero il nemico che quindi rifluì completamente dentro Ulma, investita ora da tutte le direzioni dai francesi. Il VI corpo conquistò le alture di Michelsberg, che sovrastano la città, mentre il maresciallo Lannes marciò su Elchingen e il maresciallo Soult avanzò da sud-ovest. Il 17 ottobre il generale Mack, ormai circondato, chiese un armistizio fino al 25, con la clausola che gli austriaci si sarebbero arresi se non avessero ottenuto rinforzi per tale data. Senza attendere questa scadenza, il 20 ottobre il generale Mack, completamente demoralizzato, si arrese direttamente a Napoleone che ebbe parole di conforto per il comandante nemico che era stato completamente disorientato dalle manovre dell'imperatore.
Il generale Mack depose le armi insieme a circa 27.000 soldati, mentre inseguiti, dalla cavalleria del maresciallo Murat, anche gran parte dei reparti rimasti fuori dall'accerchiamento vennero progressivamente catturati. Solo pochi squadroni di cavalleria con l'arciduca Ferdinando e la divisione del generale Michael von Kienmayer riuscirono a salvarsi; il 18 ottobre anche il generale Werneck era costretto ad arrendersi; in totale la Grande Armata catturò oltre 49.000 prigionieri.
I soldati della Grande Armata avevano completato con successo le manovre e le marce forzate pianificate da Napoleone, ma le truppe, prive di mezzi e di materiali, esposte alle intemperie del clima, soffrirono molte privazioni durante questa campagna; anche se in apparenza la campagna si era svolta con regolarità e senza incertezze, i reparti, sottoposti a grande pressione fisica, in parte si disorganizzarono e il disordine si diffuse nell'esercito.

L'inseguimento dei russi
Napoleone riprese l'offensiva il 26 ottobre; mentre il VI corpo del maresciallo Ney si diresse in Tirolo per impegnare le truppe dell'arciduca Giovanni, il maresciallo Augereau, appena arrivato da Brest con il VII corpo, occupò il Vorarberg; l'imperatore con il grosso dell'armata marciò invece direttamente contro l'esercito del generale Kutuzov che, appena arrivato all'Inn e avendo appreso della catastrofe del generale Mack, aveva iniziato a ripiegare frettolosamente verso est per evitare una battaglia e congiungersi con i 30.000 soldati russi del generale Buxhoeveden che erano in avvicinamento dalla Slesia.
Mentre in Italia anche l'arciduca Carlo, alla notizia del disastro in Baviera, si stava ritirando verso est inseguito dall'armata d'Italia del Maresciallo Andrea Massena, Napoleone cercò quindi di agganciare l'esercito russo del generale Kutuzov per sfruttare il vantaggio strategico raggiunto con il successo della prima fase della campagna. Le difficoltà geografiche causate dal terreno irregolare e dalla ristrettezza della valle del Danubio e l'abilità tattica del comandante russo intralcialciarono l'inseguimento francese; l'imperatore dovette distaccare una parte delle sue forze verso il Tirolo e il Vorarlberg, i corpi del generale Marmont e del maresciallo Davout avanzarono con difficoltà nei sentieri di montagna, mentre Napoleone organizzò un nuovo corpo d'armata al comando del generale Édouard Mortier per marciare a nord del Danubio e tagliare la strada ai russi lungo la riva settentrionale. Alla fine di ottobre il grosso dell'armata, con il corpo del maresciallo Lannes e la cavalleria del maresciallo Murat in testa, attraversò l'Isar mentre i russi acceleravano la loro ritirata per sfuggire alle manovre nemiche.
L'agganciamento dell'esercito russo non riuscì; dopo una serie di scontri di retroguardia che permisero al generale Kutuzov di rallentare l'inseguimento, il maresciallo Murat si lasciò ingannare a Krems da proposte dilatorie russe di negoziati che consentirono di guadagnare ulteriore tempo. Il generale Kutuzov riuscì quindi raggiungere la riva sinistra del Danubio, facendo saltare dietro di sé i ponti. Inoltre avendo il maresciallo Murat marciato direttamente su Vienna, il corpo d'armata del generale Mortier si ritrovò isolato a nord del Danubio e l'11 novembre venne attaccato a Dürenstein e messo in grave difficoltà dal grosso dell'esercito russo. La disfatta fu evitata grazie all'arrivo di rinforzi, ma l'esercito nemico poté proseguire la sua ritirata a nord di Vienna.
Napoleone fece un nuovo tentativo di intercettare i russi prima che potesse congiungersi con l'armata del generale Buxhoeveden; quindi l'imperatore ordinò al maresciallo Murat di attraversare al più presto il Danubio a Vienna, seguito dai corpi del maresciallo Lannes e del maresciallo Soult in modo da prendere il generale Kutuzov di fianco, mentre il corpo del maresciallo Bernadotte avrebbe attraversato a Melk, per tagliare la strada a i russi. Il maresciallo Murat entrò a Vienna, abbandonata dalla corte e dichiarata "città aperta", il 12 novembre e, insieme al maresciallo Lannes, conquistò i ponti, occupati e minati dagli austriaci, con uno stratagemma. Tuttavia il maresciallo Bernadotte attraversò il Danubio solo il 15 novembre e quindi il generale Kutuzov riuscì a sfuggire ancora all'accerchiamento, lasciando un retroguardia di 6.000 uomini al comando del generale Pëtr Bagration. L'armata francese avanzò fino a Brünn in Moravia (odierna Brno), ma ormai i russi erano in salvo e poterono ricongiungersi con il resto delle forze austro-russe.

Battaglia di Austerlitz
La situazione della Grande Armée rischiava di diventare pericolosa; le forze francesi si stavano progressivamente indebolendo a causa del logoramento della campagna ed inoltre erano ampiamente disperse per coprire tutte le direzioni. Il VII corpo del maresciallo Augereau, il VI corpo del maresciallo Ney ed il II corpo del generale Marmont erano impegnati ad occupare e controllare il Vorarlberg, il Tirolo e la valle della Drava per evitare un concentramento delle notevoli forze dell'arciduca Carlo e dell'arciduca Giovanni a sud di Vienna. L'arciduca Carlo aveva ripiegato dal Veneto su Lubiana per effettuare il raggruppamento ed era seguito dal grosso della Armata d'Italia del Maresciallo Massena. Temendo il congiungimento degli arciduchi, Napoleone, per proteggere la direzione di Vienna da sud, aveva lasciato per il momento nella capitale il III corpo del maresciallo Davout e il corpo provvisorio del generale Mortier.
Quindi in Moravia, a est di Brünn, di fronte alle forze principali nemiche, Napoleone disponeva solo del IV corpo del maresciallo Soult, del V corpo del maresciallo Lannes, della cavalleria del maresciallo Murat e della Guardia imperiale, mentre anche il I corpo del maresciallo Bernadotte era stato distaccato a nord per sorvegliare la Boemia. L'imperatore sapeva di essere in inferiorità numerica: di fronte a lui c'era, dopo il congiungimento delle due armate russe dei generali Kutuzov e Buxhoeveden e del corpo austriaco del generale von Kienmeyer, l'armata austro-russa principale, guidata ufficialmente dal generale Michail Kutuzov, con 100.000 uomini e con la presenza sul campo dello zar Alessandro I e dell'imperatore Francesco II, con il quartier generale a Olmütz; era prevedibile inoltre l'arrivo in breve tempo di una terza armata russa al comando del generale Levin von Bennigsen proveniente dalla Polonia attraverso la Slesia e la Boemia, dove già l'arciduca Ferdinando stava riorganizzando le sue forze.
L'evoluzione politica della Prussia era inoltre fonte di ulteriore preoccupazione per Napoleone; profondamento irritato dallo sconfinamento delle truppe francesi attraverso il territorio prussiano del principato di Ansbach, il re Federico Guglielmo consentì il passaggio dell'esercito russo attraverso la Slesia e occupò di propria iniziativa l'Hannover. Il 25 ottobre lo zar Alessandro, prima di recarsi presso il suo esercito, era giunto a Berlino dove era stato accolto con favore dalla regina Luisa, dalla corte e dai fautori della guerra prussiani, guidati da Johannes von Müller e Karl von Hardenberg. Il 3 novembre lo zar ed il re di Prussia conclusero la convenzione segreta di Potsdam, che prevedeva che la Prussia avrebbe offerto la sua mediazione tra la Francia e gli austro-russi sulla base del ritorno alle clausole del trattato di Lunéville; in caso di rifiuto francese la Prussia sarebbe entrata in guerra a fianco della coalizione, insieme all'Assia e alla Sassonia. In realtà il re, ancora esitante e preoccupato da una eventuale guerra, diede disposizione al suo inviato Christian von Haugwitz di attendere una risposta dell'imperatore fino al 15 dicembre 1805. L'inviato del re di Prussia arrivò quindi a Brünn il 28 novembre per comunicare le condizioni ma Napoleone lo indirizzò a Vienna dove Charles de Talleyrand ricevette disposizioni di guadagnare tempo in attesa degli imminenti sviluppi sul campo di battaglia.
Napoleone, pur non conoscendo i retroscena segreti dei colloqui tra Alessandro e Federico Guglielmo, era consapevole della necessità di accelerare i tempi e combattere subito una battaglia decisiva prima della decisione definitiva prussiana e dell'arrivo della terza armata russa o degli eserciti degli arciduchi a sud. L'imperatore quindi, non potendo, per mancanza di forze, proseguire verso Olmütz, progettò di indurre gli avversari ad attaccarlo subito, simulando di essere in difficoltà e di temere una battaglia. Dopo alcuni scontri di avanguardia sfavorevoli ai francesi, Napoleone decise di indietreggiare, di passare sulla difensiva, di trattare un armistizio; durante i colloqui del 27 novembre con l'inviato dello zar Dolgorukij, l'imperatore diede mostra di incertezza e timore, favorendo l'eccessivo ottimismo dei suoi avversari che, considerando la situazione favorevole, convinsero lo zar Alessandro, nonostante i dubbi del generale Kutuzov, a passare subito all'attacco senza attendere ulteriori rinforzi.
Napoleone inoltre diede ordine al maresciallo Soult di abbandonare con il IV corpo d'armata l'importante altura del Pratzen, al centro del suo schieramento, e ripiegare ad ovest della cittadina di Austerlitz, per invitare ancor più i suoi nemici a prendere l'iniziativa e attaccarlo; in realtà l'imperatore stava progettando un piano di battaglia a sorpresa e aveva richiamato sul campo il I corpo del maresciallo Bernadotte, che si sarebbe posizionato di riserva alle forze del maresciallo Lannes, e il III corpo del maresciallo Davout che, a marce forzate da Presburgo, doveva schierarsi sul fianco destro francese dove Napoleone si aspettava l'attacco principale degli austro-russi.
Il giorno 1º dicembre le forze coalizzate raggiunsero le linee difensive francesi, ed il mattino del 2 dicembre 1805 attaccarono il fianco destro nemico, mettendo in azione un complesso piano di operazioni su varie colonne scarsamente coordinate, studiato dal generale austriaco Franz von Weyrother e approvato dallo zar nonostante lo scetticismo del generale Kutuzov; in questo modo gli austro-russi però sguarnirono, secondo le previsioni dell'imperatore, le loro linee al centro dello schieramento sull'altopiano del Pratzen. Mentre il maresciallo Lannes con il V corpo respingeva gli attacchi secondari sul fianco sinistro e il maresciallo Davout conteneva con le divisioni del III corpo d'armata l'offensiva alleata principale sul fianco destro, Napoleone sferrò quindi di sorpresa con il IV corpo d'armata del maresciallo Soult l'attacco decisivo sull'altopiano del Pratzen. Mentre la nebbia del mattino si diradava sotto i raggi del sole, i soldati francesi del maresciallo Soult salirono l'altipiano, conquistarono la posizione e sbaragliarono il centro degli austro-russi, frazionando in due parti l'esercito nemico. Dopo questo successo decisivo, i francesi presero alle spalle, discendendo dal Pratzen, l'ala sinistra austro-russa che venne in parte distrutta, mentre l'ala destra si ritirò con gravi perdite.
La battaglia di Austerlitz si concluse con la completa sconfitta dei coalizzati e Napoleone raggiunse, grazie alla sua grande abilità tattica e strategica, la più grande vittoria della sua carriera. Ad Austerlitz morirono 11.000 russi e 4.000 austriaci, 12.000 uomini furono fatti prigionieri e furono catturati 180 cannoni e 50 bandiere. I francesi persero 1.305 morti, 6.940 feriti e 573 prigionieri. La vittoria francese provocò immediatamente sviluppi politici decisivi; lo zar Alessandro, molto turbato dalla disfatta, abbandonò il campo e ritirò i suoi eserciti in Polonia, sospendendo la guerra, e l'imperatore Francesco si affrettò ad incontrare Napoleone ed a concludere un armistizio il 6 dicembre 1805 senza attendere le decisioni della Prussia. Il 7 dicembre l'imperatore incontrò l'inviato prussiano Haugwitz e, con minacce e intimidazioni, lo costrinse a firmare il 15 dicembre il trattato di Schönbrunn che prevedeva un'alleanza franco-prussiana e l'annessione dell'Hannover da parte della Prussia che avrebbe ceduto Neuchâtel e Ansbach.
La posizione di Napoleone era ora dominante in Germania, fin dal 7 dicembre egli aveva consolidato l'alleanza con la Baviera ed il Württemberg; dopo la defezione della Prussia ed il ritiro della Russia, l'imperatore Francesco dovette accettare, dopo aver destituito il cancelliere von Cobenzl ed il consigliere Franz von Colloredo, la Pace di Presburgo che venne firmata il 26 dicembre. Secondo i termini del trattato, l'Austria cedeva al Regno d'Italia gli ex territori della Repubblica di Venezia da essa acquisiti con Trattato di Campoformio del 1797; in Germania rinunciava al Tirolo e al Vorarlberg che venivano ceduti al Regno di Baviera. Otteneva però l'arcivescovato di Salisburgo. L'Austria perdeva così ogni influenza sull'Italia e sulla Germania meridionale, essendo inoltre gli Asburgo costretti l'anno successivo a rinunciare al titolo di Imperatore dei Romani.

