| «Bisogna che i nemici periscano... solo i morti non tornano indietro» |
| (Affermazione di Bertrand Barère il 16 messidoro anno II) |
Il
Regime del Terrore, spesso
definito nella storiografia semplicemente come Il Terrore, è
una fase storica della Rivoluzione francese che ebbe inizio nel
luglio 1793.
Fu caratterizzato dal predominio
politico dei membri del Comitato di salute pubblica, che introdussero
una serie di misure repressive di crescente durezza contro gli
avversari politici sia dell'estrema sinistra, sia della destra
repubblicana, sia delle fazioni controrivoluzionarie realiste. La
politica del Comitato era diretta a rafforzare la fazione giacobina,
mettere in atto misure a favore dei sanculotti e della piccola
borghesia cittadina, schiacciare tutti gli oppositori interni della
rivoluzione, combattere con maggiore efficacia la guerra esterna
contro le monarchie europee dell'Antico regime.
Il Regime del Terrore, caratterizzato
da un elevatissimo numero di condanne a morte ed eccessi
nell'esercizio della repressione, terminò il 9 termidoro dell'anno
II (27 luglio 1794) con la caduta e l'esecuzione dei tre più
influenti membri del Comitato di salute pubblica: Maximilien de
Robespierre, considerato la principale personalità politica del
Terrore giacobino, Louis Saint-Just e Georges Couthon.
In seguito al rovesciamento del trono
nella giornata del 10 agosto 1792, in settembre era stata proclamata
la Repubblica. Contestualmente, la guerra contro l'Austria e la
Prussia entrava nel vivo e la paura di una rapida marcia del nemico
su Parigi gettò la capitale nel terrore, scatenando i “massacri di
settembre” contro migliaia di sospetti imprigionati nelle carceri
parigine. Le prime incoraggianti vittorie a Valmy e poi a Jemappes (6
novembre 1792) allontanarono lo spettro dell'invasione, ma i timori
di complotti e cospirazioni interne a favore dei nemici della Francia
alimentarono un clima di sospetto generale. L'esecuzione del re Luigi
XVI nel gennaio 1793, inoltre, cementò la coalizione delle potenze
europee contro la Francia e scatenò la reazione di coloro che, nel
paese, erano rimasti fedeli al sovrano, i cosiddetti “realisti”.
Le armate rivoluzionarie, guidate dai
generali Dumouriez e Custine, avevano ormai conquistato tutto il
Belgio; Dumouriez, sostenuto dalla fazione della Gironda in seno alla
Convenzione nazionale, si spinse oltre avviando l'invasione dei Paesi
Bassi nel febbraio 1793.
Ma il 1º marzo l'armata del duca di
Coburgo sbaragliò l'esercito di Custine in Belgio, provocando la
rotta dei francesi e il ripiegamento delle truppe di Dumouriez.
Quest'ultimo accusò della disfatta il ministro della guerra
Jean-Nicolas Pache e, rientrato in Belgio, annullò tutte le
disposizioni rivoluzionarie introdotte nel frattempo nel paese. Ormai
in rotta con la Convenzione, nonostante il tentativo di difesa di
Danton, che ben conosceva il consenso popolare di cui godeva il
generale e che forse aveva stretto accordi con lui, Dumouriez aprì i
negoziati con il duca di Coburgo promettendo di cedergli il Belgio e
di marciare su Parigi. I quattro commissari inviatigli dalla
Convenzione per arrestarlo vennero arrestati a loro volta e Dumouriez
tentò di far marciare la sua armata su Parigi per abbattere la
Repubblica. I soldati non gli ubbidirono e fu costretto a riparare
precipitosamente presso gli austriaci.
I girondini vollero istituire una
commissione d'inchiesta per stanare i complici della congiura, ma
Danton – che temeva di essere incriminato – ebbe facile gioco a
far ricadere le colpe sui deputati della Gironda che fino a poche
settimane prima avevano sostenuto Dumouriez. I girondini, che allora
detenevano il potere esecutivo, dovettero rinunciare, e Danton entrò
nel Comitato di salute pubblica il 5 aprile.
La Convenzione aveva intanto decretato
la leva di 300.000 uomini per fronteggiare la guerra contro la
coalizione. Fu la miccia che scatenò la sollevazione di intere città
nei dipartimenti occidentali della Vandea, Deux-Sèvres,
Maine-et-Loire e Loira inferiore, fortemente cattolici e
tradizionalisti
.
I rivoltosi si diedero come capi
alcuni membri della vecchia aristocrazia, e alla fine di marzo la
“Grande armata cattolica e regia” raggiungeva i 20mila uomini. Le
armate repubblicane vennero ripetutamente sconfitte e a nulla valse
il decreto con cui la Convenzione condannava a morte tutti i
rivoltosi catturati con le armi in pugno. Era l'inizio della guerra
civile.
Le tensioni in seno alla Convenzione
tra i girondini, più moderati, fino a quel momento detentori del
potere, e i deputati radicali della Montagna, esplosero a causa dei
rovesci interni ed esterni, ma avevano iniziato ad accumularsi fin
dai giorni del processo al re, durante il quale i girondini avevano
inutilmente tentato di giocare la carta della clemenza, attirandosi
sospetti di realismo.
Pur controllando il Comitato esecutivo,
in cui sedevano i ministri, i girondini non avevano esponenti in seno
al Comitato di salute pubblica, che stava acquisendo ormai un potere
assoluto. Dei nove membri che lo componevano, sette appartenevano al
centro (la “Pianura”) e due alla Montagna . Il 5 aprile 1793 i
giacobini avanzarono una petizione per chiedere la destituzione dei
deputati girondini considerati complici del tradimento di Dumouriez e
dei rovesci in Vandea. La risposta fu la messa in stato di accusa di
Jean-Paul Marat, ispiratore della petizione, che però venne
immediatamente scagionato dal tribunale, sancendo un'ulteriore
sconfitta dei girondini. Questi, temendo che i giacobini scatenassero
contro di essi i sanculotti parigini, presero posizione contro il
centralismo della capitale, attirandosi così anche l'accusa di
“federalismo”, ossia di volontà di dividere la Repubblica.
La nomina di una commissione
d'inchiesta sul comportamento del Comune, centrale operativa dei
sanculotti, esasperò gli animi. Il 31 maggio le sezioni parigine si
misero in agitazione e mossero contro la Convenzione, chiedendo
l'arresto dei 22 capi girondini elencati nella petizione di Marat. I
deputati, preoccupati del ruolo ormai incontrollato delle masse
popolari, decisero di resistere e si limitarono a sciogliere la
commissione d'inchiesta contro il Comune, ma una nuova sollevazione
il 2 giugno li costrinse, sotto la minaccia dei cannoni e dei fucili,
e su pressione di Robespierre e Couthon, a far arrestare i girondini.
La Montagna assumeva così il controllo della Convenzione e apriva la
strada al regime di Robespierre.
