Con il termine
Armée révolutionnaire
française (esercito rivoluzionario francese)
ci si riferisce alle forze di
terra della Repubblica francese, costituite durante la Rivoluzione
dopo la caduta di Luigi XVI e l'inizio della guerra contro le potenze
europee dell'Antico regime.
Potenziate e incrementate numericamente
soprattutto durante l'anno II (1794) con l'afflusso dei volontari e
la "leva in massa", gli eserciti rivoluzionari si fondavano
soprattutto sulla accesa motivazione rivoluzionaria e patriottica dei
capi e dei soldati, sull'amalgama tra truppe regolari (i "bianchi")
e i volontari (gli "azzurri"), sull'elezione dei capi
subordinati, sulla promozione per merito e sulla presenza dei
rappresentante in missione che cercavano di esaltare il patriottismo
e reprimevano duramente tradimenti, debolezze e codardia.
Dal punto di vista tattico le armate
rivoluzionarie, poco disciplinate ma aggressive e con grande spirito
offensiva, fondarono i loro successi sull'ordine sparso e sulle
cariche alla baionetta in colonne serrate e dimostrarono la loro
superiorità sugli eserciti delle potenze monarchiche. Dopo una
difficile fase iniziale caratterizzata da disorganizzazione e
sfiducia nei vecchi generali, le armate rivoluzionarie, guidate da
capi giovani e aggressivi, salvarono la Repubblica, respinsero gli
attacchi delle potenze continentali e raggiunsero brillanti vittorie
espandendo il potere francese nei Paesi Bassi, in Renania e in
Italia.
Quando l'Ancien Régime lasciò spazio
alla monarchia costituzionale prima e alla prima repubblica francese
poi, l'intera Francia venne riformata per rispondere ai principi
rivoluzionari di "Liberté, Égalité, Fraternité". La
dichiarazione di Pillnitz siglata tra Leopoldo II d'Asburgo-Lorena e
Federico Guglielmo II di Prussia spinse la Francia a dichiarare
guerra a questi monarchi, facendo subito emergere la necessità di un
forte esercito per vincere la guerra. Fu, infatti, proprio l'esercito
uno degli elementi più riformati dalla rivoluzione francese.
La quasi totalità degli ufficiali era
reclutata, nell'Ancien Régime, dall'aristocrazia, pertanto, negli
ultimi tempi della monarchia, molti di loro avevano abbandonato i
propri reggimenti ed erano emigrati all'estero. Tra il 15 settembre e
il 1º dicembre 1791, ben 2.160 ufficiali disertarono per unirsi alle
forze capitanate da Luigi-Giuseppe di Borbone-Condé. Gran parte di
chi rimase venne imprigionato o ucciso durante il regime del Terrore.
Chi scampò a questa sorte venne velocemente promosso a gradi
superiori, col risultato che gli ufficiali francesi erano di norma
molto più giovani dei loro colleghi degli eserciti monarchici;
tuttavia, alcuni di loro (come Nicolas Luckner, Jean-Baptiste
Donatien de Vimeur de Rochambeau e Gilbert du Motier de La Fayette),
proprio a causa di queste promozioni lampo, vennero accusati di avere
simpatie tra i monarchici francesi e vennero condannati all'esilio o
alla pena capitale.
Il fervore rivoluzionario, accompagnato
dalla volontà di salvare la prima repubblica, portò nell'esercito
francese un gran numero di indisciplinati e poco addestrati volontari
(molti dei quali erano sanculotti).
Ufficialmente le armate rivoluzionarie
si basarono sul cosiddetto "regolamento tattico" del 1791
per eseguire le operazioni militari. Il regolamento, preparato nel
decennio antecedente la rivoluzione, prevedeva la combinazione delle
tattiche lineari con quelle a colonna, a seconda delle necessità e
delle circostanze. Normalmente il fuoco doveva nascere da fanti
disposti su tre righe, ma per l'avvicinamento finale era consigliata
la formazione in colonna. Queste manovre però, per essere eseguite,
necessitavano di soldati ben addestrati guidati da capaci ufficiali e
sottufficiali, cose che inizialmente erano in difetto nell'esercito
rivoluzionario francese e che sul campo ebbero effetti negativi.