Campagne in Italia
In Italia il maresciallo Massena aveva preso l'offensiva nonostante l'inferiorità numerica delle sue forze schierate sull'Adige per impegnare l'esercito dell'arciduca Carlo e proteggere il regno; con 42.000 soldati il maresciallo attraversò il fiume e attaccò le posizioni austriache a Caldiero il 28 ottobre 1805. Dopo duri scontri gli austriaci si ritirarono il 31 ottobre, abbandonando le retroguardie. L'arciduca Carlo, informato del disastro a Ulma, decise inizialmente di ritirarsi dietro il Tagliamento per coprire le forze dell'arciduca Giovanni in Tirolo. Nelle settimane successive l'arciduca continuò a ritirarsi verso Lubiana, controllato da vicino dal Massena, secondo le indicazioni di Napoleone che temeva un ricongiungimento delle forze austriache degli arciduchi Carlo e Giovanni a sud delle sue posizioni a Vienna.
Nel meridione d'Italia le truppe del generale Gouvion-Saint-Cyr avevano evacuato il territorio peninsulare del Regno di Napoli, dopo la convenzione conclusa dalla Francia con il Regno il 21 settembre, e si erano trasferite in Veneto per appoggiare l'esercito del maresciallo Massena. Il re Ferdinando IV aveva confermato l'accordo temendo un intervento della flotta francese dell'ammiraglio Villeneuve, ma dopo la battaglia di Trafalgar la regina Maria Carolina decise di affiancarsi decisamente alla coalizione e il 19 novembre 1805 un corpo di spedizione di 19.000 soldati, comandato dal generale inglese Craig e dal generale russo Moritz Petrovič Lacy, con truppe britanniche provenienti da Gibilterra e forze russe trasferite da Corfù, sbarcò a Napoli con l'intenzione di iniziare un'offensiva terrestre verso nord.
Ma ormai la situazione stava per avere una evoluzione decisiva a favore della Francia ed era tardi per sferrare un'offensiva partendo a Napoli; dopo la battaglia di Austerlitz e il ritiro dello zar Alessandro, i piani di attacco vennero abbandonati, anche il corpo di spedizione russo in Italia venne richiamato a Corfù, mentre i britannici a loro volta si ritirarono in Sicilia.

Invasione del Regno di Napoli e insurrezione in Calabria
La disgregazione della Terza coalizione e l'evacuazione del Regno di Napoli da parte delle forze anglo-russe, consentirono a Napoleone di prendere iniziative definitive contro i Borboni, il cui comportamento infido verso la Francia gli diede pretesto per il famoso decreto del 27 dicembre 1805 in cui l'imperatore stabiliva che "la dinastia ha finito di regnare". Il maresciallo Massena prese il comando dell'armata destinata all'invasione che si svolse con regolarità senza trovare resistenza. Il 9 febbraio 1806, il maresciallo invase il Regno di Napoli, ma già il 23 gennaio il re Ferdinando IV con la corte erano fuggiti in Sicilia, dove i britannici si erano solidamente stabiliti.
Il 14 febbraio 1806 i francesi entrarono di nuovo a Napoli e il 30 marzo il fratello maggiore di Napoleone, Giuseppe Bonaparte, fu proclamato Re di Napoli. In un primo momento sembrò che la conquista francese fosse completata e che il regno fosse pacificato, anche se la fortezza di Gaeta resistette fino al 18 giugno, mentre il 12 maggio i britannici avevano occupato le isole di Capri e Ponza. In realtà in Calabria sorsero le prime bande di guerriglieri antifrancesi e dalla Sicilia la regina Maria Carolina sollecitò e favorì una vera insurrezione legittimista che, guidata da nobili, capi popolari e veri e propri briganti, si diffuse in tutta le Calabria e provocò gravi problemi alle truppe francesi occupanti.
Nonostante le loro perplessità nei confronti di questa insurrezione popolare guidata da personaggi equivoci e costellata di brutali violenze contro militari e civili, i britannici decisero di favorirla sbarcando con 5.200 uomini al comando del generale John Stuart nel golfo di Sant'Eufemia il 1º luglio 1806, respingendo nella battaglia di Maida del 4 luglio l'attacco affrettato dei francesi del generale Jean Reynier e consolidando le loro posizioni a Reggio Calabria. Questa sconfitta favorì una sollevazione generale che impose misure repressive di grande violenza da parte dell'esercito francese. Le truppe del maresciallo Massena e del generale Reynier occuparono sistematicamente il territorio, devastarono i centri di resistenza, catturarono e impiccarono i capi della rivolta, massacrarono la popolazione e gli insorti; la città di Lauria venne completamente distrutta. Nonostante queste misure draconiane la resistenza non fu spezzata fino al 1808, quando anche i britannici abbandonarono finalmente Reggio e oltre 40.000 soldati francesi rimasero impegnati nella regione, Si trattò di una inquietante anticipazione della sollevazione della Spagna del 1808.

Conseguenze
Oltre ad estendere il suo dominio sull'Italia meridionale, Napoleone dopo la vittoria militare e la disgregazione della Terza coalizione, intraprese una serie di iniziative espansionistiche di grande importanza che delinearono per la prima volta la sua concezione di un "Grande Impero", storicamente collegato con i precedenti di Roma e di Carlo Magno, che avrebbe dovuto progressivamente comprendere gran parte dell'Europa sotto il predominio francese. In Germania, dopo l'espulsione dell'Impero d'Austria e l'acquiescienza prussiana, la Francia aveva ormai ottenuto una posizione di dominio assoluto; oltre ad assegnare territori alla Baviera e al Württemberg, strettamente legati alla Francia, Napoleone nel gennaio 1806 propose di organizzare una "Confederazione del Reno" che, sotto la sua "protezione", venne costituita ufficialmente il 12 luglio 1806. I principati e i regni compresi nella nuova struttura politica divenivano dipendenti dall'Impero francese e fornivano un contingente militare; inoltre la Grande Armata rimaneva sul territorio tedesco a loro spese, per sorvegliare l'Austria e la Prussia. Dopo questi rivolgimenti, il Sacro Romano Impero Germanico non aveva più ragione di esistere e l'imperatore Francesco abdicò ufficialmente il 6 agosto 1806, mantenendo solo il titolo di Imperatore d'Austria .
Altri sviluppi si verificarono nei Paesi Bassi dove il 14 marzo 1806 Napoleone rese noto ai dirigenti locali la sua volontà di trasformare la Repubblica Batava in Regno; un consiglio di dignitari organizzato appositamente, la "Grande bisogna", accettò il 3 maggio, nonostante qualche resistenza, le decisioni dell'imperatore, e il 5 giugno un altro fratello di Napoleone, Luigi Bonaparte, divenne re d'Olanda. In Italia la Francia aveva occupato anche Livorno e la Toscana e solo lo Stato Pontificio rimaneva indipendente. Ben presto Napoleone richiese esplicitamente al papa di "entrare nel suo sistema", rompere i rapporti con i britannici e chiudere i porti alle merci inglesi; il papa Pio VII respinse le richieste e le truppe francesi occuparono Ancona e Civitavecchia.
Infine Napoleone riprese la sua politica di espansione nei Balcani e in Oriente, secondo gli accordi di Presburgo, il II corpo d'armata del generale Marmont occupò la Dalmazia, dove rimase di guarnigione; quindi, mentre i russi dalle isole Ionie raggiunsero le bocche di Cattaro, i francesi entrarono nella parte austriaca dell'Istria per soccorrere il generale Gabriel Molitor che era stato attaccato a Ragusa dai montenegrini. Rappresentanti francesi comparverso a Giannina, in Moldavia e in Bosnia e il sultano dell'Impero Ottomano, Selim III, impressionato dalla battaglia di Austerlitz, si riavvicinò a Napoleone che riconobbe come imperatore, mentre il 9 agosto il generale Horace Sébastiani arrivò a Costantinopoli come ambasciatore. L'Impero Ottomano allentò i suoi rapporti con la Gran Bretagna e la Russia.
La vittoria sulla terza coalizione quindi segnò un momento decisivo della storia napoleonica, permettendo all'imperatore di estendere in modo sostanziale l'area di influenza francese, concretizzando il predominio sulla Germania e l'Italia e ponendo le premesse per successive espansioni; tuttavia simili scelte politiche non potevano che accrescere l'ostilità delle potenze sconfitte e impedivano ogni possibilità di ritorno ad una politica di equilibrio e pacificazione. In breve tempo anche la vittoria di Austerlitz si sarebbe dimostrata non definitiva e, oltre alla Russia, sempre belligerante, sarebbe entrata in guerra, costituendo la Quarta coalizione, la Prussia, delusa dalla riorganizzazione della Germania decisa da Napoleone. Infine la Gran Bretagna, dominante sui mari dopo la vittoria di Trafalgar, rimaneva inattaccabile e in grado, nonostante la morte del primo ministro Pitt il 23 gennaio 1806, di continuare la guerra e di sfruttare la conflittualità sul continente per organizzare nuove alleanze antifrancesi.



lunedì 10 maggio 2021

Gioacchino Murat




Gioacchino Murat (Labastide-Fortunière, 25 marzo 1767 – Pizzo Calabro, 13 ottobre 1815) è stato un generale francese, re di Napoli (con il nome di Gioacchino Napoleone) e maresciallo dell'Impero con Napoleone Bonaparte. Era l'ultimo degli undici figli di una coppia di locandieri, Pierre Murat Jordy e la moglie, Jeanne Loubières. Essi gestivano beni del comune e benefici ecclesiastici della priorìa di La Bastide-Fortunière (dal 1763) e del priorato di Anglars (dal 1770). Divenne cognato di Napoleone Bonaparte sposando Carolina Bonaparte, sorella minore dell'imperatore.


Biografia
Da figlio di locandieri a generale
Joachim Murat è un grande esempio della mobilità sociale che caratterizzò il periodo napoleonico (e anche delle conclusioni tragiche di molte folgoranti carriere). Subito destinato alla carriera ecclesiastica, lo si trova fra i seminaristi di Cahors, poi presso i lazzaristi di Tolosa. Si preparava al noviziato sacerdotale, ma era amante della bella vita, contraeva debiti e temendo le ire paterne si arruolò, il 23 febbraio 1787, nei "cacciatori delle Ardenne", poi nel 12º reggimento dei cacciatori a cavallo, unità di cavalleria che reclutava uomini audaci. Istruito, si distinse presto, ma nel 1789 venne espulso per insubordinazione e tornò nella casa della sua famiglia.
Fece per un po' di tempo il mestiere paterno poi, arruolatosi nuovamente, fece parte della guardia costituzionale di Luigi XVI. Alla caduta della monarchia entrò nell'esercito rivoluzionario e divenne rapidamente ufficiale.
Nel 1795 era a Parigi a sostenere Napoleone contro l'insurrezione lealista e lo seguì poi nella campagna d'Italia. Nel 1796 prese parte alla Battaglia di Bassano dove fu al comando di un corpo di cavalleria le cui cariche furono di importanza decisiva per la riuscita dello scontro. Nel 1797, durante un soggiorno al castello di Mombello, incontrò Carolina Bonaparte, la sorella minore di Napoleone, la quale s'invaghì di lui.
Nel maggio 1798 salpò da Genova a bordo dell'Artémise e prese parte alla campagna d'Egitto, dove fu nominato generale, e fu determinante nella vittoria di Abukir contro i turchi. Partecipò attivamente al colpo di Stato del 18 brumaio 1799 e divenne comandante della guardia del Primo console. L'anno seguente, il 20 gennaio, sposò Carolina Bonaparte, dalla quale ebbe quattro figli, due maschi e due femmine.
Eletto, nel 1800, deputato del suo dipartimento, il Lot, poi nominato comandante della prima divisione militare e governatore di Parigi, al comando di sessantamila uomini.