La situazione in Francia stava intanto
peggiorando. La caduta dei girondini aveva fomentato la rivolta a
Tolone, Marsiglia e Lione, la seconda città del paese, dove la
popolazione era insorta contro il centralismo di Parigi, ormai nelle
mani della Montagna. Nella capitale, d'altronde, il peggioramento
della crisi economica e l'aumento del prezzo del pane tenevano i
sanculotti continuamente in agitazione, senza che il Comitato di
salute pubblica guidato da Danton riuscisse a imporre l'ordine. Si
decise, il 10 luglio, su pressione dei sanculotti, di sciogliere
questo primo Comitato e nominarne uno nuovo, composto in maggioranza
da giacobini.
L'assassinio di Marat, il 12 luglio, a
opera di una giovane bretone filo-girondina, Charlotte Corday, destò
enorme impressione e convinse le frange radicali alla guida del
Comune a imporre misure maggiormente rivoluzionarie. I cordiglieri
ora guidati da Jacques-René Hébert, che ne aveva assunto la
leadership dopo la morte di Marat e l'allontanamento di Danton dalla
vita politica, e gli ancora più radicali "arrabbiati”, come
venivano definiti, guidati dall'ex prete Jacques Roux, riuscirono a
far votare dalla Convenzione il 27 luglio la legge contro gli
accaparratori, che consentiva l'ispezione dei magazzini, dei granai e
delle cantine per assicurarsi che i commercianti non facessero scorte
di beni alimentari che andavano messi in vendita.
Superato dagli avvenimenti e squassato
da lotte intestine, il Comitato di salute pubblica decise di invitare
Robespierre a partecipare ai suoi lavori, nel tentativo di colmare la
distanza tra il Comitato, la Convenzione e il Comune parigino, che
rappresentava i sanculotti, per i quali Robespierre era l'unico vero
difensore della Rivoluzione, “l'incorruttibile”.
Mentre gli hébertisti e gli arrabbiati
continuavano a richiedere misure d'emergenza, come il calmieramento
di tutti i beni di prima necessità, l'assunzione nei posti pubblici
dei patrioti e un'infornata di sospetti da destinare poi al massacro
in un revival del settembre 1792, Robespierre oppose loro un
programma inflessibile fatto di requisizioni nelle campagne e
approvvigionamenti nella capitale, in misura tale da calmare la fame
della popolazione e tagliare agli esponenti del Comune l'appoggio dei
sanculotti. Ciò permise di celebrare l'anniversario del 10 agosto in
un clima sereno nonostante una vigilia che sembrava anticipare nuovi
massacri indiscriminati. Robespierre e Danton appoggiarono invece la
proposta degli “arrabbiati” della leva in massa, come unica
soluzione per contrastare l'avanzata degli eserciti della coalizione
e dei vandeani.
I radicali non si ritennero, tuttavia,
soddisfatti. Sfruttando le pessime notizie sul fronte militare (il 4
settembre fu data la notizia della caduta di Tolone nelle mani degli
inglesi), il 5 settembre il Comune promosse una sollevazione contro
la Convenzione, chiedendo il calmiere per tutte le derrate (il
“maximum”) e altre misure d'emergenza. Robespierre dovette cedere
facendo entrare nel Comitato di salute pubblica gli “hébertisti”
Jacques Nicolas Billaud-Varenne e Collot d’Herbois. Ciò spostò
maggiormente l'asse del potere verso l'estremismo, ponendo “il
Terrore all'ordine del giorno” (5 ottobre), come avevano proposto
alcuni giacobini più radicali
.
Questo nuovo corso fu confermato, il 17
settembre 1793, dall'approvazione della “legge dei sospetti”.
Erano considerati sospetti, e quindi passibili di essere arrestati e
deferiti al Tribunale rivoluzionario, gli emigrati rientrati, gli ex
nobili che non avessero mostrato evidente attaccamento alla
Rivoluzione, ma anche coloro che non avevano compiuto “i loro
doveri civici” (ossia partecipato alla vita politica) o tutti
quelli che si erano mostrati “partigiani dei tiranni o del
federalismo e nemici della libertà”. Con decreto del Comune del 10
ottobre, si giungeva a definire "sospetti" tutti coloro che
avevano accolto con "indifferenza" la Costituzione e coloro
che, "non avendo fatto nulla contro la libertà, non hanno
comunque fatto niente per essa" .Infine, venne decretato che al
Comitato di salute pubblica spettasse presentare alla Convenzione i
candidati per il rinnovo delle cariche in tutti gli altri comitati
della Convenzione. Così si sanciva la preminenza del “Grande
Comitato” su tutti gli altri e quindi, di fatto, una dittatura dei
suoi 12 membri sul governo della Francia.
Il 1º agosto 1793 Maria Antonietta fu
rinviata al Tribunale rivoluzionario. Il processo si aprì il 14
ottobre e fu molto rapido, anche se le accuse infamanti avanzate da
Hébert, che voleva dimostrare come l'ex regina avesse iniziato il
Delfino a pratiche sessuali incestuose, vennero fatte cadere. Il 16
ottobre venne giustiziata. I quadri monarchici vennero ulteriormente
falcidiati dall'esecuzione del duca d'Orléans, Filippo Égalité, a
novembre, e della contessa Du Barry a dicembre.
Il 3 ottobre vennero rinviati a
giudizio i deputati girondini, o “brissottini”, in quanto legati
al loro leader Jacques Pierre Brissot. Dopo l'epurazione dei capi in
seguito alle giornate del 31 maggio e del 2 giugno, era seguita
quella di oltre cento deputati, alcuni dei quali fuggirono, mentre 73
vennero poi graziati dall'intervento di Robespierre, che frenò gli
impeti dei sanculotti . I 22 leader, tra cui Brissot, vennero
giustiziati il 1º ottobre 1793, Madame Roland poco dopo, spingendo
il marito, l'ex ministro degli interni Jean-Marie Roland, al
suicidio, mentre l'ex sindaco Pétion e François Buzot, errabondi,
si suicidarono nel giugno 1794.
A novembre vennero giustiziati i leader
monarchici del partito fogliante: Jean Sylvain Bailly, ex sindaco,
giudicato colpevole del massacro del Campo di Marte nel 1791; Antoine
Barnave, Duport-Dutertre.
Le disfatte militari avevano lasciato
indifesa Parigi. In una settimana era possibile, per le truppe
austro-prussiane, giungere nella capitale. Fu solo perché Pitt aveva
ordinato a Coburgo di conquistare Dunkerque, come testa di ponte per
lo sbarco degli inglesi sul continente, che l'invasione della
capitale venne sventata. L'inondazione delle campagne a opera del
comandante di Bergues rallentò le operazioni, permettendo al
generale Jean-Baptiste Jourdan di portare rinforzi su Dunkerque e,
nella battaglia di Hondschoote (6-8 settembre), i francesi ottennero
una prima vittoria dopo molti mesi.
