Gioacchino Murat
(Labastide-Fortunière, 25 marzo
1767 – Pizzo Calabro, 13 ottobre 1815) è stato un generale
francese, re di Napoli (con il nome di
Gioacchino Napoleone) e
maresciallo dell'Impero con Napoleone Bonaparte. Era l'ultimo degli
undici figli di una coppia di locandieri, Pierre Murat Jordy e la
moglie, Jeanne Loubières. Essi gestivano beni del comune e benefici
ecclesiastici della priorìa di La Bastide-Fortunière (dal 1763) e
del priorato di Anglars (dal 1770). Divenne cognato di Napoleone
Bonaparte sposando Carolina Bonaparte, sorella minore
dell'imperatore.
Joachim Murat è un grande esempio
della mobilità sociale che caratterizzò il periodo napoleonico (e
anche delle conclusioni tragiche di molte folgoranti carriere).
Subito destinato alla carriera ecclesiastica, lo si trova fra i
seminaristi di Cahors, poi presso i lazzaristi di Tolosa. Si
preparava al noviziato sacerdotale, ma era amante della bella vita,
contraeva debiti e temendo le ire paterne si arruolò, il 23 febbraio
1787, nei "cacciatori delle Ardenne", poi nel 12º
reggimento dei cacciatori a cavallo, unità di cavalleria che
reclutava uomini audaci. Istruito, si distinse presto, ma nel 1789
venne espulso per insubordinazione e tornò nella casa della sua
famiglia.
Fece per un po' di tempo il mestiere
paterno poi, arruolatosi nuovamente, fece parte della guardia
costituzionale di Luigi XVI. Alla caduta della monarchia entrò
nell'esercito rivoluzionario e divenne rapidamente ufficiale.
Nel 1795 era a Parigi a sostenere
Napoleone contro l'insurrezione lealista e lo seguì poi nella
campagna d'Italia. Nel 1796 prese parte alla Battaglia di Bassano
dove fu al comando di un corpo di cavalleria le cui cariche furono di
importanza decisiva per la riuscita dello scontro. Nel 1797, durante
un soggiorno al castello di Mombello, incontrò Carolina Bonaparte,
la sorella minore di Napoleone, la quale s'invaghì di lui.
Nel maggio 1798 salpò da Genova a
bordo dell'Artémise e prese parte alla campagna d'Egitto, dove fu
nominato generale, e fu determinante nella vittoria di Abukir contro
i turchi. Partecipò attivamente al colpo di Stato del 18 brumaio
1799 e divenne comandante della guardia del Primo console. L'anno
seguente, il 20 gennaio, sposò Carolina Bonaparte, dalla quale ebbe
quattro figli, due maschi e due femmine.
Eletto, nel 1800, deputato del suo
dipartimento, il Lot, poi nominato comandante della prima divisione
militare e governatore di Parigi, al comando di sessantamila uomini.
Nel 1804 fu nominato maresciallo
dell'Impero e due anni dopo "Granduca di Clèves e di Berg",
titolo che lasciò al nipote Napoleone Luigi Bonaparte (figlio del
cognato Luigi Bonaparte), dopo essere diventato re di Napoli nel
1808. Grande soldato e grande comandante di cavalleria, fu con
Napoleone in tutte le campagne, pur non rinunciando alle proprie
opinioni, come quando si oppose all'esecuzione del duca di Enghien.
Era in effetti un combattente nato, un uomo sprezzante del pericolo,
pronto ad attaccare anche quando la situazione era rischiosa e
pericolosa: il coraggio non gli fece mai difetto. Sulla lama della
sua sciabola aveva fatto incidere: «L'onore e le donne»
Più volte le cariche travolgenti della
sua cavalleria avevano risolto a favore dei francesi una situazione
critica, come successe nella battaglia di Eylau, e determinante fu
per il successo del colpo di Stato bonapartiano il suo contributo il
18 brumaio quando, insieme al Leclerc, comandava le truppe che
stazionavano a Saint-Cloud di fronte alla sala ov'era riunito il
consiglio dei Cinquecento. Tuttavia non eccelleva nell'arte militare
e quando il coraggio e lo sprezzo del pericolo dovevano lasciare il
posto al freddo calcolo, alla capacità di valutazione immediata
della situazione sul campo di battaglia e alle relative decisioni
strategiche, non dimostrava grandi doti: si può dire che in
battaglia avesse molto più fegato (e cuore) che testa.