Murat maresciallo
Nel 1804 fu nominato maresciallo dell'Impero e due anni dopo "Granduca di Clèves e di Berg", titolo che lasciò al nipote Napoleone Luigi Bonaparte (figlio del cognato Luigi Bonaparte), dopo essere diventato re di Napoli nel 1808. Grande soldato e grande comandante di cavalleria, fu con Napoleone in tutte le campagne, pur non rinunciando alle proprie opinioni, come quando si oppose all'esecuzione del duca di Enghien. Era in effetti un combattente nato, un uomo sprezzante del pericolo, pronto ad attaccare anche quando la situazione era rischiosa e pericolosa: il coraggio non gli fece mai difetto. Sulla lama della sua sciabola aveva fatto incidere: «L'onore e le donne»
Più volte le cariche travolgenti della sua cavalleria avevano risolto a favore dei francesi una situazione critica, come successe nella battaglia di Eylau, e determinante fu per il successo del colpo di Stato bonapartiano il suo contributo il 18 brumaio quando, insieme al Leclerc, comandava le truppe che stazionavano a Saint-Cloud di fronte alla sala ov'era riunito il consiglio dei Cinquecento. Tuttavia non eccelleva nell'arte militare e quando il coraggio e lo sprezzo del pericolo dovevano lasciare il posto al freddo calcolo, alla capacità di valutazione immediata della situazione sul campo di battaglia e alle relative decisioni strategiche, non dimostrava grandi doti: si può dire che in battaglia avesse molto più fegato (e cuore) che testa.
Esprime bene questo aspetto quanto lamentato dal generale Savary a proposito del comportamento avventato di Murat nella battaglia di Heilsberg (10 giugno 1807): «… sarebbe stato meglio che egli [Murat] fosse dotato di meno coraggio e di un po' più di buon senso!»[4] Altrettanto significativi delle qualità e difetti del maresciallo sono due episodi avvenuti fra la battaglia di Ulma e quella di Austerlitz.
Il 12 novembre 1805 Murat giunse in vista di Vienna, dichiarata dagli austriaci "città aperta", e stava per attraversare il Danubio nei sobborghi della città utilizzando l'ultimo ponte rimasto agibile, che un contingente di genieri austriaci era quasi pronto a far saltare. Non potendo prendere il ponte d'assalto, nel timore che gli artificieri nemici facessero brillare le mine, Murat e Lannes, accompagnati dal loro intero stato maggiore, si presentarono sulla riva meridionale del Danubio in grande uniforme da parata e cominciarono ad attraversare a piedi il ponte urlando "Armistizio, armistizio" e sfoggiando grandi sorrisi. Gli ufficiali austriaci che dirigevano le operazioni dei genieri erano interdetti e non osarono far aprire il fuoco sul gruppo di alti ufficiali francesi, apparentemente non più, al momento, belligeranti. Questi attraversarono il ponte e non appena giunti sulla riva settentrionale abbandonarono i sorrisi e, sfoderate le sciabole, si avventarono sugli artificieri più vicini neutralizzandoli. In quel momento una colonna di granatieri francesi del generale Oudinot, che era rimasta celata nel bosco della riva meridionale, attraversò a passo di carica il ponte e sopraffece facilmente il reparto di genieri austriaci: il ponte era così salvo e le truppe di Murat e Lannes poterono attraversarlo senza pericoli. L'episodio divertì molto Napoleone che "dimenticò" così un precedente, recente svarione del cognato.
Poco dopo però, un paio di settimane prima della battaglia di Austerlitz, presso Hollabrunn, mentre l'armata francese stava tentando di accerchiare quella russa di Kutuzov, Murat fu convinto dal generale russo Wintzingerode, venuto a parlamentare, a sottoscrivere, senza averne i poteri, una tregua d'armi che ebbe l'unico risultato di consentire al generale russo Bagration di sganciarsi dalla morsa in cui era stato costretto per coprire la ritirata del collega Kutuzov.
Ecco che cosa gli scrisse l'infuriato Napoleone quando seppe della tregua che l'incauto cognato aveva sottoscritto con l'astuto Wintzingerode: «Il tuo operato è veramente inqualificabile, e non ho parole per esprimere appieno i miei sentimenti! Tu sei solo un comandante della mia avanguardia e non hai diritto di concludere un armistizio senza un mio preciso ordine in tal senso. Hai buttato all'aria tutti i vantaggi di un'intera campagna. Rompi immediatamente la tregua! Attacca il nemico! Marcia! Distruggi l'esercito russo! Gli austriaci si sono lasciati trarre in inganno al ponte di Vienna ma tu ora ti sei lasciato gabbare da un aiutante di campo dello zar!». Inutile dire che Murat non se lo fece ripetere, ma ormai il grosso delle truppe di Bagration si era tratto in salvo.
Nel 1808 Murat fu inviato in Spagna, dove represse con ferocia la rivolta del popolo di Madrid contro l'occupazione francese.

Re di Napoli
Nel 1808 Napoleone lo nominò re di Napoli, per la nomina del re Giuseppe Bonaparte a re di Spagna. A Napoli il nuovo re, ormai noto come "Gioacchino Napoleone", fu ben accolto dalla popolazione, che ne apprezzava la bella presenza, il carattere sanguigno, il coraggio fisico, il gusto dello spettacolo e alcuni tentativi di porre riparo alla sua miseria, ma venne invece detestato dal clero.
Dopo una fulminea spedizione militare che gli consentì di cacciare gli inglesi dall'isola di Capri, durante il suo breve regno, Murat fondò, con decreto del 18 novembre 1808, il Corpo degli ingegneri di Ponti e Strade (all'origine della facoltà di Ingegneria a Napoli, la prima in Italia) e la cattedra di agraria nella medesima università con decreto del 10 dicembre 1809, ma condannò alla chiusura, con decreto del 29 novembre 1811, l'antica Scuola medica salernitana. Inoltre avviò opere pubbliche di rilievo non solo a Napoli (il ponte della Sanità, via Posillipo, nuovi scavi a Ercolano, il Campo di Marte, ecc.), ma anche nel resto del Regno (l'illuminazione pubblica a Reggio di Calabria, il progetto del Borgo Nuovo di Bari, il riattamento del porto di Brindisi, l'istituzione dell'ospedale San Carlo di Potenza, guarnigioni dislocate nel Distretto di Lagonegro con monumenti e illuminazioni pubbliche, più l'ammodernamento della viabilità nelle montagne d'Abruzzo). Il beneplacito della popolazione per il suo operato fu ricambiato dallo stesso sovrano, che intitolò a sé l'intera città di Torre Annunziata, mutandone il nome in Gioacchinopoli.
Il 1º gennaio 1809, Murat introdusse nel regno il Codice Napoleonico, che, tra le varie riforme, legalizzò, per la prima volta nella penisola, il divorzio, il matrimonio civile e l'adozione, cosa che non venne gradita dal clero, il quale perse la facoltà di gestire le politiche familiari. La nobiltà apprezzò le cariche e la riorganizzazione dell'esercito sul modello francese, che offriva belle possibilità di carriera. I letterati apprezzarono la riapertura dell'Accademia Pontaniana per opera di intellettuali che si riunirono nella residenza di Giustino Fortunato, e l'istituzione della nuova Accademia reale, e i tecnici l'attenzione data agli studi scientifici e industriali.
Tuttavia i più scontenti erano i commercianti, ai quali il blocco imposto ai commerci di Napoli dagli inglesi rovinava gli affari (blocco contro il quale lo stesso Murat tollerava e favoriva il contrabbando, il che costituiva un'ulteriore ragione per accordargli il favore popolare). Molto efficace, anche se attuata con metodi di sconvolgente crudeltà, fu la repressione del brigantaggio affidata dapprima al generale Andrea Massena e poi al generale Charles Antoine Manhès.
L'11 giugno 1809 fondò il Supremo Consiglio di Napoli (detto delle Due Sicilie) del Rito scozzese antico e accettato, di cui è il primo Sovrano gran commendatore fino al 1815.
Nel 1810 per tre mesi Murat governò il regno dalle alture di Piale (attualmente frazione di Villa San Giovanni, in provincia di Reggio Calabria). Egli, muovendosi da Napoli per la conquista della Sicilia (dove si era rifugiato il re Ferdinando I sotto la protezione degli inglesi, un esercito dei quali era accampato presso Punta Faro a Messina), giunse a Scilla il 3 giugno 1810 e vi restò sino al 5 luglio, quando fu completato il grande accampamento calabrese di Piale.
Nel breve periodo di permanenza, Murat fece costruire i tre forti di Torre Cavallo, Altafiumara e Piale, quest'ultimo con torre telegrafica (telegrafo di Chappe). Il 26 settembre dello stesso anno, constatando impresa difficile la conquista della Sicilia anche per il sostegno poco convinto di Napoleone, Murat dismise l'accampamento di Piale e ripartì per la capitale.
Non va infine sottovalutato il ruolo avuto nel governo del periodo murattiano dalla moglie Carolina, donna intelligente ancorché molto ambiziosa.

Ultime battaglie con Napoleone
Il suo ruolo di re non gli impedì di partecipare, nella Grande Armée, alla campagna di Russia del 1812, al comando della Cavalleria napoleonica e di un contingente di soldati del regno di Napoli: il suo comportamento in battaglia fu, come in passato, eccellente. La sua carica nella battaglia della Moscova decise le sorti della medesima a favore dell'armata napoleonica. Fu grazie alla sua impetuosità che Murat, incaricato di guidare l'avanguardia dell'esercito napoleonico, con la sua colonna serrata di cavalleria invase Mosca e giunse al Cremlino.
Così fu anche durante la ritirata e il 5 dicembre 1812 Napoleone, partendo per rientrare a Parigi, gli affidò il comando di ciò che rimaneva della Grande Armée. Tuttavia Murat, giunto a Poznań, lasciò a sua volta il comando dell'armata francese a Eugenio di Beauharnais il 16 gennaio 1813 e rientrò in tutta fretta a Napoli. Risalgono a questo periodo i primi negoziati con gli austriaci, influenzati dai consigli della regina Carolina. Tornò comunque a fianco di Napoleone in tempo per combattere a Dresda e a Lipsia, dopo di che lasciò l'armata.

Il tradimento
Giunto a Milano l'8 novembre, Murat fece sapere all'ambasciatore austriaco di essere disposto a lasciare il campo napoleonico e due mesi dopo (gennaio 1814) veniva firmato un trattato di alleanza fra Austria e Regno di Napoli. La notizia, inviatagli da Eugenio di Beauharnais, giunse a Napoleone mentre era impegnato nella difesa del suolo francese, la sera del 6 febbraio e così reagì:

«…non può essere! Murat, al quale io ho dato mia sorella! Murat, al quale io ho dato un trono! Eugenio deve essersi sbagliato. È impossibile che Murat si sia dichiarato contro di me.»
(Napoleone Bonaparte.)

Murat, di fronte alla scelta di perdere quel Regno che aveva faticosamente costruito e rimesso finanziariamente in piedi dopo il breve regno di Giuseppe Bonaparte, da poco avveduto diplomatico qual era scelse il tradimento. Del resto i suoi rapporti con lo stesso Napoleone erano ormai da tempo deteriorati tanto che l'illustre cognato, dimenticando spesso i legami di parentela che li legavano, lo considerò sempre e comunque un "vassallo". Nel trattato l'Austria garantiva al Murat i suoi Stati (inclusa la Sicilia), ponendo così un'ipoteca sulle decisioni del congresso di Vienna, che in un primo tempo non volle privarlo del Regno di Napoli, appoggiata in questo anche dall'Inghilterra e dalla Russia, che avevano riconosciuto ufficialmente il trattato di gennaio.