Il Comitato di salute pubblica epurò i
generali sospetti dagli stati maggiori delle armate del Nord, del
Reno e della Mosella. I nuovi capi, rispettivamente Jourdan,
Jean-Charles Pichegru e Lazare Hoche, avrebbero presto rivelato i
loro talenti militari. Jourdan e Lazare Carnot, membro del Comitato e
responsabile della guerra, guidarono l'armata del Nord nella vittoria
di Wattignies (15-16 ottobre) contro Coburgo.
Il 9 ottobre, nel frattempo, le truppe
repubblicane erano entrate a Lione, soffocandone l'insurrezione. Le
truppe vandeane, sconfitte a Cholet il 17 ottobre, ripiegavano. Il
Terrore veniva instaurato nelle regioni dell'interno. Jean-Baptiste
Carrier, inviato in Vandea, fece annegare nella Loira oltre 3000
vandeani (è rimasta celebre la sua frase: “Che fiume
rivoluzionario, la Loira!”). Inviati a Lione, Collot d'Herbois e
Joseph Fouché, giudicando troppo lenta la ghigliottina, procedettero
a far massacrare a colpi di mitraglia i ribelli, uccidendone oltre
2000.
Parigi decise di cambiare nome
alla città, ribattezzandola Ville-Affranchie (“Città
affrancata”). Il 19 dicembre cadeva anche Tolone, grazie al piano
ideato dall'allora capitano d'artiglieria Napoleone Bonaparte. Venne
ribattezzata Port-la-Montagne, in onore del governo della Montagna.
Sgominata infine la “Grande armata cattolica e regia” a novembre,
a opera dei generali François-Séverin Marceau e Jean-Baptiste
Kléber, in Vandea giungeva Louis Marie Turreau con l'incarico di
pacificare la regione. Le “colonne infernali” da lui organizzate
fecero sparire interi villaggi, provocando un'ecatombe.
Il tentativo di sottomettere il clero
cattolico, con la Costituzione civile del clero, era sostanzialmente
fallito. Sia i preti “refrattari” (coloro, cioè, che non avevano
giurato) sia quelli costituzionali avevano voltato le spalle alla
Rivoluzione dopo la caduta della monarchia. Il terreno era fertile
per una reazione contro la Chiesa, tanto più che il 6 ottobre 1793
venne approvato il nuovo calendario rivoluzionario, che divideva i
mesi in tre decadi, eliminava le feste consacrate e le domeniche, e
faceva partire il computo del tempo dal 22 settembre 1792, giorno
della proclamazione della Repubblica. A Lione, Fouché aveva
perseguitato i preti e fatto sostituire alle croci nel cimitero il
motto “La morte è un sonno eterno”. A Parigi, a novembre, il
vescovo Jean-Baptiste Gobel venne convinto ad abiurare la religione.
Il 10 novembre il Comune fece celebrare nella cattedrale di Notre
Dame, trasformata in Tempio della Ragione, una cerimonia per
celebrare la Libertà, rappresentata da una giovane fanciulla; i
convenzionali vi parteciparono in massa. Robespierre, tuttavia,
ostile all'ateismo, e convinto che la scristianizzazione avrebbe
soltanto alimentato il fuoco della controrivoluzione, decise di
intervenire. In un discorso al club dei giacobini accusò i promotori
della scristianizzazione di essere controrivoluzionari sotto mentite
spoglie. Danton lo seguì e, il 6 dicembre, venne decretata la
libertà di culto, fermando la deriva dell'ateismo di stato.
Robespierre tenterà quindi di trovare un compromesso tra le diverse
istanze promuovendo il culto dell'Essere Supremo, una versione
deistica del cristianesimo.
L'acuirsi del Terrore, con le continue
e indiscriminate esecuzioni che ormai colpivano “tutte le fazioni”,
cominciò a preoccupare numerosi deputati in seno alla Convenzione.
Iniziò una campagna per l'indulgenza, che chiedeva di sospendere la
pena capitale e abrogare la legge dei sospetti, svuotando le
prigioni. Leader di questa campagna fu Danton, rientrato a Parigi
dopo un periodo passato in campagna con la moglie, nel corso del
quale aveva cercato di allontanarsi dalla politica parigina. Il suo
appoggio alla politica di Robespierre contro la scristianizzazione
era appunto una manovra per frenare gli eccessi dei radicali e
portare il leader giacobino dalla sua. Tuttavia, molti dantonisti
erano stati compromessi nello scandalo della Compagnia delle Indie,
che riguardava una serie di affari sporchi e di tangenti. Lo stesso
Danton poteva esserne implicato. In un primo momento, comunque,
Robespierre difese il suo collega, facendo cadere le accuse che gli
pendevano sul capo.
Nel frattempo Camille Desmoulins, per
dare maggiore eco alla causa degli indulgenti, iniziava a pubblicare
un nuovo giornale, “Il Vecchio Cordigliere”. Dopo aver portato,
sulle colonne del giornale, veementi attacchi agli hébertisti, con
lo scopo di epurarli dal Comitato di salute pubblica, Desmoulins
prese a scagliarsi contro l'intero sistema del Terrore, denunciando
lo strapotere dei comitati. Ciò gli alienò l'amicizia di
Robespierre, suo ex compagno di studi. Il leader giacobino decise di
rompere con gli indulgenti.
Gli hébertisti, d'altro canto, avevano
reagito agli attacchi degli indulgenti dopo il rientro da Lione di
Collot d'Herbois, che si era difeso dalle accuse di eccesso di zelo
nella repressione dei rivoltosi. Hébert tentò a quel punto un colpo
di mano, organizzando una “giornata” rivoluzionaria per assumere
il controllo del Comitato. Ma il Comune rimase freddo e la
sollevazione sfumò. Pur nella consapevolezza di dover mantenere
l'equidistanza tra indulgenti e arrabbiati, Robespierre decise di
colpire questi ultimi e ne fece arrestare i capi. Tra il 21 e il 24
marzo 1794 Hébert e i suoi vennero giudicati e condannati con
l'accusa di aver cospirato per organizzare l'insurrezione. Furono
tutti ghigliottinati.
Sembrò una vittoria per gli
indulgenti, che vedevano ora scomparire i loro principali avversari.
Desmoulins ne approfittò per raddoppiare i suoi attacchi contro i
comitati, sul “Vecchio Cordigliere”, e chiedendo a viva voce il
rinnovo del Comitato di salute pubblica, ma questo per tutta risposta
impose la chiusura del giornale, facendone arrestare lo stampatore.
Robespierre sembrò indeciso sulla proposta del collega
Billaud-Varenne di far arrestare i capi indulgenti, ma la sera del 30
marzo accettò di firmare il mandato d'arresto per Danton,
Jean-François Delacroix, Pierre Philippeaux e Desmoulins, con
l'accusa di essere stati, al pari dei loro amici già arrestati, dei
“profittatori” arricchitisi con maneggi finanziari e requisizioni
in missione (nel caso di Danton, durante la sua missione in Belgio).