Esprime bene
questo aspetto quanto lamentato dal generale Savary a proposito del
comportamento avventato di Murat nella battaglia di Heilsberg (10
giugno 1807): «… sarebbe stato meglio che egli [Murat] fosse
dotato di meno coraggio e di un po' più di buon senso!»[4]
Altrettanto significativi delle qualità e difetti del maresciallo
sono due episodi avvenuti fra la battaglia di Ulma e quella di
Austerlitz.
Il 12 novembre 1805 Murat giunse in
vista di Vienna, dichiarata dagli austriaci "città aperta",
e stava per attraversare il Danubio nei sobborghi della città
utilizzando l'ultimo ponte rimasto agibile, che un contingente di
genieri austriaci era quasi pronto a far saltare. Non potendo
prendere il ponte d'assalto, nel timore che gli artificieri nemici
facessero brillare le mine, Murat e Lannes, accompagnati dal loro
intero stato maggiore, si presentarono sulla riva meridionale del
Danubio in grande uniforme da parata e cominciarono ad attraversare a
piedi il ponte urlando "Armistizio, armistizio" e
sfoggiando grandi sorrisi. Gli ufficiali austriaci che dirigevano le
operazioni dei genieri erano interdetti e non osarono far aprire il
fuoco sul gruppo di alti ufficiali francesi, apparentemente non più,
al momento, belligeranti. Questi attraversarono il ponte e non appena
giunti sulla riva settentrionale abbandonarono i sorrisi e, sfoderate
le sciabole, si avventarono sugli artificieri più vicini
neutralizzandoli. In quel momento una colonna di granatieri francesi
del generale Oudinot, che era rimasta celata nel bosco della riva
meridionale, attraversò a passo di carica il ponte e sopraffece
facilmente il reparto di genieri austriaci: il ponte era così salvo
e le truppe di Murat e Lannes poterono attraversarlo senza pericoli.
L'episodio divertì molto Napoleone che "dimenticò" così
un precedente, recente svarione del cognato.
Poco dopo però, un paio di settimane
prima della battaglia di Austerlitz, presso Hollabrunn, mentre
l'armata francese stava tentando di accerchiare quella russa di
Kutuzov, Murat fu convinto dal generale russo Wintzingerode, venuto a
parlamentare, a sottoscrivere, senza averne i poteri, una tregua
d'armi che ebbe l'unico risultato di consentire al generale russo
Bagration di sganciarsi dalla morsa in cui era stato costretto per
coprire la ritirata del collega Kutuzov.
Ecco che cosa gli scrisse l'infuriato
Napoleone quando seppe della tregua che l'incauto cognato aveva
sottoscritto con l'astuto Wintzingerode: «Il tuo operato è
veramente inqualificabile, e non ho parole per esprimere appieno i
miei sentimenti! Tu sei solo un comandante della mia avanguardia e
non hai diritto di concludere un armistizio senza un mio preciso
ordine in tal senso. Hai buttato all'aria tutti i vantaggi di
un'intera campagna. Rompi immediatamente la tregua! Attacca il
nemico! Marcia! Distruggi l'esercito russo! Gli austriaci si sono
lasciati trarre in inganno al ponte di Vienna ma tu ora ti sei
lasciato gabbare da un aiutante di campo dello zar!». Inutile dire
che Murat non se lo fece ripetere, ma ormai il grosso delle truppe di
Bagration si era tratto in salvo.
Nel 1808 Murat fu inviato in Spagna,
dove represse con ferocia la rivolta del popolo di Madrid contro
l'occupazione francese.
Nel 1808 Napoleone lo nominò re di
Napoli, per la nomina del re Giuseppe Bonaparte a re di Spagna. A
Napoli il nuovo re, ormai noto come "Gioacchino Napoleone",
fu ben accolto dalla popolazione, che ne apprezzava la bella
presenza, il carattere sanguigno, il coraggio fisico, il gusto dello
spettacolo e alcuni tentativi di porre riparo alla sua miseria, ma
venne invece detestato dal clero.