Nuovo cambio di fronte e caduta
Ma il 1º marzo 1815 Napoleone sbarcava vicino Cannes, dopo essere fuggito dall'isola d'Elba, e il 5 marzo Murat scrisse alle corti di Vienna e di Londra, che qualunque fossero state le sorti di Napoleone dopo il rientro in Francia dall'Elba, egli sarebbe rimasto fedele all'alleanza con i due stati, così come gli chiese lo stesso cognato scrivendogli che «il passato fra loro due non esisteva più» e perdonandolo della sua condotta dell'anno precedente, altresì gli raccomandava soprattutto di mantenersi in accordo con gli austriaci e di limitarsi a contenerli se avessero marciato contro la Francia. Ma già il 19 dello stesso mese, temendo le intenzioni di restaurazione borbonica sui territori del suo regno, egli invadeva lo Stato Pontificio con un esercito di 35.000 uomini. Murat proseguì ancora avanzando verso nord, entrò con il suo esercito nelle Legazioni, presidiate dall'esercito austriaco che, dopo alcuni tentativi di resistenza, si ritirò, lasciando a Murat anche la città di Bologna, dove entrava il 2 aprile e l'8 aprile faceva presentare ai suoi plenipotenziari a Vienna una nota nella quale, pur protestando contro l'atteggiamento austriaco, ribadiva la sua volontà di rispettare gli accordi del gennaio 1814. La risposta della diplomazia austriaca fu rapida: il 10 dello stesso mese il Ministro austriaco Metternich presentava ai plenipotenziari di Murat la dichiarazione di guerra e il 28 aprile l'Austria firmava un trattato di alleanza con Ferdinando I delle Due Sicilie e la sovranità di quest'ultimo sul Regno di Napoli e di Sicilia venne successivamente ratificata dal Congresso di Vienna.
Murat venne sconfitto dagli austriaci, prima a Occhiobello, poi, dopo una ritirata attraverso Faenza e Forlì, occupate da Adam Albert von Neipperg, a Tolentino (2 maggio 1815); il successivo trattato di Casalanza (20 maggio 1815), firmato presso Capua per conto dello stesso Murat da parte di Pietro Colletta e Michele Carrascosa, sancì definitivamente la sua caduta e il ritorno del Borbone sul trono.
Intanto Murat, dopo la disfatta di Tolentino e dopo aver emesso il 12 maggio il famoso proclama, falsamente datato 30 marzo 1815 e dedicato agli italiani, che chiamò alla rivolta contro i nuovi padroni, presentandosi come alfiere della loro indipendenza, commise uno dei suoi ultimi errori. Aveva l'intenzione di portarsi a Gaeta per difendere il suo regno ormai perso, ma i suoi cortigiani gli imposero la partenza per la Francia per andare a combattere con Napoleone. Fu convenuto che la regina sarebbe rimasta a Napoli per trattare con gli inglesi e il 19 maggio alle 8 di sera lasciò la sua corte e la sua famiglia: non li avrebbe mai più rivisti. Nella mattinata del 20 maggio s'imbarcò per Ischia e riuscì a sbarcare a Cannes il 25 maggio. Qui errò a lungo per la Provenza, nella speranza che l'illustre cognato, ripreso il potere dopo la fuga dall'isola d'Elba, lo richiamasse nell'armata. Ma il Bonaparte non solo non lo richiamò, ma gli impose, tramite un inviato del ministro degli esteri Caulaincourt, di tenersi lontano da Parigi e di soggiornare tra Grenoble e Sisteron. Il non volere Murat al suo fianco fu un errore rimpianto dallo stesso Napoleone nelle sue memorie: in Belgio «pure ci avrebbe forse potuto arrecare la vittoria: che abbisognava in certi istanti della giornata di Waterloo? Di rompere tre, o quattro quadrati d'inglesi: ora Murat era mirabile per simile bisogno; era precisamente l'uomo della cosa; giammai, alla testa della cavalleria, ne fu veduto uno più determinato, più bravo, più coraggioso di lui.»

Arresto e fucilazione
Venuto a conoscenza della disfatta napoleonica a Waterloo, dove l'imperatore con 120.000 uomini non riuscì a difendere il suo impero, e avendo Murat una taglia sulla testa di quarantottomila franchi, messa a disposizione dal marchese di Rivière, un uomo che Murat stesso aveva salvato dal patibolo, il re di Napoli si rifugiò rocambolescamente in Corsica, ove giunse il 25 agosto 1815 e dove fu presto circondato da centinaia di suoi partigiani. Aspettando fin troppo a lungo i passaporti provenienti dall'Austria per poter raggiungere la moglie Carolina a Trieste e avendo false notizie sul malcontento dei napoletani, fu convinto a organizzare una spedizione per riprendersi il regno di Napoli. La spedizione, messa in piedi frettolosamente e forte di circa 250 uomini, partì da Ajaccio il 28 settembre 1815. Murat voleva dapprima sbarcare nei dintorni di Salerno ma, dirottato da una tempesta in Calabria e tradito dal capo battaglione Courrand, sbarcò l'8 ottobre nel porticciolo di Pizzo.
Intercettato dalla Gendarmeria borbonica al comando del capitano Trentacapilli, fu da questi arrestato e fatto rinchiudere nelle carceri del locale castello. Informato della cattura dell'ex sovrano, il Generale Vito Nunziante (quale Governatore militare delle Calabrie) si precipitò incredulo da Monteleone, dove si trovava, a sincerarsi dell'identità del prigioniero. Ferdinando IV, da Napoli, nominò una Commissione Militare competente a giudicare Gioacchino, composta da sette giudici e presieduta dal fedelissimo Vito Nunziante, al quale il re aveva ordinato di applicare la sentenza di morte in base al Codice Penale promulgato dallo stesso Gioacchino Murat, che prevedeva la massima pena per chi si fosse reso autore di atti rivoluzionari, e di concedere al condannato soltanto una mezz'ora di tempo per ricevere i conforti religiosi.
Nell'ascoltare la condanna capitale Murat non si scompose. Chiese di poter scrivere in francese l'ultima lettera alla moglie e ai figli (i quali, postisi sotto protezione della bandiera del Regno Unito, furono poi trasferiti dagli austriaci a Trieste), che consegnò a Nunziante in una busta con dentro alcune ciocche dei suoi capelli.
Volle confessarsi e comunicarsi, prima di affrontare il plotone d'esecuzione che l'attendeva, e venne fucilato a Pizzo Calabro il 13 ottobre 1815. Di fronte al plotone d'esecuzione si comportò con grande fermezza, rifiutando di farsi bendare. Pare che le sue ultime parole siano state:

(FR)
«Sauvez ma face — visez mon cœur — feu!»»
(IT)
«Risparmiate il mio volto, mirate al cuore, fuoco!»
(Gioacchino Murat)


Murat è oggi giorno ricordato con una lapide presente nel Cimitero del Père Lachaise, a Parigi, anche se si afferma che non sia effettivamente sepolto lì, ma che il suo corpo sia andato perso o distrutto dopo la sua esecuzione. Altri dicono che venne inumato in una chiesa di Pizzo Calabro, rendendo la rimozione del suo corpo possibile in seguito. In verità il suo corpo venne sepolto nella Chiesa di San Giorgio, in una fossa comune. Una lapide sul pavimento al centro della navata ne ricorda la sepoltura in questo tempio.
Charles Gallois, quasi come un cronista dell'epoca, narra: «I soldati sono commossi, due colpi partono senza sfiorarlo. "Nessuna grazia! Ricominciamo! Fuoco!" Questa volta dieci colpi detonarono insieme; 6 palle lo hanno colpito. Si mantenne ritto un istante. Poi piomba al suolo fulminato.»
Dopo essersi sbarazzato di un così pericoloso rivale, Ferdinando di Borbone insignì Pizzo del titolo di "fedelissima" e concesse al generale Nunziante il feudo e il titolo di Marchese di San Ferdinando di Rosarno.
In seguito, circolarono voci che ritenevano Murat vittima di un complotto architettato da Giustino Fortunato e Pietro Colletta, i quali lo avrebbero attirato in Calabria facendogli credere di essere ricevuto e acclamato dal regno; complotto che infine si rivelò inesistente. Otto giorni dopo la fucilazione il generale Nunziante fu nominato marchese mentre il tenente che eseguì la fucilazione diventò comandante. Sull'epilogo della vita di Murat suo cognato Napoleone espresse, nelle proprie memorie, un giudizio lapidario:

«Murat ha tentato di riconquistare con duecento uomini quel territorio che non era riuscito a tenere quando ne aveva a disposizione ottantamila.»
(Napoleone Bonaparte)

Discendenti
Da Carolina Bonaparte Gioacchino Murat ebbe quattro figli:
  • Napoleone Achille, (Parigi, 1801 – Wacissa, 1847), emigrò nel 1821 negli USA ove sposò Catherine Willis, una nipote di George Washington.
  • Letizia (Parigi, 1802 – Bologna, 1859), sposata al marchese di antica nobiltà bolognese Guido Taddeo Pepoli (1823), dal quale ebbe Gioacchino Napoleone Pepoli.
  • Napoleone Luciano Carlo, (Milano, 1803 – Parigi, 1878), principe di Pontecorvo, raggiunse il fratello Achille negli USA (1825) ove si sposò. Tornò in Francia nel 1848 e fu nominato ambasciatore di Francia a Torino (1849 – 1850). Il cugino Napoleone III lo nominò senatore e gli conferì il titolo nobiliare di principe.
  • Luisa Giulia (1805 - 1889). Sposò il conte ravennate Giulio Rasponi, dalla cui unione nacquero: Gioacchino Rasponi Murat, Achille Rasponi Murat e Letizia Rasponi Murat, madre di Gabriella Rasponi Spalletti.






























domenica 9 maggio 2021

Jacques-Louis David

 


Jacques-Louis David (Parigi, 30 agosto 1748 – Bruxelles, 29 dicembre 1825) è stato un pittore e politico francese.

Dopo una formazione ricevuta in un ambito culturale tradizionale, ancora seguendo il gusto rococò, Jacques-Louis David ottenne l'ambitissimo Prix de Rome che, nel 1775, gli permise di raggiungere l'Italia.

Il quinquennale soggiorno romano fu per lui un periodo tormentato e difficile, poco soddisfacente dal punto di vista creativo eppure ricco di esperienze fondamentali, come lo studio diretto dell'arte classica, la scoperta dell'arte rinascimentale (Leonardo, Michelangelo e Raffaello) e barocca (Caravaggio) e, verosimilmente, la conoscenza degli scritti di Winckelmann, Mengs e altri teorici del Neoclassicismo, di cui David divenne il capofila in Francia.

Jacques-Louis David nasce a Parigi il 30 agosto 1748, in una casa del "quai de la Mégisserie", da una famiglia piccolo-borghese: il padre, Louis-Maurice David, è un commerciante di ferro che, per elevarsi socialmente, aveva acquistato - come allora era possibile - una carica di «commis aux aydes», divenendo così fornitore dello Stato e appaltatore a Beaumont-en-Auge, nel Calvados. La madre, Marie-Geneviève Buron, lontana parente del famoso pittore François Boucher appartiene a una famiglia di muratori, nella quale il fratello François Buron è architetto delle acque e foreste e, dei suoi due cognati, uno è architetto e l'altro carpentiere. Jacques-Louis viene battezzato nella chiesa di Saint-Germain l'Auxerrois il giorno stesso della nascita e suoi padrini sono Jacques Prévost e Jeanne-Marguerite Lemesle.

Quando il padre muore, a soli trentacinque anni (1757) - sembra per le conseguenze di una ferita riportata in un duello alla spada - Jacques-Louis ha nove anni e viene messo a pensione nel convento del Picpus. Dopo che la madre si è ritirata in campagna a Évreux, della sua istruzione si occupa lo zio materno François Buron, il quale prima lo fa seguire da un precettore privato, quindi lo iscrive nella classe di retorica del Collège des Quatre-Nations. Notata però la sua disposizione per il disegno, lo zio decide di fargli intraprendere la carriera di architetto, ma nel 1764, dopo aver frequentato il corso di disegno dell'Académie Saint-Luc, David manifesta la sua intenzione di dedicarsi alla pittura. La famiglia allora lo raccomanda a François Boucher, primo pittore del re. Questi però, ormai anziano e malato, consiglia di affidarlo al pittore Joseph-Marie Vien.

Joseph-Marie Vien non ha il prestigio e il talento dell'anziano maestro François Boucher, ma è un pittore di successo: l'anno precedente ha presentato al Salon parigino la Venditrice di amorini, che è diventato il manifesto della nuova pittura che ora si chiama di goût antique o anche à la grecque e un giorno sarà chiamata neoclassica. Quello del Vien è un neoclassicismo ancora timido, legato alla tradizione barocca, una pittura di transizione, dunque, ma è la pittura più moderna. Quella di Boucher - pittore glorioso ma esponente della corrente rococò ormai avviata al tramonto - si rivela pertanto una scelta di generosa intelligenza e sarà gravida di conseguenze per David e per tutta la pittura francese.

Dal 1766, oltre a fargli frequentare il proprio atelier, il Vien lo fa studiare nell'Académie royale dove, sotto la direzione di Jean Bardin, David apprende composizione, anatomia e prospettiva, e ha per compagni di studi, fra gli altri, Jean-Baptiste Regnault, Jean-Antoine-Théodore Giroust, François-André Vincent e François-Guillaume Ménageot. Michel-Jean Sedaine, amico di famiglia, segretario dell'Académie d'architecture e autore teatrale, diviene il suo protettore e si preoccupa di dargli una più compiuta formazione intellettuale, mettendolo in contatto con personalità della cultura dell'epoca. È forse in questo periodo che una ferita alla guancia, procuratasi in un duello alla spada contro un compagno di bottega gli lascia una cicatrice che egli si preoccuperà di nascondere nei suoi autoritratti.

Il terzo premio ottenuto nel 1769 al «Prix de quartier» gli permette di partecipare al Prix de Rome: vincere questo premio gli consentirebbe di ottenere una borsa di studio triennale per conoscere e studiare a Roma la pittura italiana e le memorie dell'antichità. Egli però, nel concorso del 1771 vinto da Joseph-Benoît Suvée, ottiene solo il secondo posto con il Combattimento di Marte e Minerva, un'opera rococò con una impostazione compositiva che la giuria giudica strutturalmente debole.

L'anno dopo David fallisce ancora il primo premio con Diana e Apollo saettano i figli di Niobe e, ritenendo di essere stato vittima di un'ingiustizia, per un momento arriva al punto di pensare al suicidio. Anche il tentativo fatto nel 1773 con La morte di Seneca si rivela un insuccesso: vince Pierre Peyron, il quale, benché rétro nello stile, viene premiato per la novità della composizione, mentre il dipinto di David è giudicato troppo teatrale; egli riceve tuttavia un premio di consolazione per un suo pastello, Il dolore.