Si preparava il braccio di ferro finale
tra il Comitato e la Convenzione, la cui maggioranza silenziosa si
era ormai allontanata da Robespierre: dal 2 al 5 aprile si tenne il
processo di Danton e dei capi degli indulgenti al Tribunale
rivoluzionario. Danton in prima persona tentò una coraggiosa difesa
del suo operato e di quello dei suoi compagni, ma Saint-Just riuscì
a far votare alla Convenzione un decreto che metteva a tacere gli
imputati, impedendone la difesa. Vennero tutti condannati a morte.
| «Non si tratta di punire i nemici della patria, quanto di annientarli» |
| (Affermazione di Couthon il 22 pratile anno II) |
Il Comitato
di salute pubblica aveva ormai mano libera. Dal 10 giugno al 27
luglio, periodo del cosiddetto “Grande Terrore”, furono
pronunciate dal Tribunale rivoluzionario 1285 condanne a morte[, i
giustiziati - considerando anche le condanne antecedenti - furono
1375. Tutti i processi politici vennero centralizzati a Parigi.
Robespierre, l'8 giugno, approfittando della presidenza temporanea
della Convenzione, presiedette la festa dell'Essere supremo al Campo
di Marte di fronte a decine di migliaia di persone. In quella
celebrazione di un nuovo corso morale e religioso, i mormorii contro
l'autorità di Robespierre, che sembrava farsi pontefice della
Rivoluzione, si sprecarono. Il 10 giugno (22 pratile) venne approvata
la legge che regolamentava i nuovi processi: venivano aboliti i
difensori, l'interrogatorio preliminare degli accusati, l'obbligo di
fornire prove scritte o testimoniali; sarebbe bastata la sola “prova
morale” per condannare un accusato alla ghigliottina. I nemici
della Rivoluzione, secondo la legge, arrivavano a comprendere tutti
coloro che avevano corrotto i costumi e la coscienza pubblica,
fuorviando il popolo: una definizione che metteva l'intera Francia
alla mercé del Tribunale rivoluzionario. I deputati cercarono di
opporsi, anche perché la legge prevedeva che anch'essi potessero
essere trascinati davanti al Tribunale senza che l'assemblea votasse
la loro messa in stato d'accusa. Ma Robespierre travolse
l'opposizione e li convinse a votare a favore. Il sovraffollamento
delle carceri, che ormai accoglievano oltre 8000 sospetti, fece
temere una cospirazione dei prigionieri. Per soffocarla si decise di
effettuare una serie di "infornate", dieci tra giugno e
luglio, tratte dalle principali prigioni della capitale.
«Voi siete dei dittatori ridicoli»
(Affermazione di Lazare
Carnot rivolta a Louis Saint-Just e Maximilien Roberspierre in
floreale anno II)
La popolazione francese, esausta per le
repressioni, chiedeva un periodo di pace. Questa speranza sembrò
concretizzarsi con la vittoria di Jourdan contro le truppe della
coalizione a Fleurus, il 26 giugno, che riapriva le porte del Belgio
e la riconquista della frontiera naturale sul Reno. Per qualche
tempo, forse temendo un attentato, Robespierre non si fece più
vedere né al Comitato né alla Convenzione. Ma, tramite il suo
braccio destro, Saint-Just, aveva chiarito che le vittorie non
dovevano essere il preludio a un rilassamento del regime del Terrore.
Ormai, tuttavia, l'opposizione alla sua
autorità cresceva. Si verificò un'alleanza d'intenti tra i membri
del Comitato di sicurezza generale, stanchi di essere esautorati dal
Comitato di salute pubblica; Collot d'Herbois, Barère e
Billaud-Varenne, in seno al Comitato di salute pubblica; ed ex
rappresentanti in missione quali Jean-Lambert Tallien, Fouché,
Stanislas Fréron, Paul Barras (i cosiddetti “proconsoli”), che
Robespierre voleva condannare per i loro eccessi durante la
repressione, e per le ruberie.
Il 26 luglio, Robespierre tornò alla
Convenzione per denunciare una grande cospirazione in seno ai
comitati e alla Convenzione stessa: sapeva tutto. I cospiratori
tremarono, si chiese che fossero fatti i nomi. Robespierre si
rifiutò, facendo pendere la minaccia della ghigliottina su tutta
l'assemblea. Nella notte, il complotto entrò in azione. L'indomani,
9 termidoro secondo il calendario rivoluzionario, in una drammatica e
convulsa seduta, i deputati impedirono a Saint-Just e Robespierre di
prendere la parola e pronunciare, come stabilito, l'atto di accusa
contro i cospiratori di cui sarebbe stato chiesto l'arresto. Alle
urla di “abbasso il tiranno” fece seguito la proposta di mettere
in stato d'accusa Robespierre, Saint-Just e Couthon, il “triumvirato”
che di fatto reggeva il Comitato di salute pubblica. La proposta
venne approvata e i tre condotti in carcere. In serata, tuttavia, il
Comune insorgeva e li faceva liberare e rifugiare nell'Hôtel de
Ville. Indecisi sul da farsi, Robespierre e i suoi persero tempo
prezioso, mentre la Convenzione, affidato a Barras il comando delle
truppe, dichiarava gli insorti fuori legge. Le sezioni si dispersero,
incapaci di una reale mobilitazione dopo che i loro capi erano stati
falcidiati con la caduta degli hébertisti. All'irruzione delle
truppe nel Comune, Robespierre tentò di spararsi, ferendosi
gravemente, mentre il fratello Augustin si gettava dalla finestra,
scampando a sua volta alla morte. Le Bas, loro seguace, si sparò.
Saint-Just e Couthon vennero catturati. L'indomani, senza alcun
processo, furono ghigliottinati.
Il sistema politico instaurato con il
Terrore durò ancora qualche mese, come per inerzia. Ma come primo
atto si decise che i comitati sarebbero stati rinnovati di un quarto
dei loro membri ogni mese, per impedire il consolidarsi di cricche di
potere, e il primo rimpasto portò al governo i “termidoriani”,
come si definivano i protagonisti del 9 Termidoro. Le esecuzioni
vennero usate per fare piazza pulita dei “terroristi”, definiti
spregiativamente “bevitori di sangue” (tra questi Carrier, mentre
Collot d'Herbois e Billaud-Varenne furono deportati nella Guyana
francese). Fréron, in particolare, diresse l'azione di una banda di
giovani aristocratici che imperversavano per Parigi allo scopo di
colpire i sanculotti più radicali: il cosiddetto “Terrore bianco”
aveva lo scopo di annientare la resistenza dei giacobini, il cui club
venne chiuso d'autorità il 19 novembre 1794. In dicembre veniva
abolito il "maximum" sulle derrate, sancendo la fine della
politica economica del Terrore.