Dopo una fulminea spedizione militare
che gli consentì di cacciare gli inglesi dall'isola di Capri,
durante il suo breve regno, Murat fondò, con decreto del 18 novembre
1808, il Corpo degli ingegneri di Ponti e Strade (all'origine della
facoltà di Ingegneria a Napoli, la prima in Italia) e la cattedra di
agraria nella medesima università con decreto del 10 dicembre 1809,
ma condannò alla chiusura, con decreto del 29 novembre 1811,
l'antica Scuola medica salernitana. Inoltre avviò opere pubbliche di
rilievo non solo a Napoli (il ponte della Sanità, via Posillipo,
nuovi scavi a Ercolano, il Campo di Marte, ecc.), ma anche nel resto
del Regno (l'illuminazione pubblica a Reggio di Calabria, il progetto
del Borgo Nuovo di Bari, il riattamento del porto di Brindisi,
l'istituzione dell'ospedale San Carlo di Potenza, guarnigioni
dislocate nel Distretto di Lagonegro con monumenti e illuminazioni
pubbliche, più l'ammodernamento della viabilità nelle montagne
d'Abruzzo). Il beneplacito della popolazione per il suo operato fu
ricambiato dallo stesso sovrano, che intitolò a sé l'intera città
di Torre Annunziata, mutandone il nome in Gioacchinopoli.
Il 1º gennaio 1809, Murat introdusse
nel regno il Codice Napoleonico, che, tra le varie riforme,
legalizzò, per la prima volta nella penisola, il divorzio, il
matrimonio civile e l'adozione, cosa che non venne gradita dal clero,
il quale perse la facoltà di gestire le politiche familiari. La
nobiltà apprezzò le cariche e la riorganizzazione dell'esercito sul
modello francese, che offriva belle possibilità di carriera. I
letterati apprezzarono la riapertura dell'Accademia Pontaniana per
opera di intellettuali che si riunirono nella residenza di Giustino
Fortunato, e l'istituzione della nuova Accademia reale, e i tecnici
l'attenzione data agli studi scientifici e industriali.
Tuttavia i più scontenti erano i
commercianti, ai quali il blocco imposto ai commerci di Napoli dagli
inglesi rovinava gli affari (blocco contro il quale lo stesso Murat
tollerava e favoriva il contrabbando, il che costituiva un'ulteriore
ragione per accordargli il favore popolare). Molto efficace, anche se
attuata con metodi di sconvolgente crudeltà, fu la repressione del
brigantaggio affidata dapprima al generale Andrea Massena e poi al
generale Charles Antoine Manhès.
L'11 giugno 1809 fondò il Supremo
Consiglio di Napoli (detto delle Due Sicilie) del Rito scozzese
antico e accettato, di cui è il primo Sovrano gran commendatore fino
al 1815.
Nel 1810 per tre mesi Murat governò il
regno dalle alture di Piale (attualmente frazione di Villa San
Giovanni, in provincia di Reggio Calabria). Egli, muovendosi da
Napoli per la conquista della Sicilia (dove si era rifugiato il re
Ferdinando I sotto la protezione degli inglesi, un esercito dei quali
era accampato presso Punta Faro a Messina), giunse a Scilla il 3
giugno 1810 e vi restò sino al 5 luglio, quando fu completato il
grande accampamento calabrese di Piale.
Nel breve periodo di permanenza, Murat
fece costruire i tre forti di Torre Cavallo, Altafiumara e Piale,
quest'ultimo con torre telegrafica (telegrafo di Chappe). Il 26
settembre dello stesso anno, constatando impresa difficile la
conquista della Sicilia anche per il sostegno poco convinto di
Napoleone, Murat dismise l'accampamento di Piale e ripartì per la
capitale.
Non va infine sottovalutato il ruolo
avuto nel governo del periodo murattiano dalla moglie Carolina, donna
intelligente ancorché molto ambiziosa.
Il suo ruolo di re non gli impedì di
partecipare, nella Grande Armée, alla campagna di Russia del 1812,
al comando della Cavalleria napoleonica e di un contingente di
soldati del regno di Napoli: il suo comportamento in battaglia fu,
come in passato, eccellente. La sua carica nella battaglia della
Moscova decise le sorti della medesima a favore dell'armata
napoleonica. Fu grazie alla sua impetuosità che Murat, incaricato di
guidare l'avanguardia dell'esercito napoleonico, con la sua colonna
serrata di cavalleria invase Mosca e giunse al Cremlino.