Resisi conto dell'impossibilità di
continuare a seguire i dettami del regolamento, i comandanti francesi
iniziarono ad accostarsi a formazioni più semplici, come peraltro
chiedevano da decenni alcuni teorici. Dopo la sconfitta subita nella
guerra dei sette anni, Guibert scrisse un "saggio generale sulla
tattica" (Essai général de Tactique), Bourcet focalizzò la
sua attenzione sulla formazione degli uomini e sulla guerra in
montagna, e Mesnil-Durand propose l'ordre profond, manovra tattica
consistente nel combattere in formazioni a colonna e con l'uso
privilegiato della baionetta al posto della polvere da sparo. Divenne
costante il ricorso alla "tattica dell'orda": i tiratori
scelti e i veterani, a piedi o a cavallo, venivano mandati in testa
all'esercito per schermarne la forza al nemico e per disturbare e
demoralizzare quest'ultimo con scaramucce (tecnica sperimentata dal
generale La Fayette nella guerra di indipendenza americana).
Terminata l'azione dei tiratori
scelti, sarebbe giunta l'ora dei battaglioni "regolari",
che avevano il compito di costituire la forza d'urto che avrebbe
messo in fuga l'esercito avversario con un attacco alla baionetta.
Questa combinazione di fucilieri in
ordine sparso e cariche di battaglioni incolonnati era ottima per le
prime armate rivoluzionarie. Non era richiesto infatti un particolare
addestramento e si sfruttava il più possibile l'ardore
rivoluzionario dei soldati.
Comunque sarebbe riduttivo considerare
impreparate e armate solo di spirito rivoluzionario le armate
francesi degli anni '90 del XVIII secolo. Gli sforzi per migliorare
l'addestramento furono numerosissimi, mentre l'emigrazione degli
ufficiali nobili aprì la carriera militare in base al merito,
favorendo soprattutto gli ex sottufficiali e gli ufficiali subalterni
provenienti dalle file della piccola o piccolissima nobiltà
provinciale (come Napoleone, per fare un esempio tra molti), che
difficilmente avrebbero potuto avere carriere veloci e sicure nel
vecchio regime, ma che erano anche decisamente competenti ed
appassionati nell'addestramento e nella comprensione delle esigenze
dei soldati. Anzi gli ufficiali furono molto più professionali dei
gentiluomini con l'hobby della guerra e del valore tipici della
generazione precedente. Infine il vecchio esercito monarchico, uno
dei più grandi d'Europa, non collassò, persi molti ufficiali
(specie superiori) e molti reggimenti stranieri, rimase al suo posto,
permettendo un continuo scambio di idee e pratiche tra il vecchio
esercito e quello nuovo (un amalgama ante litteram). Anche la milizia
e la guardia nazionale furono riorganizzate, in maniera molto
differente a seconda delle zone, ma sovente utilizzando veterani
delle guerre precedenti e borghesi appassionati (magari in maniera
fumosa ed astratta) dei dibattiti sulla tattica del secolo
precedente, favorendo l'innovazione e la circolazione di nuove
pratiche d'addestramento focalizzate sul soldato come individuo,
cittadino, e non più come numero.
La Francia attaccò le monarchie
europee per prima. Il ministro Charles François Dumouriez propose
un'invasione dei Paesi Bassi austriaci ma l'impresa si risolse in una
sconfitta per via dell'indisciplina dell'esercito rivoluzionario: in
un'occasione i soldati si ammutinarono e uccisero il loro generale,
in un'altra misero ai voti gli ordini dei comandanti.
Nell'agosto 1792 un esercito
austro-prussiano, guidato da Carlo Guglielmo Ferdinando di
Brunswick-Wolfenbüttel, attraversò la frontiera francese marciando
su Parigi con l'intento di rimettere al potere Luigi XVI. I soldati
austriaci, del Brunswick, dell'Assia e della Prussia sconfissero
alcune armate francesi inviate a contrastarli, provocando disordini
interni che sfociarono nell'assalto alle Tuileries e nella
conseguente caduta della monarchia. Ulteriori tentativi di fermare
Carlo Guglielmo Ferdinando non portarono risultati soddisfacenti, e
ormai, verso la metà di settembre, Parigi sembrava persa. La
Convenzione nazionale ordinò la fusione delle restanti armate
rivoluzionarie sotto la guida di Dumouriez e Kellermann che, il 20
settembre 1792, ottennero una vittoria nella battaglia di Valmy
costringendo il loro nemico alla ritirata. Gran parte del merito
della vittoria andò all'artiglieria francese, tra le migliori
d'Europa grazie alle innovazioni introdotte da de Gribeauval.