Ci furono, tuttavia, dei rigurgiti
insurrezionali. Il 1º aprile (Insurrezione del 12 germinale anno
III) e il 20 maggio 1795 (Insurrezione del 1º pratile anno III), i
sanculotti tentarono due nuove “giornate” rivoluzionarie contro
la Convenzione, per far approvare nuove misure d'emergenza per gli
approvvigionamenti, a causa della fame nuovamente dilagante, e far
applicare la Costituzione del 1793, estremamente radicale, votata nel
mezzo della crisi politica, la cui esecuzione era stata rimandata
all'indomani della pace generale. Ma i deputati resistettero e non si
piegarono alle minacce. Nel frattempo venne discussa e approvata una
nuova Costituzione, ideata dal vecchio rivoluzionario Sieyès: il
potere legislativo sarebbe stato affidato a due camere, il Consiglio
dei Cinquecento e il Consiglio degli Anziani, mentre il potere
esecutivo sarebbe stato affidato a cinque direttori, rinnovabili a
rotazione. In tal modo si credeva di poter garantire un equilibrio
politico e impedire nuovi tentativi dittatoriali.
I convenzionali fecero votare una
legge, il cosiddetto “decreto dei due terzi”, che permetteva ai
due terzi dei membri della Convenzione di essere rieletti nelle due
nuove camere. Ciò provocò la furibonda reazione della destra, il
cui consenso elettorale era in crescita. I monarchici parigini
risollevarono la testa e la popolazione si sollevò contro la
Convenzione il 5 ottobre 1795 (Insurrezione del 13 vendemmiaio anno
IV). Barras, posto a capo delle truppe lealiste, affidò al generale
Napoleone Bonaparte la repressione dell'insurrezione, che fu brutale.
Con lo scioglimento della Convenzione, il 26 ottobre, si apriva l'era
del Direttorio, che lo stesso Napoleone avrebbe poi abbattuto nel
1799 spianando la strada all'Impero.
L'organizzazione del Terrore
La centralizzazione del Comitato di salute pubblica
| Lo stesso argomento in dettaglio: Comitato di salute pubblica. |
Un'illustrazione
della sala delle Tuileries dove si riuniva il Comitato di salute
pubblica
Il
governo del Terrore fu incardinato intorno al Comitato di salute
pubblica, costituito, dopo l'ingresso degli hébertisti nel settembre
1793, da 12 membri (il “Grande comitato”). Il Comitato di salute
pubblica, creato il 6 aprile 1793,
era composto da membri della Convenzione votati in seno alla stessa
assemblea, con l'incarico di stabilire le iniziative di legge per
superare la crisi della Repubblica sul fronte interno e su quello
esterno. Esso, in teoria, non doveva essere che uno dei ventuno
comitati della Convenzione previsti dalla legge; ma in realtà il
potere politico era accentrato in due soli di essi, detti “comitati
di governo”: il Comitato di salute pubblica, appunto, e il Comitato
di sicurezza generale, che invece deteneva poteri di polizia
politica[16].
Con il rimpasto che portò alla fuoriuscita di Danton dal Comitato e
all'ingresso di Robespierre, nel luglio 1793, iniziava il regime del
Terrore propriamente detto.
Con
il decreto del 14 frimaio
anno II (4 dicembre 1793),
si stabilì che tutti i corpi istituzionali e i pubblici funzionari
fossero posti sotto il controllo del Comitato di salute pubblica. Ciò
permise di porre quest'ultimo a capo dell'intero governo della
Francia, cosa che già implicitamente era avvenuta con la possibilità
concessa al Comitato di salute pubblica di rinnovare le cariche di
tutti gli altri comitati, tra cui quello di sicurezza generale –
sancendo di fatto la fine della loro equiparazione – e di spiccare
autonomamente mandati d'arresto, arrogandosi così anche poteri di
polizia. Dal 1º aprile 1794,
i ministeri furono aboliti e vennero istituite dodici Commissioni
esecutive sotto il diretto controllo del Comitato, i cui membri erano
nominati dalla Convenzione su proposta dei membri del Comitato
stesso. Tra queste spiccavano la commissione per le armi e polveri,
che dirigeva lo sforzo di fabbricazione delle armi, e la commissione
alle sussistenza, che dirigeva la politica economica. Alle
commissioni si affiancavano particolari uffici, come l'Ufficio di
polizia controllato da Saint-Just e l'Ufficio topografico, vero e
proprio “ministero della guerra”, controllato da Carnot tramite
il futuro ministro della guerra Clarke.
Per
controllare l'intera Francia, il decreto del 14 frimaio stabiliva che
ogni dieci giorni ciascun distretto dipartimentale dovesse
rendicontare il proprio operato al Comitato, attraverso gli “agenti
nazionali”, che sostituivano i procuratori e i sindaci. In ciascun
comune venivano istituiti i Comitati
di sorveglianza rivoluzionaria,
composti da dodici membri, con poteri di polizia. Essi rilasciavano i
certificati di civismo, compilavano liste dei sospetti e arrestavano
tutti coloro che erano considerati nemici della Rivoluzione. Ogni due
giorni dovevano rapportare al Comitato di sicurezza generale[17].
Il 9 aprile 1793
un apposito decreto istituì la figura dei “rappresentanti in
missione”, in numero di tre per ciascuna armata della Repubblica.
Dotati di ampi poteri sul controllo delle attività militari,
potevano far arrestare i generali ed erano di fatto considerati i
“proconsoli” della Repubblica. Il loro enorme potere portò il
Comitato di salute pubblica a revocarli nella primavera del 1794,
mettendo sotto inchiesta diversi di essi.
All'indomani della giornata del 10
agosto 1792, il Comune di Parigi chiese l'istituzione di un Tribunale
criminale straordinario per giudicare coloro che si erano macchiati
dell'eccidio dei sanculotti nel corso dell'assalto alle Tuileries.
Istituito con molta riluttanza dall'Assemblea legislativa il 17
agosto, il Tribunale fu sciolto il 29 novembre, non prima che la
giustizia sommaria consentisse i massacri di settembre. La perdita di
potere da parte dei girondini, che si erano opposti alla giustizia
rivoluzionaria, permise l'istituzione, il 10 marzo 1793, del
Tribunale rivoluzionario, su proposta di Danton. Secondo la normativa
che ne regolamentava l'attività, al Tribunale spettava di giudicare
“ogni iniziativa controrivoluzionaria, ogni attentato contro la
libertà, l'eguaglianza, l'unità, l'indivisibilità della
Repubblica, la sicurezza interna ed esterna dello stato e tutti i
complotti tendenti a restaurare la monarchia”. Le sentenze non
erano appellabili. I giudici e i giurati erano nominati dalla
Convenzione. Simili tribunali rivoluzionari furono istituiti in
ciascun dipartimento. Per alcune tipologie di rei, come i ribelli
sorpresi con le armi alla mano, gli emigrati rientrati, gli individui
messi fuori legge, si procedeva direttamente con la constatazione
dell'identità e la condanna a morte, senza processo (fu il caso di
Robespierre e dei suoi, in quanto messi fuori legge). Pubblico
accusatore del Tribunale rivoluzionario di Parigi era Antoine Quentin
Fouquier-Tinville, presidente venne nominato Martial Herman. Per
accelerare i processi, il Tribunale venne diviso in quattro sezioni,
due delle quali in grado di funzionare simultaneamente. Con la legge
del 22 pratile, furono aboliti l'interrogatorio preventivo, la difesa
degli accusati, la necessità di fornire prove materiali, la
carcerazione come pena: le sentenze potevano essere solo assolutorie
o di condanna a morte.