Così fu anche durante la ritirata e il
5 dicembre 1812 Napoleone, partendo per rientrare a Parigi, gli
affidò il comando di ciò che rimaneva della Grande Armée. Tuttavia
Murat, giunto a Poznań, lasciò a sua volta il comando dell'armata
francese a Eugenio di Beauharnais il 16 gennaio 1813 e rientrò in
tutta fretta a Napoli. Risalgono a questo periodo i primi negoziati
con gli austriaci, influenzati dai consigli della regina Carolina.
Tornò comunque a fianco di Napoleone in tempo per combattere a
Dresda e a Lipsia, dopo di che lasciò l'armata.
Giunto a Milano l'8 novembre, Murat
fece sapere all'ambasciatore austriaco di essere disposto a lasciare
il campo napoleonico e due mesi dopo (gennaio 1814) veniva firmato un
trattato di alleanza fra Austria e Regno di Napoli. La notizia,
inviatagli da Eugenio di Beauharnais, giunse a Napoleone mentre era
impegnato nella difesa del suolo francese, la sera del 6 febbraio e
così reagì:
| «…non può essere! Murat, al quale io ho dato mia sorella! Murat, al quale io ho dato un trono! Eugenio deve essersi sbagliato. È impossibile che Murat si sia dichiarato contro di me.» |
| (Napoleone Bonaparte.) |
Murat, di fronte alla scelta di perdere
quel Regno che aveva faticosamente costruito e rimesso
finanziariamente in piedi dopo il breve regno di Giuseppe Bonaparte,
da poco avveduto diplomatico qual era scelse il tradimento. Del resto
i suoi rapporti con lo stesso Napoleone erano ormai da tempo
deteriorati tanto che l'illustre cognato, dimenticando spesso i
legami di parentela che li legavano, lo considerò sempre e comunque
un "vassallo". Nel trattato l'Austria garantiva al Murat i
suoi Stati (inclusa la Sicilia), ponendo così un'ipoteca sulle
decisioni del congresso di Vienna, che in un primo tempo non volle
privarlo del Regno di Napoli, appoggiata in questo anche
dall'Inghilterra e dalla Russia, che avevano riconosciuto
ufficialmente il trattato di gennaio.
Ma il 1º marzo 1815 Napoleone sbarcava
vicino Cannes, dopo essere fuggito dall'isola d'Elba, e il 5 marzo
Murat scrisse alle corti di Vienna e di Londra, che qualunque fossero
state le sorti di Napoleone dopo il rientro in Francia dall'Elba,
egli sarebbe rimasto fedele all'alleanza con i due stati, così come
gli chiese lo stesso cognato scrivendogli che «il passato fra loro
due non esisteva più» e perdonandolo della sua condotta dell'anno
precedente, altresì gli raccomandava soprattutto di mantenersi in
accordo con gli austriaci e di limitarsi a contenerli se avessero
marciato contro la Francia. Ma già il 19 dello stesso mese, temendo
le intenzioni di restaurazione borbonica sui territori del suo regno,
egli invadeva lo Stato Pontificio con un esercito di 35.000 uomini.
Murat proseguì ancora avanzando verso nord, entrò con il suo
esercito nelle Legazioni, presidiate dall'esercito austriaco che,
dopo alcuni tentativi di resistenza, si ritirò, lasciando a Murat
anche la città di Bologna, dove entrava il 2 aprile e l'8 aprile
faceva presentare ai suoi plenipotenziari a Vienna una nota nella
quale, pur protestando contro l'atteggiamento austriaco, ribadiva la
sua volontà di rispettare gli accordi del gennaio 1814. La risposta
della diplomazia austriaca fu rapida: il 10 dello stesso mese il
Ministro austriaco Metternich presentava ai plenipotenziari di Murat
la dichiarazione di guerra e il 28 aprile l'Austria firmava un
trattato di alleanza con Ferdinando I delle Due Sicilie e la
sovranità di quest'ultimo sul Regno di Napoli e di Sicilia venne
successivamente ratificata dal Congresso di Vienna.