Tutti questi insuccessi pongono David in urto con l'istituzione accademica e si è poi sostenuto che egli in questi anni abbia maturato quel rancore che nel 1793 lo porterà a far adottare dalla Convenzione il decreto di soppressione delle Accademie. In verità, le sue critiche si rivolgeranno soprattutto alla cattiva organizzazione dell'insegnamento accademico, che prevedeva la rotazione mensile dei professori, con evidenti danni per il profitto degli studenti.

Alla fine del 1773, Marie-Madeleine Guimard, prima ballerina dell'Opéra, lo incarica della decorazione del suo palazzo privato, trasformato in teatro, che Fragonard aveva lasciata incompiuta.

Finalmente, nel 1774, David vince il Prix de Rome: l'opera presentata, Antioco e Stratonice, per quanto non manchi di teatralità, ha una composizione semplificata e più rigorosa, e pertanto conforme ai nuovi canoni dell'espressione drammatica.

Il 2 ottobre 1775 David parte per Roma con il suo maestro Vien, che è stato appena nominato direttore dell'Accademia di Francia - che allora aveva sede in Palazzo Mancini - e con gli altri due giovani premiati, gli scultori Pierre Labussière e Jean Bonvoisin. Durante il viaggio, che dura un mese e fa tappa a Lione, a Torino, a Parma e a Bologna, può ammirare le opere del Correggio, di Guido Reni e dei Carracci.

Durante il primo anno di permanenza a Roma, David segue il consiglio del suo maestro di dedicarsi essenzialmente alla pratica del disegno e di studiare attentamente le opere dell'antichità, facendo centinaia di schizzi di monumenti, di statue e di bassorilievi: il complesso di questi studi finisce per costituire cinque voluminose raccolte in-folio.

Ma i suoi progressi sono lenti e difficili: la novità dell'ambiente romano - con la viva presenza delle antichità classiche che si contrappongono a quel gusto dell'antico che prima David aveva coltivato soltanto attraverso suggestioni puramente letterarie - ha inizialmente un effetto straniante, quasi paralizzante, sul giovane pittore, tanto da portarlo a dubitare di poter mai migliorare le sue capacità. Tuttavia il tratto del suo disegno si trasforma, si fa più incisivo, scabro e si depura della vaporosità del rococò. Le copie delle tele del Cinquecento e del Seicento romano gli sono utili soprattutto per impadronirsi del metodo compositivo dei grandi maestri del passato.

Nel 1776 realizza un disegno di grandi dimensioni, I duelli di Diomede, una delle sue prime prove del genere storico, che si concreterà due anni dopo nella tela I funerali di Patroclo, ampio studio ad olio destinato alla commissione dell'Académie des Beaux-Arts di Parigi, incaricata di valutare i progressi dei pensionnaires del Prix de Rome. Il giudizio dei commissari è sostanzialmente positivo: la tela « annuncia un genio fecondo. Pensiamo che egli avrebbe bisogno di moderarlo e di controllarlo in modo da conferirgli più energia ».

Se questa prova incoraggia il talento di David, essa ne sottolinea però anche le carenze: la resa dello spazio, l'oscurità della scena e l'incertezza del trattamento prospettico. Egli si impegna anche in molte opere i cui caratteri stilistici sono palesemente derivati da quelle del Caravaggio: due studi virili, Ettore (1778) e Patroclo (1780), ispirati dalla statua del Galata morente, un San Gerolamo, una copia della Ultima cena del Valentin e una Testa di filosofo destinata alle collezioni reali di Versailles.

Nel luglio del 1779, David comincia a manifestare i primi segni di una crisi depressiva che si prolungherà per alcuni mesi: per svagarsi, viaggia a Napoli in compagnia dello scultore François Marie Suzanne. Insieme visitano le rovine di Ercolano e di Pompei.

In questa occasione David dichiara apertamente la sua conversione al nuovo stile ispirato all'antico: dirà che questa decisione era come « aver fatto un'operazione di cataratta: compresi che non potevo migliorare la mia maniera, il cui principio era falso, e che dovevo separarmi da tutto ciò che in precedenza avevo creduto essere il bello e il vero ». È però anche possibile che l'influenza dell'antiquario Quatremère de Quincy - seguace di Winckelmann e di Lessing - sia stata importante per la risoluzione di David, anche se nessuna fonte dell'epoca attesta che vi sia mai stata una conoscenza fra i due uomini.

È difficile stabilire la causa della sua depressione, che David superò comunque prima della fine dell'anno: secondo la corrispondenza del pittore, potrebbe essere stata legata sia ad una relazione con la cameriera di madame Vien, sia ai suoi dubbi sulla nuova strada artistica da percorrere.

Per aiutarlo a superare la crisi, Vien aveva cercato di stimolarlo nel lavoro, ottenendogli la commissione di un quadro a soggetto religioso, che commemorasse le vittime dell'epidemia di peste propagatasi a Marsiglia nel 1720: il San Rocco intercede presso la Vergine per gli appestati, destinato al lazzaretto di Marsiglia. L'opera ha tracce di caravaggismo, ma si ispira più direttamente all'Apparizione della Vergine a san Giacomo di Poussin. Terminato nel 1780 e presentato a palazzo Mancini, il quadro produce una forte impressione; Diderot, che lo vide l'anno dopo, quando fu esposto a Parigi, fu in particolare colpito dall'espressione dell'appestato ai piedi di san Rocco, una figura che tornerà dieci anni dopo in una tela di David, a rappresentare l'espressione del console Bruto durante i funerali del figlio.

A David, giudicato pittore molto promettente, fu concesso dall'Accademia di prolungare il soggiorno a Roma per un altro anno, allo scadere del quale Pompeo Batoni, influente pittore italiano e precursore del Neoclassicismo, tentò invano di convincere David a rimanere a Roma. Il 17 luglio 1780, con il San Rocco e due tele ancora incompiute (Belisario chiede l'elemosina e il Ritratto del conte Stanislas Potocki - gentiluomo polacco appassionato d'arte e traduttore di Winckelmann), David riparte per Parigi dove giunge alla fine dell'anno.

Termina il Belisario, con l'intenzione di presentarlo per l'approvazione all'Accademia di pittura al fine di ottenere il permesso di esporre al Salon, secondo la norma istituita dal conte d’Angiviller.
Ispirata a un popolare romanzo di Marmontel, l'opera testimonia il nuovo orientamento davidiano, indirizzato al neoclassicismo. Il dipinto viene accolto con favore dall'Accademia e, presentato al Salon, riceve anche gli elogi di Diderot: « Tutti i giorni lo vedo e credo sempre di vederlo per la prima volta ». Il generale bizantino è rappresentato ormai vecchio e cieco, in compagnia di un bambino, mentre protende l'antico elmo per ricevere l'elemosina da una passante: il soggetto aneddotico, reso da David con «il gusto del dramma a tinte forti» di moda in quegli anni, è il pretesto per un insegnamento morale sulla caducità della gloria umana e sulla desolazione della vecchiaia. Il dipinto è costruito con semplicità e chiarezza e, all'astrazione classicista di Poussin, unisce un realismo espressivo che dà saldezza e incisività alle forme.

Nel 1782 David sposa Marguerite Charlotte Pécoul, più giovane di lui di 17 anni; il suocero, Charles-Pierre Pécoul, è un appaltatore dello Stato e dota la figlia della somma di 50.000 lire, fornendo così a David i mezzi per allestirsi un atelier al Louvre, dove egli dispone anche di un alloggio. La coppia avrà quattro figli: il primo, Charles-Louis Jules, nasce l'anno seguente.

Nel nuovo atelier David accoglie i primi allievi, Fabre, Wicar, Girodet, Drouais, Debret.

Allo scopo di essere accettato come membro dell'Accademia, nel 1783 presenta Il compianto di Andromaca sul corpo di Ettore: il dipinto è accolto con favore il 23 agosto 1783 e il 6 settembre successivo David presta giuramento nelle mani di Jean-Baptiste Marie Pierre, rettore dell'Académie.

Per corrispondere ai desideri dei Bâtiments du Roi, sin dal 1781 David pensava di realizzare una grande pittura storica, ispirata al duello degli Orazi e dei Curiazi e quindi anche ad Horace, la tragedia di Corneille, molto popolare in Francia. Solo tre anni dopo egli porta a conclusione il progetto, scegliendo però un episodio assente nella pièce corneilliana: Il giuramento degli Orazi, ripreso forse dalla Histoire romaine di Charles Rollin, o ispirato dalla tela Il giuramento di Bruto del pittore britannico Gavin Hamilton. Grazie all'aiuto finanziario del suocero, David parte per Roma nell'ottobre del 1784, accompagnato dalla moglie e dal recente vincitore del Prix de Rome, suo allievo e assistente Jean-Germain Drouais. Alloggiato a Palazzo Costanzi, continua a dipingere la tela, già iniziata a Parigi.

Il quadro non doveva superare i tre metri per tre, secondo la commissione reale, ma David finisce per ingrandirlo - le sue dimensioni sono di 3,30 x 4,25 metri - e questa sua noncuranza delle istruzioni ufficiali gli varrà la nomea di artista indipendente, se non ribelle. Oltre tutto egli prende l'iniziativa di esporre l'opera già nel suo studio romano, prima della presentazione ufficiale al Salon, dove essa produce una profonda impressione negli ambienti artistici.

Anche se fu definito dal direttore dell'Accademia « un attacco al buon gusto », il Giuramento fu acclamato dai più come « il più bel quadro del secolo ». Esso rappresenta il momento in cui i tre fratelli Orazi giurano di sacrificare la propria vita per la patria. La scena si svolge davanti a un semplice portico con archi a tutto sesto, ognuno dei quali racchiude uno dei gruppi di personaggi, allineati su uno stesso piano-scena: i tre fratelli, il padre che tiene le tre spade e le donne, madre, sorella e sposa, piangenti, in funzione di contrappeso emozionale ai due precedenti. Nella sua semplicità e gravità, la tela può essere accostata sia ai bassorilievi antichi, che alle opere del primo Rinascimento, allora al centro di una nuova riscoperta, e assunse grande importanza anche perché riuscì a rappresentare lo stato d'animo di molti francesi di quel delicato periodo. Vi si lesse l'esaltazione dei valori di rigore morale e spartana semplicità dell'antica Repubblica romana, secondo il dettato di una lunga e fortunata tradizione retorica, ma non sembra che vi si potessero percepire messaggi rivoluzionari. Del resto, lo stesso David, in una lettera del 1789, descrivendo il dipinto non accenna a significati rivoluzionari, ma la Rivoluzione si "impossessò" dell'opera, traendovi l'esaltazione della fede repubblicana.

Secondo gli storici dell'arte Jacques Brengues, Luc de Nanteuil e Philippe Bordes, David sarebbe stato massone e avrebbe trasmesso nel Giuramento rituali tipici delle associazioni massoniche. Nel 1989 Albert Boime ha effettivamente dimostrato attraverso un documento del 1787 l'appartenenza dell'artista alla loggia massonica della Modération.

Il giuramento degli Orazi consacra dunque David come capofila della moderna scuola di pittura, che prende il nome di "Vrai style" (vero stile): il termine Neoclassicismo non è ancora in uso, e apparirà solo alla metà dell'Ottocento, quando la scuola neoclassica sarà ormai al tramonto. A causa di tali riconoscimenti David diviene però anche oggetto della gelosia di molti colleghi d'Accademia, tanto che il Prix de Rome del 1786 è annullato, perché i candidati sono tutti suoi allievi e la sua candidatura alla direzione dell'Accademia è respinta.

Nel 1787, per Charles Michel Trudaine de la Sablière, un aristocratico liberale consigliere del parlamento di Parigi, David dipinge La morte di Socrate. Si dice che il gesto della mano diretto alla coppa del veleno gli fu suggerito dal poeta André Chénier, per esprimere più pienamente la stoica accettazione dell'ingiusta pena. Esposta al Salon del 1787, l'opera si pose in concorrenza con la tela, di pari soggetto, del Peyron, commissionata dai Bâtiments du Roi, e il confronto si risolse a tutto vantaggio di David.

Nel 1788 è la volta de Gli amori di Paride ed Elena, dipinto per il conte d'Artois, futuro Carlo X, e iniziato due anni prima. È l'unica commissione che gli perviene da un membro della famiglia reale; difatti, quella di un ritratto di Luigi XVI, (offertagli nel 1792 e che doveva rappresentare il re mentre mostra la costituzione di Francia al delfino) non sarà mai realizzata. Il 1788 è anche l'anno della morte precoce, per vaiolo di Jean-Germain Drouais, suo allievo favorito.

Nel 1788 David esegue il Ritratto di Lavoisier e della moglie. Ma Antoine Lavoisier è anche fermier général - esattore delle imposte - ed è anche responsabile dell'amministrazione delle Poudres et salpêtres, le munizioni e gli esplosivi dell'esercito. Nell'agosto del 1789 Lavoisier fa depositare nell'Arsenale di Parigi una gran quantità di munizionamenti per cannoni, iniziativa che viene sospettata di intenti contro-rivoluzionari: per questo motivo, l'Académie Royale ritiene prudente non esporre la tela al Salon.