Durante il periodo del Terrore si visse
una fase di vuoto legislativo per quel che concerneva la legge
costituzionale. La Costituzione del 1791 era di fatto sospesa,
essendo una costituzione monarchica superata dai fatti; venne
mantenuta formalmente in vigore, integrata dalle nuove leggi
approvate dalla Convenzione, che avevano valore costituente e, come
tali, abrogavano le norme antecedenti della Costituzione. Il comitato
costituzionale, eletto il 25 settembre 1792, era controllato dai
girondini, e i suoi lavori non avanzarono per interi mesi. Solo il 15
febbraio 1793 Nicolas de Condorcet presentò all'assemblea il primo
impianto della bozza costituzionale. Esso prevedeva di dividere
l'esecutivo dal legislativo, con i ministri eletti direttamente dal
popolo e rinnovati a rotazione ogni anno, e l'assemblea legislativa
rinnovata per intero ogni anno. Venivano rafforzate le istituzioni
locali, favorendo il decentramento caro ai girondini per ridurre il
centralismo di Parigi.
La caduta della Gironda affossò subito
questo progetto. I montagnardi avviarono nuovi lavori a partire dal
giugno 1793, ed elaborarono la nuova Costituzione in gran fretta, nel
mezzo dei pericoli che minacciavano la Francia e un clima di grande
caos politico. L'impatto di questi avvenimenti sul testo
costituzionale era evidente. Vi si sanciva il diritto
all'insurrezione, sorta di giustificazione retrospettiva del 10
agosto e del 2 giugno; si poneva l'assemblea legislativa al centro
del sistema politico, con i deputati eletti a maggioranza assoluta e
a scrutinio uninominale e diretto per ciascuna circoscrizione,
composta da almeno 40mila elettori; i ministri, in numero di 24,
sarebbero stati scelti dall'assemblea da un elenco di 83 candidati
eletti uno per ciascun dipartimento dai corpi elettorali (misura che
avrebbe permesso all'assemblea di escludere i dipartimenti rimasti
fedeli ai girondini).
La Costituzione dell'anno I, adottata
il 24 giugno 1793, non entrerà mai in vigore. Con un gesto
simbolico, il testo venne rinchiuso in un'arca di cedro posta
nell'aula della Convenzione. Ciò dipendeva dal fatto che, come era
stato stabilito su proposta di Saint-Just il 10 ottobre 1793, il
governo doveva rimanere “rivoluzionario fino alla pace”; solo in
seguito si sarebbe proceduto allo scioglimento dei comitati e della
Convenzione e al loro rinnovo. Faro delle insurrezioni dell'anno III
(al grido di “pane e Costituzione dell'anno I”, i sanculotti
cercheranno di rovesciare la Convenzione termidoriana), sarà
scalzata dalla Costituzione direttoriale adottata nel 1795.
Diverse disposizioni di democrazia
sociale vennero nondimeno adottate dalla Convenzione e fatte subito
entrare in vigore. Tra queste, la suddivisione egualitaria della
successione, che eliminava i maggiorascati e sanciva l'uguaglianza
tra gli eredi, compresi i figli naturali; la suddivisione in piccoli
lotti dei beni nazionali, per favorire l'acquisizione di nuove
proprietà da parte del proletariato e della piccola borghesia, base
sociale del Terrore; la confisca delle proprietà dei sospetti e la
loro distribuzione ai patrioti indigenti (che però non fu
applicata); l'istituzione dell'insegnamento primario pubblico e
gratuito; gli assegni assistenziali per le persone anziane sopra i
sessant'anni nelle campagne e nei villaggi.
A dividere radicalmente girondini e
montagnardi era la questione delle misure da intraprendere per porre
un freno alla crisi economica e al rincaro del prezzo del pane e di
altre derrate. I girondini restavano legati al liberismo, e mal
sopportavano le richieste di dirigismo che provenivano dai capi
sanculotti, che trovavano espressione nei discorsi di diversi
esponenti giacobini. La loro caduta aprì la strada a una serie di
radicali misure economiche che caratterizzarono il periodo del
Terrore. L'11 aprile 1793 fu decretato il corso forzoso
dell'assegnato, punendo drasticamente coloro che rifiutavano di
accettare gli assegnati come metodo di pagamento, nella speranza di
frenare il loro deprezzamento e la spirale dell'inflazione. In maggio
venne approvato il prestito forzoso di un miliardo, che si applicava
in misura progressiva a partire da redditi di 1000 lire per i celibi
e 1500 lire per i coniugati.
In una prima concessione agli
“arrabbiati”, il 4 maggio 1793 la Convenzione istituì un primo
“maximum”, ossia un calmieramento, dei cereali e della farina,
che servì a migliorare le condizioni a Parigi ma che rimase
inapplicato nel resto della Francia. Ad aumentare furono, nei mesi
successivi, soprattutto i prezzi della carne, dello zucchero, del
sapone, della cera per le candele. Il 26 luglio 1793, su pressione di
Jacques Roux, la Convenzione adottò la legge contro gli
accaparratori, minacciando di morte tutti i commercianti che non
avessero presentato la dichiarazione delle loro scorte di beni di
prima necessità. Ciò non frenò l'aumento dei prezzi. Le agitazioni
popolari a Parigi agli inizi del settembre 1793 costrinsero la
Convenzione a votare la legge del maximum generale il 29 settembre,
stabilendo che tutti i generi di prima necessità e le materie prime
fossero vincolate al prezzo medio del 1790 aumentato di un terzo,
mentre i salari vennero legati al prezzo medio del 1790 aumentato di
metà. Vennero distribuite le tessere per il razionamento del pane a
Parigi e stabilite ispezioni ai magazzini per l'applicazione della
legge sugli accaparramenti. La commissione per le sussistenze in seno
al Comitato di salute pubblica, istituita il 22 ottobre 1793
(dall'aprile 1794 ribattezzata “commissione per il commercio e
l'approvvigionamento”, raggiungendo i 500 impiegati ) doveva
dirigere l'enorme sforzo della politica economica del Terrore. Nelle
campagne e nei villaggi aumentarono le requisizioni, necessarie per
rifornire l'esercito di ciò di cui aveva bisogno; le campane delle
chiese venivano fuse per ottenere bronzo da usare nella fabbricazione
delle armi.