Murat venne sconfitto dagli austriaci,
prima a Occhiobello, poi, dopo una ritirata attraverso Faenza e
Forlì, occupate da Adam Albert von Neipperg, a Tolentino (2 maggio
1815); il successivo trattato di Casalanza (20 maggio 1815), firmato
presso Capua per conto dello stesso Murat da parte di Pietro Colletta
e Michele Carrascosa, sancì definitivamente la sua caduta e il
ritorno del Borbone sul trono.
Intanto Murat, dopo la disfatta di
Tolentino e dopo aver emesso il 12 maggio il famoso proclama,
falsamente datato 30 marzo 1815 e dedicato agli italiani, che chiamò
alla rivolta contro i nuovi padroni, presentandosi come alfiere della
loro indipendenza, commise uno dei suoi ultimi errori. Aveva
l'intenzione di portarsi a Gaeta per difendere il suo regno ormai
perso, ma i suoi cortigiani gli imposero la partenza per la Francia
per andare a combattere con Napoleone. Fu convenuto che la regina
sarebbe rimasta a Napoli per trattare con gli inglesi e il 19 maggio
alle 8 di sera lasciò la sua corte e la sua famiglia: non li avrebbe
mai più rivisti. Nella mattinata del 20 maggio s'imbarcò per Ischia
e riuscì a sbarcare a Cannes il 25 maggio. Qui errò a lungo per la
Provenza, nella speranza che l'illustre cognato, ripreso il potere
dopo la fuga dall'isola d'Elba, lo richiamasse nell'armata. Ma il
Bonaparte non solo non lo richiamò, ma gli impose, tramite un
inviato del ministro degli esteri Caulaincourt, di tenersi lontano da
Parigi e di soggiornare tra Grenoble e Sisteron. Il non volere Murat
al suo fianco fu un errore rimpianto dallo stesso Napoleone nelle sue
memorie: in Belgio «pure ci avrebbe forse potuto arrecare la
vittoria: che abbisognava in certi istanti della giornata di
Waterloo? Di rompere tre, o quattro quadrati d'inglesi: ora Murat era
mirabile per simile bisogno; era precisamente l'uomo della cosa;
giammai, alla testa della cavalleria, ne fu veduto uno più
determinato, più bravo, più coraggioso di lui.»
Venuto a conoscenza della disfatta
napoleonica a Waterloo, dove l'imperatore con 120.000 uomini non
riuscì a difendere il suo impero, e avendo Murat una taglia sulla
testa di quarantottomila franchi, messa a disposizione dal marchese
di Rivière, un uomo che Murat stesso aveva salvato dal patibolo, il
re di Napoli si rifugiò rocambolescamente in Corsica, ove giunse il
25 agosto 1815 e dove fu presto circondato da centinaia di suoi
partigiani. Aspettando fin troppo a lungo i passaporti provenienti
dall'Austria per poter raggiungere la moglie Carolina a Trieste e
avendo false notizie sul malcontento dei napoletani, fu convinto a
organizzare una spedizione per riprendersi il regno di Napoli. La
spedizione, messa in piedi frettolosamente e forte di circa 250
uomini, partì da Ajaccio il 28 settembre 1815. Murat voleva dapprima
sbarcare nei dintorni di Salerno ma, dirottato da una tempesta in
Calabria e tradito dal capo battaglione Courrand, sbarcò l'8 ottobre
nel porticciolo di Pizzo.
Intercettato dalla Gendarmeria
borbonica al comando del capitano Trentacapilli, fu da questi
arrestato e fatto rinchiudere nelle carceri del locale castello.
Informato della cattura dell'ex sovrano, il Generale Vito Nunziante
(quale Governatore militare delle Calabrie) si precipitò incredulo
da Monteleone, dove si trovava, a sincerarsi dell'identità del
prigioniero. Ferdinando IV, da Napoli, nominò una Commissione
Militare competente a giudicare Gioacchino, composta da sette giudici
e presieduta dal fedelissimo Vito Nunziante, al quale il re aveva
ordinato di applicare la sentenza di morte in base al Codice Penale
promulgato dallo stesso Gioacchino Murat, che prevedeva la massima
pena per chi si fosse reso autore di atti rivoluzionari, e di
concedere al condannato soltanto una mezz'ora di tempo per ricevere i
conforti religiosi.