La battaglia di Valmy assicurò
rispetto all'esercito rivoluzionario francese, che nei successivi
dieci anni intraprese, sotto il comando di uomini come Moreau,
Jourdan, Kléber, Desaix e Bonaparte, guerre di conquista.
Mentre la vittoria di Valmy salvò la
prima repubblica forzando i nemici dei francesi ad una pausa, Luigi
XVI venne ghigliottinato nel gennaio 1793 e la Convenzione dichiarò
di voler "esportare la rivoluzione" oltre i confini
francesi, ma Austria, Prussia, Regno di Sardegna, Regno di Napoli,
Spagna e Gran Bretagna si unirono nella prima coalizione, inoltre
divampò una rivolta in Vandea. Attaccate da vari fronti, le armate
rivoluzionarie sembravano al collasso.
Nello stesso periodo Lazare Carnot,
deputato della Convenzione, nonché fisico e matematico, venne
avanzato al Comitato di salute pubblica. Dimostrando grande talento
nel rafforzare organizzazione e disciplina, Carnot rivoluzionò
l'esercito rivoluzionario francese ben conscio della sua inferiorità
numerica: il 24 febbraio 1793 infatti decretò che ogni dipartimento
avrebbe dovuto fornire soldati alla causa rivoluzionaria, e per la
metà del 1793 l'esercito era costituito da circa 645.000 effettivi.
Il 23 agosto 1793, dietro le insistenze di Carnot, la Convenzione
diramò il seguente proclama ordinando la leva di massa:
| «Da questo momento fino a quando i nemici non saranno scacciati dal suolo della Repubblica tutti i cittadini francesi sono richiamati al servizio militare. I giovani combatteranno; gli sposati costruiranno armi e trasporteranno provviste; le donne cuciranno tende e vestiti e serviranno negli ospedali; i bambini ricaveranno garze dal lino; gli anziani si recheranno nelle piazze al fine di suscitare il coraggio dei guerrieri e predicano l'odio del re e l'unità della Repubblica.» |
Carnot venne soprannominato
"l'organizzatore della vittoria". Nel settembre 1794,
l'esercito rivoluzionario era cresciuto fino a 1.500.000 unità. La
leva di massa dette buoni risultati e non fu necessario ripeterla
fino al 1797. L'acquisizione di esperienze permise di valutare con
attenzione le tattiche in voga e si osservò che non sempre il fuoco
dei tiratori scelti e dei cannoni era sufficiente a fiaccare il
nemico, che resisteva alle cariche della fanteria. Come soluzione si
approdò quindi all'ordine misto (ordre mixte), una combinazione
tattica di truppe in colonna con altre disposte in linea.
Nel 1805, l'Armée révolutionnaire
française venne riorganizzata nella Grande Armata.
Dissoltosi l'Ancien Régime, il sistema
di denominazione dei reggimenti venne abbandonato per lasciare il
posto alle demi-brigade composte da due o tre battaglioni, così
chiamate per lasciare al passato il termine régiment appartenente al
vecchio regime. Nella metà del 1793, l'esercito rivoluzionario
francese comprendeva 196 demi-brigade di fanteria. Inizialmente ogni
battaglione di linea era basato su tre compagnie di 330 uomini
ciascuna, ma in seguito il numero delle compagnie aumentò a nove,
con 150-200 soldati ognuna, e poi a sei. Una demi-brigade di linea
aveva un massimo di 2.500 soldati.
In seguito alla pessima prova data sul
campo dai battaglioni di volontari, Carnot ordinò che in ogni
demi-brigade vi fosse un battaglione di soldati regolari oltre a due
di volontari. Queste nuove formazioni, che volevano combinare la
disciplina e l'addestramento del vecchio esercito monarchico con
l'entusiasmo dei volontari, vennero testate con successo a Valmy nel
settembre 1792.
L'esercito rivoluzionario venne formato
da una moltitudine di unità diverse, pertanto non vi era uniformità
nelle divise. Veterani con uniformi bianche ed elmetti "tarleton"
servivano accanto a uomini della guardia nazionale vestiti con
giacche blu con contorni rossi e tunica bianca, a loro volta
affiancati da volontari in abiti civili contraddistinti dal solo
berretto frigio e dalla coccarda coi colori della bandiera francese,
quest'ultima unico elemento presente in tutti i soldati. Scarsi
rifornimenti fecero sì che se un'uniforme si rompeva, il soldato
doveva sostituirla con abiti propri da civile. Col passare del tempo
ogni demi-brigade adottò colori propri e così, nella campagna
d'Egitto, l'esercito francese era un caleidoscopio di viola, rosa,
verde, rosso, arancione e blu.