La politica economica del Terrore venne
gradualmente abbandonata dopo il 9 termidoro. Le violazioni del
maximum, ormai diffusissime, erano già tollerate dal Comitato di
salute pubblica dalla primavera 1794, con l'eccezione del pane. Il
decreto fu abolito il 24 dicembre. La nazionalizzazione delle
fabbriche di guerra e del commercio estero fu abbandonata. Ciò
tuttavia alimentò una crisi dell'economia e degli approvvigionamenti
che scatenò le insurrezioni popolari del 1795 e inimicò ai francesi
la nuova classe dirigente termidoriana.
In quanto fase storica tra le più
importanti e problematiche della Rivoluzione francese, il Terrore è
stato oggetto di numerose interpretazioni dei principali storici
della Rivoluzione, che hanno cercato di analizzarne cause e
motivazioni.
L'interpretazione classica del Terrore
è quella definita da François Furet la “tesi delle circostanze”,
secondo la quale la dittatura di salute pubblica fu il prodotto
contingente della profonda crisi in cui versava la Repubblica nel
1793 e dei rischi della controrivoluzione sia all'esterno che
all'interno. Questa tesi fu sostenuta fin dall'indomani del 9
termidoro dagli stessi “termidoriani”, interessati a giustificare
il loro ruolo avuto nel regime, ed è ancora quella maggiormente
divulgata nei manuali scolastici.
Tale tesi fu sostenuta da Adolphe
Thiers nella sua Storia della rivoluzione francese (1835-1839): il
Terrore sarebbe stato un male necessario, inevitabile per il percorso
logicamente consequenziale della Rivoluzione; fu ripresa analogamente
da François-Auguste Mignet, collega di Thiers: le loro tesi sono
state definite da Albert Soboul come appartenenti a una “scuola
fatalista”, legate cioè a un'idea di fatalità storica del
processo rivoluzionario.
Jules Michelet, nella sua Storia della
rivoluzione francese (1847-1853), sostenne che il Terrore fu
possibile perché il ruolo del popolo, nel periodo 1793-94, venne
meno, considerando la scarsa partecipazione popolare ai dibattiti
politici nelle sezioni; l'assopimento delle coscienze popolari
permise l'ascesa dell'oligarchia rappresentata dal Comitato di salute
pubblica. Il Terrore, dunque, sostituì alla sovranità del popolo la
dittatura. Sulla stessa scia Edgar Quinet, che subì l'influenza
contemporanea di Michelet, per il quale il Terrore rappresentò il
ritorno, in Francia, dell'antico assolutismo: la tesi delle
circostanze, utilizzata dagli stessi “terroristi”, non fu che il
recupero della vecchia ragion di stato, e Robespierre, ne La
Rivoluzione (1865) di Quinet, è assimilato a Richelieu.
La critica alla tesi delle circostanze
è più o meno contemporanea alla tesi stessa e può essere fatta
risalire a Benjamin Constant: nel suo Gli effetti del Terrore (1797),
tra i primi il filosofo dimostrava come i successi della Rivoluzione
nel 1794 si fossero verificati “nonostante” il Terrore e non
grazie ad esso, dal momento che con la vittoria di Fleurus la
minaccia controrivoluzionaria era allontanata e ciò nonostante si
assisté in quel periodo all'acme del Terrore. Esso fu piuttosto, a
suo dire, il prodotto di un'eccessiva sovranità affidata dai
rivoluzionari al popolo; da qui l'importanza della democrazia
rappresentativa che Constant, liberale, sostenne nella sua filosofia
politica, in opposizione alle tesi di Jean-Jacques Rousseau.
Sul ruolo delle teorie di Rousseau
nell'affermazione del Terrore (è noto che la Rivoluzione tributò
grande rispetto al filosofo ginevrino, e più di tutti Robespierre,
che forse l'aveva conosciuto) si concentrò anche Hegel nel capitolo
“La libertà assoluta e il Terrore” del suo Fenomenologia dello
spirito (1807). Il filosofo tedesco sostenne che il Terrore recepì
la teoria di Rousseau sulla necessità, da parte delle volontà
particolari, di identificarsi sempre con la volontà generale: in tal
senso la Rivoluzione rese impossibile conservare un governo stabile,
poiché ciascun governo, proprio in quanto per sua natura detentore
di interessi particolari, si trasforma sempre in una semplice
“fazione”, divenendo inviso alla volontà generale. Il Terrore
non poteva allora che sfociare nell'anarchia, per la sua connaturata
furia disgregante contro ogni istituzione o corpo politico.
Com'è noto, è stata Hannah Arendt a
spingere maggiormente sull'analisi del ruolo delle tesi di Rousseau
nella costruzione dell'ideologia totalitaria del XX secolo, che per
la filosofa ebbe nel Terrore giacobino la sua prima manifestazione.
Tesi, questa, fortemente influenzata dagli avvenimenti storici
contemporanei e non a caso ripresa, in piena Guerra fredda, dallo
storico israeliano Jacob Talmon, che in The Origin of Totalitarian
Democracy (1951) evidenziava le continuità tra giacobinismo e
totalitarismo marxista.
A partire dalla seconda metà del XIX
secolo, si afferma una nuova interpretazione, di stampo socialista,
sia della Rivoluzione francese che del periodo del Terrore. In questo
senso si consolida la tesi delle “due rivoluzioni”, secondo la
quale a una rivoluzione sostanzialmente borghese e liberale, quella
del 1789, ne seguì una di stampo popolare o “proletario”, la
rivoluzione del 1793. Così Jean Jaurès, nella sua Storia socialista
della Rivoluzione francese (1901-1908), che difendeva il Terrore come
unico mezzo per assicurare l'unità del paese, ripugnante ma
legittimato dal supremo intesse della Rivoluzione; tuttavia, Jaurès
ammetteva che, in seguito alla caduta di Danton, che si era fatto
rappresentante di intenti controrivoluzionari, il Terrore non era più
necessario.
Karl Marx appoggiava questa tesi,
sostenendo che il 1793 fu l'apogeo del processo di emancipazione del
cittadino iniziato con la Rivoluzione, ma non fu che una parentesi,
dal momento che Termidoro si affrettò a mostrare il vero volto della
rivoluzione borghese. In tal senso, per Marx protagonisti positivi
del Terrore furono i sanculotti, laddove Robespierre e Saint-Just,
nell'illusione di restaurare la repubblica romana o persino spartana,
non fecero altro che “consacrare l'ineguaglianza della società
borghese”.