Nell'ascoltare la condanna capitale
Murat non si scompose. Chiese di poter scrivere in francese l'ultima
lettera alla moglie e ai figli (i quali, postisi sotto protezione
della bandiera del Regno Unito, furono poi trasferiti dagli austriaci
a Trieste), che consegnò a Nunziante in una busta con dentro alcune
ciocche dei suoi capelli.
Volle confessarsi e comunicarsi, prima
di affrontare il plotone d'esecuzione che l'attendeva, e venne
fucilato a Pizzo Calabro il 13 ottobre 1815. Di fronte al plotone
d'esecuzione si comportò con grande fermezza, rifiutando di farsi
bendare. Pare che le sue ultime parole siano state:
| (FR) «Sauvez ma face — visez mon cœur — feu!»» |
(IT) «Risparmiate il mio volto, mirate al cuore, fuoco!» |
| (Gioacchino Murat) |
Murat è oggi giorno ricordato con una
lapide presente nel Cimitero del Père Lachaise, a Parigi, anche se
si afferma che non sia effettivamente sepolto lì, ma che il suo
corpo sia andato perso o distrutto dopo la sua esecuzione. Altri
dicono che venne inumato in una chiesa di Pizzo Calabro, rendendo la
rimozione del suo corpo possibile in seguito. In verità il suo corpo
venne sepolto nella Chiesa di San Giorgio, in una fossa comune. Una
lapide sul pavimento al centro della navata ne ricorda la sepoltura
in questo tempio.
Charles Gallois, quasi come un cronista
dell'epoca, narra: «I soldati sono commossi, due colpi partono senza
sfiorarlo. "Nessuna grazia! Ricominciamo! Fuoco!" Questa
volta dieci colpi detonarono insieme; 6 palle lo hanno colpito. Si
mantenne ritto un istante. Poi piomba al suolo fulminato.»
Dopo essersi sbarazzato di un così
pericoloso rivale, Ferdinando di Borbone insignì Pizzo del titolo di
"fedelissima" e concesse al generale Nunziante il feudo e
il titolo di Marchese di San Ferdinando di Rosarno.
In seguito, circolarono voci che
ritenevano Murat vittima di un complotto architettato da Giustino
Fortunato e Pietro Colletta, i quali lo avrebbero attirato in
Calabria facendogli credere di essere ricevuto e acclamato dal regno;
complotto che infine si rivelò inesistente. Otto giorni dopo la
fucilazione il generale Nunziante fu nominato marchese mentre il
tenente che eseguì la fucilazione diventò comandante. Sull'epilogo
della vita di Murat suo cognato Napoleone espresse, nelle proprie
memorie, un giudizio lapidario:
| «Murat ha tentato di riconquistare con duecento uomini quel territorio che non era riuscito a tenere quando ne aveva a disposizione ottantamila.» |
| (Napoleone Bonaparte) |
Da Carolina Bonaparte Gioacchino Murat
ebbe quattro figli:
- Napoleone Achille, (Parigi, 1801 – Wacissa, 1847), emigrò nel 1821 negli USA ove sposò Catherine Willis, una nipote di George Washington.
- Letizia (Parigi, 1802 – Bologna, 1859), sposata al marchese di antica nobiltà bolognese Guido Taddeo Pepoli (1823), dal quale ebbe Gioacchino Napoleone Pepoli.
- Napoleone Luciano Carlo, (Milano, 1803 – Parigi, 1878), principe di Pontecorvo, raggiunse il fratello Achille negli USA (1825) ove si sposò. Tornò in Francia nel 1848 e fu nominato ambasciatore di Francia a Torino (1849 – 1850). Il cugino Napoleone III lo nominò senatore e gli conferì il titolo nobiliare di principe.
- Luisa Giulia (1805 - 1889). Sposò il conte ravennate Giulio Rasponi, dalla cui unione nacquero: Gioacchino Rasponi Murat, Achille Rasponi Murat e Letizia Rasponi Murat, madre di Gabriella Rasponi Spalletti.

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