Accanto ai problemi legati alle
uniformi, più grave era la mancanza di armi e munizioni. Ogni tipo
di armamento catturato al nemico veniva immediatamente integrato
nelle riserve, come accadde alla battaglia di Montenotte del 1796,
quando 1.000 francesi senza armi ricevettero altrettanti fucili presi
agli austriaci.
Esistevano anche demi-brigade di
fanteria leggera con gli stessi problemi di uniformità dei reparti
di linea. I loro battaglioni avevano sei compagnie, quattro di
cacciatori, una di carabinieri e una di volteggiatori, quest'ultima
utilizzata di solito per il primo attacco. Una demi-brigade di
fanteria leggera aveva un massimo di 1.000 soldati.
A supporto della fanteria leggera vi
era l'artiglieria, la meno menomata dalla fuga di ufficiali perché
molti di loro provenivano dalle classi medie. In questa specialità
servì anche Napoleone Bonaparte.
Le varie migliorie apportate dal
generale Jean-Baptiste Vaquette de Gribeauval negli anni precedenti
la rivoluzione, unite a quelle introdotte dal barone du Teil, fecero
dell'artiglieria francese la migliore tra tutte quelle presenti in
Europa a quel tempo, come dimostrato a Valmy e a Lodi, nonché nelle
future guerre napoleoniche. La carenza di animali da traino obbligò
i comandanti francesi, fino ai primi anni del 1800, a servirsi di
guidatori civili, non del tutto affidabili.
Le bocche da fuoco erano raggruppate in
batterie di otto pezzi. Nel periodo rivoluzionario, alle già
esistenti artiglierie campali e ippotrainate, si affiancò
l'artiglieria celere.
La cavalleria risentì fortemente, in
negativo, degli effetti della rivoluzione francese. La maggior parte
degli ufficiali era di estrazione aristocratica, pertanto questi
abbandonarono la Francia. Addirittura due interi reggimenti, lo
Hussards du Saxe e il 15éme Cavalerie (Royal Allemande), disertarono
per unirsi all'esercito austriaco.
Facendo da contraltare all'artiglieria,
la cavalleria francese era tra le peggiori d'Europa, povera di
ufficiali capaci, cavalli ed equipaggiamenti di ogni tipo. Nella metà
del 1793 vi erano sulla carta 26 reggimenti di cavalleria pesante
(per azioni d'urto), 2 di carabinieri, 20 di dragoni (utili per
appoggiare da vicino la fanteria), 18 di cacciatori a cavallo
(Chasseurs à cheval) e 10 di ussari. Nella realtà questi reggimenti
avevano la metà della loro forza nominale. In ogni caso,
diversamente dalla fanteria dove i vecchi reggimenti monarchici
vennero rinforzati con volontari per formare nuove demi-brigade, la
cavalleria mantenne intatta la configurazione in reggimenti per tutto
il periodo rivoluzionario e napoleonico. Ad esempio, il Regiment de
Chasseurs d'Alsace (sorto nel 1651), venne rinominato 1er Régiment
de Chasseurs nel 1791, nome che rimase immutato fino allo
scioglimento del reparto, avvenuto dopo la sconfitta di Waterloo. Un
reggimento era in teoria composto da quattro squadroni ognuno dei
quali si articolava in due compagnie di 116 cavalieri, pertanto un
reggimento era forte di circa 900 cavalieri. Tuttavia, durante la
prima repubblica francese, la forza reale era di 200-300 uomini.
Il genio militare era molto sviluppato
già all'epoca della monarchia, con gli uomini capaci di costruire
ponti e strade. L'espansione dell'esercito, tuttavia, generò una
scarsità di genieri nelle varie armate: Bonaparte e la sua armata
d'Italia, ad esempio, nel 1796 avevano solo 2.000 genieri a fronte
dei teorici 3.300. Materiale per costruire ponti, comprese le barche,
erano insufficienti, e in generale i genieri dovevano improvvisare
per svolgere alcuni lavori.
Servizi logistici e medici erano
praticamente inesistenti, fatto che causò non poche diserzioni ma
che abituò i soldati francesi a vivere sfruttando le risorse del
territorio in cui si trovavano, garantendo all'esercito una velocità
che non sarebbe stata possibile con i carriaggi al seguito.
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