Secondo Furet, l'interpretazione
socialista ha permesso, nel XX secolo, la rivalutazione
dell'esperienza del Terrore, depurandola della “leggenda nera”
affibbiatale dagli storici liberali del XIX secolo. Ma ciò avvenne
“all'ombra dell'esempio sovietico”: la rivoluzione bolscevica,
infatti, parve agli storici francesi socialisti la vittoria tardiva
della Rivoluzione francese nella sua manifestazione più radicale,
quella del '93 appunto. Così soprattutto nell'interpretazione di
Albert Mathiez, che mise in parallelo rivoluzione giacobina e
bolscevica, e per il quale il Terrore fu l'anticipazione del
socialismo e Robespierre il vero eroe della Rivoluzione, l'unico ad
avere come obiettivo l'instaurazione della fratellanza. Tesi in parte
ripresa da Georges Lefebvre, che però ridimensionava il ruolo di
Robespierre e sottolineava quello giocato dalle masse popolari.
Albert Soboul, forse il più importante
studioso marxista della Rivoluzione, giunse a distinguere tra
giacobinismo e “robespierrismo”: Robespierre e Saint-Just
miravano a una rivoluzione sociale e morale, impossibile tuttavia da
affermare in un momento in cui la Rivoluzione giungeva a sancire “il
dominio borghese e l'egoismo individualistico”. Il Terrore, per
Soboul, riuscì comunque a ottenere evidenti successi sul fronte
interno ed esterno che il Direttorio fece sfumare, e completò la
centralizzazione della Francia iniziata con l'abolizione dei
particolarismi feudali nel 1789, aprendo la strada al moderno
nazionalismo.
Le tesi più recenti sul Terrore,
depurate dagli eccessi dell'analisi marxista, prendono le mosse dalla
riscoperta del pensiero di Augustin Cochin, che enfatizzava il ruolo
delle ideologie, e definiva il Terrore come una sorta di “teocrazia
politica”. Tale riscoperta, favorita dal libro Critica della
rivoluzione francese (1978) di Furet, ha permesso di rimettere al
centro del dibattito sul Terrore il ruolo della mentalità
rivoluzionaria e della politica. Per Furet, il Terrore rappresentò
il primato della politica (“la politica può tutto”) e della
sovranità popolare, e trovò giustificazione in un'autentica volontà
di rigenerazione dell'uomo.
Analogamente, Michel Vovelle spiega il
Terrore come il prodotto di una mentalità che aspirava a cambiare
radicalmente il mondo, in una chiave quasi religiosa. Il 1794, in
particolare, sancì il passaggio dalla rivoluzione sociale a quella
morale: con il Terrore, l'ideologia finì per coincidere con la
politica, e tutta l'azione politica trovava giustificazione nel
discorso ideologico di Robespierre.
Patrice Gueniffey, in quella che è
oggi la più recente discussione sul Terrore rivoluzionario, ritiene
che esso fu principalmente il prodotto di una “rappresentazione
della realtà” particolare, non corrispondente alla realtà
fattuale. Le circostanze storiche giustificarono il Terrore, a suo
dire, ma fu l'interpretazione soggettiva delle circostanze a spiegare
la risposta sovradimensionata del Terrore: i rivoluzionari avevano,
cioè, una percezione ingigantita dei pericoli che minacciavano la
Repubblica, e agirono di conseguenza. Per tale motivo è difficile
ricostruire fino in fondo le ragioni del Terrore, perché esse furono
legate a “passioni collettive” che non è possibile ricostruire
compiutamente a posteriori.
Concordando con Furet, Gueniffey
sostiene che tutta la storia della Rivoluzione fu costellata da
episodi di terrore (per esempio “la Grande Paura” del 1789),
pertanto il Terrore fu “il prodotto della dinamica propria a ogni
rivoluzione”, costellata da episodi di violenza ideologica. Infine,
Gueniffey enfatizza la distinzione tra Terrore e robespierrismo,
sostenendo, con Cochin, che Robespierre spinse il discorso
rivoluzionario fino alla “ideocrazia”, cioè a una superiorità
dell'ideologia sulla politica, che però lo lasciò isolato e ne
favorì la caduta.
| «Il terrore non esiste solo quando alcune persone comandano altre e le fanno tremare, ma regna quando anche coloro che comandano tremano, perché sanno di essere presi a loro volta, come quelli su cui esercitano il potere, nel sistema generale dell'obbedienza.» |
| (Michel Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione, tr. it. p. 150) |
Lo studio più preciso sul numero
complessivo di vittime del Terrore è quello di Donald Greer, ripreso
da quasi tutti gli storici moderni della Rivoluzione e basato sulle
sentenze di condanne a morte emesse in Francia nel periodo del
Terrore: Greer calcola 16.594 sentenze di condanne a morte emesse ed
eseguite dal Tribunale rivoluzionario e da altre corti di giustizia
rivoluzionaria, per un totale di circa 17 000 morti attraverso la
ghigliottina. A questi vanno aggiunte le vittime delle numerose
esecuzioni senza sentenza, soprattutto nel corso delle repressioni di
Lione e Tolone, e le vittime di guerra, che porterebbero il totale a
35 000-40 000 morti.
Ben più alto il numero di sospetti
arrestati. Le cifre in questo caso variano molto: Soboul calcola un
minimo di 100 000, Mathiez arriva a 300 000. Jacques Godechot in
tempi più recenti ha rivisto questa cifra al rialzo, tra 300 000 e
500 000.
Tutte queste cifre non tengono conto
delle vittime della Guerra di Vandea, che gli storici concordano aver
rappresentato la pagina più sanguinosa del Terrore. Data la forte
sensibilità del tema nella storiografia francese contemporanea,
sulle vittime della Vandea i numeri variano molto: da un minimo di
150 000 secondo Reynald Secher fino a 300 000 morti secondo Anne
Bernet.
Tra le vittime più note del Terrore,
colpite dalle sentenze del Tribunale rivoluzionario, vanno ricordati:
- 16 ottobre 1793: Maria Antonietta d'Asburgo Lorena
- 31 ottobre 1793: Jacques Pierre Brissot
- 6 novembre 1793: il duca d'Orléans Luigi Filippo, che aveva votato in precedenza per la morte del re
- 8 novembre 1793: Marie-Jeanne Roland de la Platière
- 12 novembre 1793: Jean Sylvain Bailly
- 29 novembre 1793: Antoine Barnave
- 8 dicembre 1793: Marie-Jeanne Bécu, contessa Du Barry
- 27 gennaio 1794: Antoine-Philippe de La Trémoille de Talmont
- 24 marzo 1794: Jacques-René Hébert
- 5 aprile 1794: Camille Desmoulins, Marie-Jean Hérault de Séchelles, Georges Jacques Danton
- 13 aprile1794: Lucile Duplessis, moglie di Camille Desmoulins.
- 8 maggio 1794: Antoine Lavoisier
- 10 maggio 1794: Elisabetta di Borbone, sorella minore del re
- 23 luglio 1794: Alexandre de Beauharnais, primo marito della futura Imperatrice Giuseppina, Federico III di Salm-Kyrburg
- 27 luglio 1794: Anne d'Arpajon
- 28 luglio 1794: Maximilien de Robespierre, Louis Antoine de Saint-Just
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