Anche il dipinto I littori riportano a Bruto i corpi dei suoi figli provoca timori nelle autorità, poiché si teme un paragone tra l'intransigenza del console Lucio Giunio Bruto, che non esitò a sacrificare i figli che cospiravano contro la Repubblica, e la debolezza di Luigi XVI rispetto al fratello conte d'Artois, favorevole alla repressione dei rappresentanti del Terzo Stato. Così il dipinto non venne esposto al Salon, benché esso sia stato commissionato dai Bâtiments du Roi, I giornali non mancarono di sottolineare la censura esercitata dal governo, costringendo l'Académie a esporre il dipinto, che David dovette però modificare, eliminando le immagini delle teste decapitate dei figli di Bruto issate sulle picche, che figuravano nella versione originaria della tela.

Il grande successo del Bruto si ripercosse sulla moda: si adottarono le pettinature "alla Bruto", le donne abbandonarono le parrucche incipriate e l'ebanista Georges Jacob realizzò mobili in stile presunto "romano" disegnati da David.

Dal 1786 David aveva frequentato gli ambienti dell'aristocrazia progressista conoscendo, tra gli altri - oltre Chénier - Charles de Bailly e Condorcet e, nel salotto di Madame de Genlis, Bertrand Barère, Barnave e Alexandre de Lameth, prossimi protagonisti della Rivoluzione.

Due vecchi condiscepoli di Nantes, incontrati durante il periodo romano, l'architetto Mathurin Crucy e lo scultore Jacques Lamarie, gli proposero un'allegoria che celebrasse gli avvenimenti pre-rivoluzionari che si erano verificati a Nantes alla fine del 1788 e, sebbene il progetto non sia mai andato in porto, l'episodio conferma la simpatia di David per la causa rivoluzionaria. Nel settembre del 1789, con Jean-Bernard Restout, David è alla testa degli Accademici dissidenti, gruppo fondato per riformare l'istituzione delle Belle Arti. Essi chiedono la fine dei privilegi accordati all'Académie royale, in particolare quello di negare il diritto agli artisti non accademici di esporre le loro opere al Salon.

Nel 1790 comincia a dipingere il Giuramento del Jeu de paume - iniziativa suggeritagli da Dubois-Crancé e da Barère - la più ambiziosa delle realizzazioni del pittore fino a quel momento, considerato che, una volta terminata, avrebbe misurato 10 metri x 7, rappresentando i 630 deputati dell'Assemblea costituente che ascoltavano il giuramento del loro presidente, l'astronomo Jean Sylvain Bailly, al centro della scena. Il progetto ha l'appoggio della Société des amis de la constitution, il primo nome assunto dal Club dei Giacobini, alla quale David ha appena aderito. Malgrado il lancio di una sottoscrizione, i fondi necessari non vengono però raccolti: una successiva proposta di Barère all'Assemblea costituente di finanziare il dipinto non è accolta e David abbandona definitivamente il progetto, per il quale aveva presentato il disegno preparatorio.

Nel 1790 David prosegue il suo impegno politico, mettendosi alla testa della Commune des arts, emanazione degli Académiciens dissidents, ottenendo la fine del controllo del Salon da parte dell'Académie e partecipando in qualità di commissario aggiunto al primo Salon de la liberté, inaugurato il 21 agosto 1791.

Nel settembre 1790 aveva già presentato all'Assemblea la proposta di soppressione di tutte le Accademie, che verrà accolta formalmente l'8 agosto 1793.

Nel frattempo aveva fatto abrogare il posto di direttore dell'Académie de France a Roma.

Nell'agosto del 1790 Charlotte David, monarchica e perciò in disaccordo con le opinioni del marito, si separa da David. Il 17 luglio 1791 David è tra i firmatari, riuniti al Campo di Marte, della petizione che chiede la decadenza di Luigi XVI: conosce, in questa occasione, il futuro ministro dell'Interno, Roland. A settembre tenta senza successo di farsi eleggere deputato dell'Assemblea legislativa; la sua attività artistica rallenta e se trova il tempo per il suo Autoritratto, ora agli Uffizi, lascia incompiuti numerosi ritratti, come quelli di Madame Pastoret e di Madame Trudaine.

Nel 1792 le sue posizioni politiche si radicalizzano: il 15 aprile organizza la sua prima festa rivoluzionaria in onore delle guardie svizzere di Châteauvieux che si erano ammutinate a Nancy. Il suo sostegno a questa iniziativa provoca la rottura con elementi liberali moderati, come André Chénier e Madame de Genlis. Il 17 settembre 1792 è eletto deputato di Parigi alla Convenzione nazionale: è rappresentante del popolo nella sezione del museo e siede fra i deputati della Montagna, ottenendo l'appoggio di Jean-Paul Marat che lo definisce «eccellente patriota».

Nominato il 13 ottobre al Comitato d'istruzione pubblica, ha l'incarico di organizzare le feste civiche e rivoluzionarie, oltre che la propaganda; dal 1792 al 1794 si occupa anche dell'amministrazione delle arti e, come membro della Commissione ai monumenti, propone di inventariare tutti i tesori nazionali e ha un ruolo di primo piano nella riorganizzazione del Louvre. Concepisce, ai primi del 1794, un programma di abbellimento di Parigi e fa installare i Cavalli di Marly di Guillaume Coustou all'ingresso degli Champs Élysées.

Dal 16 al 19 gennaio 1793 - secondo il nuovo calendario, dal 27 al 30 nevoso dell'anno I - vota per la morte di Luigi XVI, cosa che provoca la richiesta di divorzio della moglie. Il 20 gennaio il convenzionista Louis-Michel Lepeletier de Saint-Fargeau è assassinato dai monarchici per aver votato la condanna del re. David è incaricato da Barère di organizzare le cerimonie funebri e fa esporre il corpo in place des Piques. Dipinge poi una tela, esposta alla Convenzione, che rappresenta il deputato nel suo letto di morte: sembra che quest'opera sia stata distrutta nel 1826 dalla figlia del convenzionista assassinato e resta nota solo da un disegno dell'allievo di David, Anatole Desvoge, e da un'incisione di Pierre-Alexandre Tardieu.

All'annuncio dell'assassinio di Marat, il 13 luglio 1793, la Convenzione incarica David di fare per Marat quel che aveva fatto per Lepeletier. Amico di Marat, David era stato tra gli ultimi ad averlo visto ancora vivo. Egli si occupa anche dei funerali, che si svolgono il 16 luglio nella chiesa dei Cordeliers. In ottobre, la tela è terminata e viene esposta, insieme con quella di Lepetelier, nella sala delle sedute della Convenzione, dal novembre del 1793 fino al febbraio del 1795.

La tela presenta, in una luce caravaggesca, la figura di Marat abbandonata alla morte. Il corpo emerge dalla vasca come da un sarcofago, con il capo avvolto in un panno che evoca l'infula di un antico sacerdote. L'uomo ha in mano la lettera con cui Carlotta Corday gli chiedeva udienza, per introdursi in casa sua, ed ha accanto una cassa di legno che funge da scrittoio, con penna e calamaio, sulla quale l'artista appone la propria dedica: À MARAT - DAVID.

Nel dipinto David non ricorre a tradizionali repertori retorici per commentare l'omicidio, ma si limita a descrivere il fatto, dal quale tuttavia emerge la virtù di Marat e, di conseguenza, la condanna del delitto.

Il tribuno era sofferente da tempo, e tuttavia continuava a lavorare; era povero, come dimostra la rozza cassa che gli fa da tavolino, e perciò onesto; era generoso, perché, benché povero egli stesso, mandava un assegnato a una donna il cui marito difendeva la patria in pericolo; il delitto è tanto più infame, perché perpetrato contro un uomo virtuoso ricorrendo all'inganno della falsa supplica.

La composizione, di accentuata essenzialità, è costruita su un ritmo orizzontale spezzato dal braccio del morto che cade verticalmente, ed evoca in alcuni tratti - la solennità, la ferita al costato, l'espressione mansueta della vittima - quasi la figura di un Cristo morto, come ricorda il reclinare del capo sulla spalla e il braccio che evoca quello analogo della giovanile Pietà michelangiolesca e della Sepoltura di Caravaggio. Più della metà del dipinto è vuota e buia, a evocare la morte e il lutto.

«Nel quadro vi è una decisa contrapposizione fra ombra e luce, ma non c'è una sorgente luminosa che la giustifichi come naturale. Luce sta per vita, ombra per morte: non si può pensare la vita senza pensar la morte e inversamente. Anche questo è nella logica della filosofia di David. La fermezza e la freddezza del contrapposto luce-ombra dà al dipinto un'intonazione uniforme, livida e spenta, i cui estremi sono il lenzuolo bianco e il drappo scuro. In questa intonazione bassa spiccano, agghiaccianti, le poche stille di sangue: segnano l'acme di questa tragedia senza voci e senza gesti»

(G. C. Argan, L'arte moderna. 1770-1970, Firenze, 1970, p. 41)


Con La morte del giovane Barra David realizza il suo terzo e ultimo quadro sul tema dei martiri della Rivoluzione: l'esempio è dato, questa volta, dal caso di un giovanissimo tamburino di 13 anni, Joseph Barra, ucciso dai vandeani per essersi rifiutato di gridare «viva il re». David avrebbe anche dovuto occuparsi delle cerimonie funebri del ragazzo e di quelle di Viala, ma gli avvenimenti del 9 termidoro, data della caduta di Robespierre, non permettono l'attuazione del progetto.

David aveva anche pensato di celebrare un altro eroe della Rivoluzione, il generale Henri de Dampierre, del quale fece qualche schizzo preparatorio per una tela che però non verrà realizzata, all'annuncio della morte di Marat.

Nel giugno del 1793 David è nominato presidente del club giacobino e il mese dopo è segretario della Convenzione. Prende parte attiva nella politica del Terrore divenendo il 14 settembre 1793 membro del Comitato di sicurezza generale e presidente della sezione interrogatori. A questo titolo, firma circa 300 mandati d'arresto e una cinquantina di arresti, traducendo i sospetti davanti al tribunale rivoluzionario. Fa presidiare il Comitato durante la messa in stato d'accusa di Fabre d'Églantine, controfirma l'arresto del generale Alessandro di Beauharnais, interviene nel processo contro Maria Antonietta (partecipa come testimone all'interrogatorio del piccolo Capeto), della quale farà un celebre disegno mentre l'ex-regina viene condotta alla ghigliottina sulla carretta dei condannati.

David non si oppone all'esecuzione di vecchi amici o clienti, come i fratelli Trudaines, Lavoisier, la duchessa di Noaille, per la quale aveva dipinto un Crocifisso, o André Chénier. Carle Vernet lo accusa di responsabilità nell'esecuzione della sorella Marguerite Émilie Vernet, moglie dell'architetto Jean-François-Thérèse Chalgrin. Ma David protegge Dominique Vivant Denon, facendone cancellare il nome dalla lista degli emigrati e procurandogli un lavoro di incisore, appoggia la nomina di Jean-Honoré Fragonard al Conservatorio del Louvre e aiuta Antoine-Jean Gros, noto realista, dandogli i mezzi per consentirgli di partire per l'Italia.

Nel 1794 viene nominato presidente della Convenzione, una funzione che egli occupa dal 5 al 21 gennaio. Come organizzatore di feste e cerimonie rivoluzionarie - insieme all'architetto Hubert, al falegname Duplay - il padrone di casa di Robespierre - al poeta Marie-Joseph Chénier, fratello di André, e al compositore Méhul - si occupa della festa della Réunion del 10 agosto, della traslazione di Marat al Panthéon, della festa per la riconquista di Tolone e della cerimonia del culto della Ragione e dell'Essere Supremo, disegnando i carri del corteo e gli elementi della cerimonia. Fa anche delle caricature di propaganda per il Comitato di salute pubblica e disegna i costumi per i rappresentanti del popolo.

L'8 termidoro dell'anno II - il 26 luglio 1794 - Robespierre, fino ad allora capo incontrastato della Repubblica, in un discorso alla Convenzione denuncia cospirazioni in atto senza fare i nomi dei deputati responsabili. Tutti si sentono minacciati e Robespierre, privo dell'appoggio della Comune parigina, è perduto: « se bisogna soccombere » - dichiara - « ebbene, amici miei, mi vedrete bere la cicuta con calma ». David lo sostiene: « io la berrò con te ». Il giorno dopo Robespierre è arrestato e si ferisce gravemente nel tentativo di suicidarsi; David è assente dalla Convenzione perché malato, dirà, ma Barère nelle sue memorie afferma di averlo dissuaso dall'andare all'Assemblea. Così egli sfugge alla prima ondata di arresti che colpiscono i sostenitori dell'Incorruttibile.

Il 31 luglio, alla Convenzione, a David viene richiesto di dare spiegazioni circa il suo appoggio a Robespierre: egli si difende maldestramente, secondo Delécluze e rinnega il suo passato robespierrista. Subito escluso dal Comitato di sicurezza generale, il 2 agosto è arrestato e rinchiuso nel vecchio "Hôtel des Fermes générales" per poi essere trasferito al palazzo del Luxembourg, dove gli viene concesso di disegnare e dipingere. Il 30 novembre i suoi allievi, con il sostegno di Boissy d'Anglas, chiedono la sua scarcerazione, mentre anche l'ex-moglie Charlotte Pécoul, si riconcilia con lui e i due si risposeranno il 10 novembre 1796. Il 28 dicembre, prosciolto da ogni accusa, David è rimesso in libertà.

Ritiratosi a Saint-Ouen (presso Favières), nella casa del cognato Charles Sériziat, è però nuovamente arrestato il 29 maggio 1795 e rinchiuso nel Collège des Quatre-Nations, la sua vecchia scuola di pittura trasformata in carcere, ma poi, su richiesta di Charlotte, può tornare a risiedere, sotto sorveglianza, a Saint-Ouen e finalmente, il 26 ottobre 1795, può godere del decreto di amnistia generale.

Durante la prigionia, David aveva dipinto il suo Autoritratto, ora al Louvre, aveva progettato un Omero che recita ai greci i suoi versi, del quale resta solo un disegno, aveva forse dipinto i giardini del Luxembourg e aveva anche ritratto André Jeanbon Saint André, un convenzionista imprigionato con lui.

Il Direttorio ripristina l'Institut de France e invita David a far parte della sezione di pittura della Classe de littérature et Beaux-arts. Nell'ottobre del 1795 torna al Salon con due ritratti della famiglia Sériziat realizzati nella loro casa di Saint-Ouen e dipinge i ritratti dei due diplomatici: Gaspar Mayer e Jacobus Blauw.

Ma la sua occupazione principale è la realizzazione de Le Sabine, dipinte dal 1795 al 1798, nelle quali sono simboleggiate le rivalità fratricide delle fazioni rivoluzionarie e le virtù della riconciliazione e della concordia. Rivendicando il ritorno al « puro greco », la tela rappresenta l'evoluzione del suo stile nella scelta di rappresentare, audacemente secondo la sensibilità dell'epoca, la nudità degli eroi, giustificata da David nel breve scritto Note sulla nudità dei miei eroi. Il suo esempio è seguito da una parte dei suoi allievi, costituiti intorno a Pierre-Maurice Quays sotto il nome di Barbus, o Gruppo dei primitivi, che auspicano un ritorno radicale al modello greco, fino a entrare in dissidio con il loro maestro, rimproverandogli il carattere non abbastanza arcaico della rappresentazione dell'antico episodio della leggenda romana. David finisce per licenziare i suoi allievi Pierre-Maurice Quays e Jean-Pierre Franque rimpiazzandoli con Jérôme-Martin Langlois e con Jean Auguste Dominique Ingres, destinato a un grande avvenire.

Le Sabines non vengono esposte al Salon: seguendo l'esempio dei pittori americani Benjamin West e John Singleton Copley, David organizza un'esposizione a pagamento nella vecchia sala dell'Académie d'architecture e installa davanti al dipinto uno specchio, in modo che gli spettatori si vedano come parte integrante dell'opera. L'esposizione si protrasse fino al 1805 con grande successo: grazie agli incassi, David acquistò nel 1801 una proprietà di 140 ettari, la fattoria dei Marcoussis, a Ozouer-le-Voulgis.

L'ammirazione di David per Bonaparte nasce all'annuncio della vittoria nella battaglia di Lodi, il 10 maggio 1796. L'artista, che progetta un dipinto sulla battaglia, scrive al generale chiedendogli un disegno del sito. Un anno dopo, al tempo del tentativo di colpo di Stato monarchico del 18 Fruttidoro, conosciuti gli attacchi di cui David è fatto oggetto dai realisti, Bonaparte manda il suo aiutante di campo a proporgli di venire a Milano per mettersi sotto la sua protezione, ma David declina l'invito. Alla fine del 1797, con il ritorno trionfale di Bonaparte dopo la stipula del trattato di Campoformio, i due si incontrano durante un ricevimento dato dal Direttorio e David propone a Bonaparte un ritratto, che tuttavia resta incompiuto. Dopo un'unica seduta di posa, il pittore manifesta agli allievi il suo entusiasmo per colui che chiama eroe: « È un uomo al quale si sarebbero innalzati altari nell'antichità, sì, amici miei, Bonaparte è il mio eroe ». Non accetta però l'invito a seguirlo, nel 1798, nella Campagna d'Egitto, mandando al suo posto l'allievo Gros.

Dopo il colpo di Stato del 18 brumaio, accolto con rassegnazione (« Avevo sempre pensato che noi non eravamo abbastanza virtuosi per essere repubblicani»), David inizia nel 1800 un nuovo soggetto storico, la resistenza degli spartani di Leonida alle Termopili, che terminerà solo 14 anni dopo; anche il Ritratto di madame Récamier è lasciato incompiuto.

Nell'agosto del 1800, il re di Spagna Carlo IV, nel contesto dei buoni rapporti stabiliti tra i due paesi, chiede al regicida David un ritratto del Primo Console da mettere nel suo palazzo reale. Nasce così Il Primo Console supera le Alpi al Gran San Bernardo, seguito da tre repliche a richiesta di Napoleone. È così che questo diviene il primo ritratto ufficiale del nuovo padrone della Francia. David presenta le due prime versioni dell'opera nell'esposizione a pagamento che accoglie già Le Sabine, attirandosi le critiche della stampa per la mancata, libera esposizione al Salon, con accuse di affarismo, aggravate dall'affare delle incisioni del Giuramento della Pallacorda, eseguite dietro pubblica sottoscrizione, della quale si chiede ora il rimborso.

Durante il Consolato David, richiesto come consigliere artistico, disegna la divisa dei membri del governo - un modello che viene però rifiutato - partecipa alla decorazione delle Tuileries e si occupa del progetto delle Colonnes départementales, colonne da innalzare in ciascuno dei 108 dipartimenti in cui la Francia era divisa amministrativamente, in onore dei caduti. Presenta anche un progetto di riforma delle istituzioni artistiche, con l'intenzione, forse, di divenirne amministratore, ma la proposta è bocciata da Lucien Bonaparte che gli propone di diventare «Pittore del governo». Ma l'artista rifiuta, forse per ripicca, come rifiuta anche di divenire membro della Société libre des arts du dessin, creata dal ministro Chaptal.

Sempre nel 1800 viene indirettamente coinvolto nella Cospirazione dei pugnali, un tentativo di assassinio di Bonaparte che avrebbe dovuto aver luogo il 10 ottobre all'Opéra, solo perché nel suo atelier si distribuivano biglietti per la rappresentazione degli Horaces, di Bernardo Porta, ispirata al suo Giuramento degli Orazi, che si sarebbe tenuta all'Opéra la sera dell'attentato. Fra i congiurati vi erano anche il suo vecchio allievo François Topino-Lebrun, il simpatizzante babouvista e lo scultore romano Giuseppe Ceracchi. I due vengono giustiziati, malgrado la deposizione a loro favore resa da David, e la polizia di Fouché, conoscendo il passato giacobino di David, gli sorveglia per qualche tempo l'atelier.

Con la Pace d'Amiens, nel 1802, tornano in Francia i turisti britannici: David è contattato dall'industriale irlandese Cooper Penrose, che gli chiede un ritratto, eseguito per ben 200 luigi d'oro.

Il 18 dicembre 1803 David è nominato cavaliere della Legion d'onore e l'anno dopo, il 16 luglio, è decorato. Nell'ottobre del 1804 riceve da Bonaparte, ora imperatore Napoleone I, la commissione di quattro quadri di cerimonia: L'incoronazione di Napoleone I, La distribuzione delle aquile, L'intronizzazione e L'arrivo all'Hôtel de Ville. È anche nominato ufficialmente Primo pittore, mentre l'amministrazione delle attività artistiche restano affidate a Dominique Vivant Denon.

Sistematosi a Notre-Dame, da dove può seguire tutti i particolari della cerimonia dell'Incoronazione, ha lo spazio necessario per dipingere poi l'enorme tela di 9,80 x 6,21 metri, portata a termine in tre anni di lavoro. Egli stesso descrive le circostanze dell'impresa:

«Disegnai la scena dal vivo e fissai separatamente tutti i gruppi principali. Annotai quello che non potevo fare in tempo a disegnare […] Ciascuno occupa il posto secondo l'etichetta, vestito degli abiti propri alla sua dignità. Dovetti affrettarmi a riprenderli in questo quadro, che contiene più di duecento figure»

Se David ha concepito da solo la composizione dell'opera, che originariamente doveva mostrare l'imperatore mentre s'incorona da solo, la scena principale fu poi sostituita dall'incoronazione di Giuseppina per mano dello stesso Napoleone - cambiamento suggeritogli da François Gérard - Napoleone gli ordinò altre modifiche, facendogli aggiungere la madre Letizia che in realtà non era presente, e di far dare al papa Pio VII un gesto di benedizione, mentre David lo aveva rappresentato in atteggiamento passivo.

David approfitta della venuta del Papa per fargli il ritratto che ora è al Louvre. L'imperatore rifiutò poi un ritratto di David, destinato a Genova, scontento del risultato: « ...così brutto, talmente pieno di difetti, che non l'accetto e non voglio mandarlo in nessuna parte, specie in Italia, dove si farebbero una ben cattiva opinione della nostra scuola ». L'incoronazione di Napoleone è l'avvenimento del Salon del 1808 e Napoleone dimostra tutta la soddisfazione per l'opera nominando David ufficiale della Legion d'onore.

Alla Distribuzione delle aquile David deve apportare su ordine di Napoleone due importanti modifiche: la cancellazione degli allori che cadevano dal cielo sopra le bandiere dei reggimenti e poi, nel 1809, la figura di Giuseppina, dalla quale l'imperatore aveva divorziato. La prima modifica rende però incongruo il movimento delle teste dei marescialli, volte in alto a guardare un cielo vuoto.

A partire dal 1810 le relazioni tra l'artista e il potere si raffreddano, principalmente a causa delle difficoltà di pagamento dei quadri dell'Incoronazione e della Distribuzione delle aquile, che fu l'ultimo impegno di David per Napoleone. L'amministrazione contesta il compenso richiesto dal pittore, giudicato esorbitante, e David è escluso dalla commissione istituita per la riorganizzazione dell’École des Beaux-Arts. L'ultimo ritratto dell'imperatore - il Napoleone nel suo gabinetto di lavoro - è in realtà il risultato di una commissione offerta dal collezionista scozzese Alexander Hamilton.

Lo stesso anno l’Institut de France organizza il concorso per il premio decennale che onora le opere particolarmente significative degli ultimi dieci anni e L'incoronazione è premiata come miglior dipinto, ma David considerò un affronto vedere l'opera Le Sabine classificarsi decima davanti alla Scena di diluvio di Girodet, premiato come miglior dipinto di storia del decennio.

David riprende così a lavorare su commissioni private: il dipinto mitologico Saffo, Faone e Amore è destinato al principe russo Nicolai Yussupov, una ripresa in chiave galante de Gli amori di Paride ed Elena, mentre il Leonida alle Termopili, terminato nel 1814, gli era stato commissionato quattordici anni prima, come mostra del resto lo stile « puro greco » al quale David si era allora indirizzato con Le Sabine e del quale il Leonida costituisce il pendant.

Durante i Cento Giorni David riprende il suo posto di « primo pittore », dal quale era stato esonerato durante la breve prima Restaurazione, e ottiene anche l'onorificenza di commendatore della Legion d'onore. Egli sottoscrive, nel maggio 1815, l’Atto addizionale alle costituzioni dell'Impero, la modifica costituzionale di ispirazione liberale con la quale Napoleone si illudeva di poter riguadagnare un prestigio e un consenso ormai compromesso.

Mentre i suoi vecchi allievi Antoine-Jean Gros, François Gérard e Girodet rendono omaggio alla restaurata monarchia, David non si attende comprensione dal nuovo potere, a causa del suo passato rivoluzionario e bonapartista e, dopo la disfatta di Waterloo, affidato il suo atelier a Gros, mette al sicuro le sue Sabine, l’Incoronazione, la Distribuzione delle aquile e il Leonida, e si rifugia in Svizzera, per poi cercare invano accoglienza a Roma. Il 27 gennaio è a Bruxelles, dove ritrova vecchi convenzionisti come Barrère, Alquier e Sieyès, oltre a precedenti allievi belgi come Navez, Odevaere, Paelinck e Stapleaux. Quest'ultimo diventerà suo collaboratore.

Rifiutato l'invito in Prussia di Federico Guglielmo III, si interessa alle opere dei maestri olandesi e fiamminghi che può vedere a Bruxelles e dipinge diversi ritratti di esiliati e di notabili belgi, oltre a dipinti di soggetto mitologico. Ritrae le figlie di Giuseppe Bonaparte, di passaggio a Bruxelles e dà lezioni di disegno a Charlotte Bonaparte, dipinge Amore e Psiche nel 1817 per il conte Sommariva - il cui trattamento di Cupido è giudicato scandaloso per il troppo verismo - L'ira di Achille nel 1819, Gli addii di Telemaco e di Eucaride e una copia dell'Incoronazione nel 1822 per dei committenti americani.

A 75 anni esegue Marte disarmato da Venere e le Grazie, il suo ultimo dipinto mitologico, e lo espone a Bruxelles, nell'aprile del 1824; il ricavato va in beneficenza. Anche a Parigi, dove viene esposto in maggio, il quadro ottiene grande successo, attirando 6.000 visitatori. In quel Marte che si lascia disarmare da Venere e dalle Grazie è facile vedere la fine della lunga, esaltante ma anche tragica epopea vissuta dalla Francia e dall'Europa: « gli eroi erano stanchi, e anche il vecchio maestro, reduce da tante battaglie, era pronto a deporre le armi ».

Appare, anonima, la sua prima biografia, "Notice sur la vie et les ouvrages de M. J.-L. David", ma dal 1820 la sua salute peggiora; nel 1824 viene investito da una carrozza e nel novembre del 1825 è colpito da una paralisi alle mani. Un mese dopo David muore nel suo letto: è il 29 dicembre.

Il governo francese rifiuta la sua salma, che viene sepolta nel Cimitero Saint-Josse-ten Noode di Bruxelles: solo il cuore è inumato a Parigi, nel cimitero Père Lachaise, accanto alla moglie Charlotte, deceduta pochi mesi dopo di lui.

Anni prima, nel 1819, rispondendo agli inviti di chi voleva che egli tornasse in Francia rendendo un inevitabile omaggio ai nuovi potenti, David aveva scritto al figlio Jules: « Tutti i miei colleghi rientrano in Francia; io sarei certamente del numero se avessi la debolezza di chiedere per iscritto che mi si faccia tornare. Ma tu conosci tuo padre e la fierezza del suo carattere. Può egli fare un simile passo? Sapevo quel che facevo. Ero adulto, avevo l'età per sapere quel che facevo ».

Nella sua formazione e nel percorso artistico David è innanzi tutto un pittore di storia, il "genere grande" della pittura, secondo la classificazione elaborata da Félibien nel XVII secolo:

«colui che dipinge paesaggi alla perfezione sta in un grado più alto di chi dipinge solo frutta, fiori e conchiglie. Colui che dipinge animali vivi merita maggior considerazione di chi dipinge cose morte e prive di movimento [...] colui il quale imita Iddio dipingendo figure umane , è assai più eccellente di tutti gli altri [...] il pittore che fa solo ritratti non ha ancora raggiunto la perfezione nell'arte [...] per questo è necessario passare dalla rappresentazione di una sola figura a quella di più figure insieme, trattare la storia e la mitologia, rappresentare, come gli storici, figure grandi [...] bisogna saper adombrare sotto il velo delle allusioni mitologiche le virtù dei grandi uomini e i misteri più elevati»

(A. Félibien, Conferences de l'Académie royale de peinture et de sculpture, Paris, 1669)


E David, fino all'esilio, attribuisce la maggiore importanza alle composizioni storiche ispirate a soggetti tratti dalla mitologia - Andromaca, Marte disarmato da Venere- o dalla storia romana e greca: Bruto, Le Sabine, Leonida. Con la Rivoluzione, cerca di adattare la sua ispirazione fondata sull'antico a soggetti del proprio tempo, dipingendo anche opere con soggetti contemporanei: Il giuramento della Pallacorda, La morte di Marat, L'incoronazione.

Il secondo genere prediletto, ancora sull'esempio di Félibien, è il ritratto. All'inizio della carriera e fino alla Rivoluzione, ritrae i suoi familiari e i notabili della sua cerchia, poi Napoleone, il Papa e qualche esponente del regime; in questo genere, il suo stile anticipa spesso la ritrattistica di Ingres. Il suo catalogo comprende anche tre autoritratti e solo tre sono anche i soggetti religiosi: un San Girolamo, il San Rocco che intercede presso la Vergine e un Cristo in croce. Gli si attribuisce un solo paesaggio e nessuna natura morta.

L'opera grafica di David si divide in due gruppi: nel primo, disegni originali, fregi classici, caricature, il celebre schizzo di Maria Antonietta condotta al patibolo e progetti di medaglie e di costumi; nel secondo, schizzi e abbozzi preparatori alle tele, dalla semplice idea fino all'elaborazione ricca di dettagli, ai disegni di monumenti e di paesaggi romani raccolti nei suoi album che utilizza da modelli per le future composizioni. Le tecniche impiegate vanno dal carboncino alla matita, dall'acquerello all'inchiostro.

David, nato in pieno periodo rococò, non poté non esserne un rappresentante. Il soggiorno in Italia fu fondamentale per lo sviluppo della sua personalità artistica, potendo conoscere e apprezzare due maestri del Rinascimento come Raffaello e Correggio, un classicista come Guido Reni fino alla scoperta di Caravaggio e della sua scuola. Al suo ritorno da Napoli, maturato l'abbandono della formazione barocca, la sua conversione al Neoclassicismo passa innanzitutto attraverso gli insegnamenti del proprio maestro, Joseph-Marie Vien, dalla meditazione dell'opera di Poussin, di Gavin Hamilton, di Pompeo Batoni, di Raffaello Mengs e dei suoi studi sull'antichità, favoriti dall'opera di Winckelmann.

La novità di David consiste nell'aver combinato una ispirazione sia estetica che morale, unendo ragione e passione, piuttosto che l'imitazione della natura e dell'antico.[92] Con il Belisario e Il giuramento degli Orazi David trova il suo stile che varierà appena con Le Sabine. Nel ritratto, la sua maniera è più libera, vicina al naturalismo di Chardin, e rappresenta un'evoluzione del ritratto psicologico iniziato da Quentin de la Tour.

La tecnica utilizzata da David è visibile negli abbozzi e nelle opere incompiute che ci sono rimasti e che permettono di osservare la sua maniera di dipingere e di conoscere i processi di realizzazione. Così, l'incompiuto Ritratto di Bonaparte lascia apparire lo strato di preparazione di pigmenti bianchi a base di piombo sul quale dipinge, ma David dipingeva anche su preparazioni collose.

La tavolozza di David era costituita, nell'ordine, dai colori

«bianco piombo, giallo Napoli, ocra gialla, ocra rossa, ocra Italia, bruno rosso, terra di Siena bruciata, lacca carminio, terra di Cassel, nero avorio, nero pesca o vigna. Indistintamente blu di Prussia, blu oltremare, blu minerale, poi poneva sotto questi colori cinabro e vermiglione. Verso la fine della carriera aggiunse il giallo cromo e il cromo rosso per dipingere i soli arredamenti»

Nella composizione, egli abbandona la struttura piramidale in voga nel XVII secolo, preferendo quella a fregio ispirata ai bassorilievi antichi, generalizzandola, a partire da Il giuramento degli Orazi, una composizione di struttura rettangolare. Probabilmente David utilizzava uno schema ortogonale basato sul ribaltamento dei lati minori del rettangolo, ma nessun disegno di David mostra tracciati che permettano di verificare il suo modo di comporre, anche se forse il disegno preparatorio dell'Ippocrate rifiuta i doni di Artaserse di Girodet è anche un esempio di come David costruisse i propri dipinti.

Lo scrupolo di David può essere dimostrato, per esempio, dai ripetuti rifacimenti — venti volte — del solo piede sinistro di Orazio nel Giuramento.

Alla morte del pittore apparve un certo numero di nuove tele che gli furono erroneamente attribuite. Il successo di David e il costo elevato dei suoi dipinti favorirono naturalmente l'attività dei falsari, come avvenne per il Barère alla tribuna, ora restituito a Laneuville (Kunsthalle, Bremen), per il ritratto di Saint-Just, o quello del flautista François Devienne ai Musées Royaux des Beaux-Arts di Bruxelles, considerato autografo fino agli anni trenta del Novecento.

Nel 1883 Jacques-Louis Jules David, nipote del pittore e autore di una sua monografia, notò in occasione di un'esposizione, che su diciannove tele presentate come autentiche, solo quattro potevano essere considerate autografe, segnalando in particolare che nessuno dei quattro presunti autoritratti esposti era autentico.

L'errore viene divulgato dalle autenticazioni degli "esperti", come avvenne per il ritratto del convenzionista Milhaud, la cui attribuzione si basò anche sulla falsa firma presente nella tela e si poté depennare il ritratto dal catalogo di David solo grazie all'apparizione di una replica dell'allievo Garneray. Il tribunale dovette poi stabilire la falsa attribuzione di una replica del Marat assassinato conservata nel Castello di Versailles.

Le mostre retrospettive hanno permesso di fare il punto sul catalogo davidiano: quella del 1948 ha escluso Il convenzionista Gérard e la sua famiglia e il ritratto di Devienne, mentre nel 1989 fu esclusa l'attribuzione di un ritratto, restituito a Quatremère de Quincy, e delle Tre dame di Gand, conservata al Louvre, e pone inoltre dei dubbi sul Ritratto del Geôlier del museo di Rouen.

L'influenza di David può essere valutata dal numero di allievi che frequentarono il suo atelier dal 1780 al 1821: se ne sono calcolati circa 470.

David aveva fondato una scuola al suo ritorno a Roma nel 1780, e tra i primi allievi vi furono Wicar, Drouais, Girodet. L'espressione «École de David» fu coniata ai primi del XIX secolo e comprende sia l'atelier che l'influsso esercitato dalla sua pittura. Qualificato di dogmatico, David favorì però l'espressione di talenti originali e anche lontani dal suo stile, come Antoine Gros, pittore che annuncia il romanticismo di Géricault e Delacroix, pur restandogli fedele e prendendo in mano l'atelier al momento dell'esilio di David, su invito del maestro.

Una dissidenza fu pure espressa da un gruppo di suoi allievi, i Barbus, intenzionati a radicalizzare il neoclassicismo esprimendo un'antichità più primitiva, ispirata direttamente allo stile greco arcaico, anziché classico. David si oppose a Girodet e a Ingres, dei quali non comprese gli orientamenti artistici: dopo aver visto il dipinto di Girodet L'apoteosi degli Eroi francesi morti per la patria, reagì esclamando: «È pazzo, Girodet! Lui è pazzo o io non capisco più niente di pittura. Sono personaggi di cristallo quelli che ci ha fatto! Che peccato! Col suo talento, ques'uomo non farà che follie! Non ha senso comune ». E sul Giove e Teti di Ingres, avrebbe detto che «è delirante».

Molti suoi allievi furono anche suoi collaboratori: Drouais l'aiutò nella realizzazione del Giuramento degli Orazi, Jean-Baptiste Isabey lavorò su Gli amori di paride ed Elena, François Gérard su Gli ultimi momenti di Lepelletier de Saint-Fargeau, tre allievi collaborarono a Le Sabine, Jean-Pierre Franque, Jérôme-Martin Langlois e, occasionalmente, Ingres, che si applicò anche al Ritratto di madame Récamier. Georges Rouget è considerato l'assistente preferito di David, e lavorò alle repliche del Bonaparte al Gran San Bernardo e della Incoronazione, dove è rappresentato accanto al maestro, nonché al Leonida alle Termopili.

La prima biografia sul pittore fu redatta, lui vivente, da Chaussard nel Pausanias français, e si arresta al 1806, prima dell'esposizione della Incoronazione. Nel 1824 appare anonima una notizia sulla vita e sulle opere dell'artista, ma è nel 1826, un anno dopo la sua morte, che viene pubblicata la prima biografia completa, ancora anonima, che tenta di attenuare il rilievo politico avuto dal pittore durante gli anni della Rivoluzione.

Da allora ne appaiono numerose, da quella di Coupin a quella di Miette de Villars, che seguono lo stesso indirizzo. Nel 1855, con il suo Louis David, son école, son temps, l'allievo Étienne-Jean Delécluze cerca di delineare con obiettività il ruolo avuto dal pittore nelle vicende della Francia rivoluzionaria. La lunga frequentazione con il Maestro consente a Delécluze di narrare molti episodi della sua vita e di citare numerose sue affermazioni che danno un quadro delle idee artistiche di David: la sua mancanza di dogmatismo e il suo sollecitare gli allievi a non seguire modelli artistici precostituiti, quanto piuttosto le proprie inclinazioni.

Con l'apparire delle mostre retrospettive, si ravviva l'interesse per l'opera artistica e diversi storici fanno apparire nella Gazette des Beaux-Arts o nell'Revue de l'art français ancien et moderne, studi dettagliati sull'artista. Nel Novecento l'opera di David è affrontata da Agnes Humbert con il David, essais de critique marxiste. Nel 1948, bicentenario della nascita, si inaugura una grande mostra e appaiono il saggio di David Dowd sul ruolo avuto dall'artista durante la Rivoluzione, la monografia di Louis Hautecoeur e lo studio di Alvar Gonzales Palacios sull'arte del pittore sotto Napoleone. Dopo la grande biografia di Antoine Schnapper, l'esposizione del 1989 rappresenta l'occasione di affrontare nuove tematiche sull'arte di David nell'ambito degli atti David contre David, dove l'artista è analizzato sotto i più diversi aspetti.