martedì 30 novembre 2021

Quali cliché sui pirati sono veri (uncino, tesori sotterrati)


Trampolino per darti in pasto agli squali – Falso.


Per disciplinare uno dei loro, i pirati preferivano abbandonarlo su un'isola per punire i reati più gravi. Lasciavano l'autore del reato a terra con alcune provviste di base. Quando uccidevano i prigionieri, d'altra parte, i pirati usavano metodi molto più barbari del semplice annegamento. La tortura era comune e orribilmente creativa. La maggior parte dei prigionieri veniva trattata bene, perché ciò che i pirati desideravano di più era che gli equipaggi mercantili si arrendessero senza combattere, e i maltrattamenti dei prigionieri lo avrebbero scoraggiato. Ma quando i pirati giustiziavano i prigionieri (di solito per non essersi arresi o per aver nascosto oggetti di valore), erano gratuitamente brutali al riguardo. Qualunque cosa tu possa immaginare, probabilmente l'hanno fatto, e anche di peggio.

Il Jolly Roger – Reale.


I pirati usavano altre bandiere mentre si avvicinavano a un bersaglio, ma una volta pronti ad attaccare, innalzavano una bandiera pirata. Il teschio e le ossa incrociate che sono sempre stati utilizzati nella cultura pop; se togliessi una bandiera pirata da un set cinematografico moderno e la mettessi sopra una nave del 1710, sarebbe immediatamente riconoscibile come bandiera pirata dai marinai di quell'epoca. Lo scopo di alzare una bandiera pirata era mostrare all'equipaggio bersaglio che avrebbero dovuto arrendersi, perché i pirati non avrebbero mostrato pietà se avessero resistito.
Poiché le bandiere dovevano essere riconoscibili, le bandiere dei pirati condividevano molti elementi comuni. Erano quasi sempre nere e di solito includevano immagini di ossa, sebbene potesse essere un intero scheletro o qualche altra disposizione di ossa, non solo ciò a cui siamo abituati a vedere. Potevano anche includere altre immagini violente. In generale, l'opera d'arte era meno minimalista rispetto alla versione cinematografica del Jolly Roger; questo era particolarmente vero per gli equipaggi pirati affermati e di successo, che volevano ritagliarsi la propria reputazione individuale.

Tesoro sepolto – Falso.


Il punto centrale della pirateria era il denaro. Perché prendere ciò per cui hai lavorato così duramente e seppellirlo chissà dove? Un pirata con un enorme ammasso di tesori non lo avrebbe mai nascosto da qualche parte e non sarebbe tornato a fare il pirata. Si sarebbe ritirato per godersi i frutti del successo.
In ogni caso, l'idea di un famigerato pirata che seppellisce il suo tesoro si basa su un malinteso su come i pirati erano organizzati. Alla fine di una spedizione, parte del bottino veniva messo da parte per pagare le spese e risarcire i pirati feriti. Il resto era diviso equamente tra l'equipaggio. Il capitano e gli altri ufficiali ottenevano di più, ma non di molto. Ciò significa che anche su una nave pirata di successo, nessun singolo pirata - nemmeno il capitano - possedeva un enorme mucchio di tesori. Barbanera non poteva seppellire il tesoro di Barbanera, perché non era suo. Apparteneva all'equipaggio e non c'è modo che un equipaggio pirata avesse permesso di seppellire il loro tesoro invece di essere diviso come concordato. In effetti, il capitano di una nave pirata non aveva autorità sulle finanze dell'equipaggio; gestire il denaro e dividere il bottino era il compito del quartiermastro.

Il codice pirata – Reale.


In effetti, mentre la narrativa popolare a volte allude a un codice pirata, sottostima la misura in cui la vita dei pirati era governata da regole e quanto erano formalizzate quelle regole. Ogni equipaggio pirata scriveva un contratto e lo approvava all'unanimità prima di partire per una spedizione. Questi contratti delineavano le autorità degli ufficiali della nave, i processi di selezione e rimozione degli ufficiali, la divisione del bottino, le regole di comportamento e i processi disciplinari. Mentre ogni equipaggio aveva il proprio contratto, tendevano ad essere simili perché le regole derivavano dalle realtà di base della vita dei pirati. Esistevano persino procedure formali per la negoziazione di alleanze temporanee tra equipaggi di pirati indipendenti.

Pirati bianchi - Reale, ma con un avvertimento. A volte a Hollywood piace inserire un po' di diversità etnica in un ambiente storico dove in realtà tutti erano bianchi.


Nel caso dei pirati, sbaglierebbero a non farlo. Un tipico equipaggio pirata era di circa un quarto o un terzo nero, e su alcune navi la percentuale di marinai neri era più alta di quella. A volte erano schiavi costretti dai pirati ad unirsi, ma potevano anche essere membri a pieno titolo dell'equipaggio, aventi diritto a una parte del saccheggio. In ogni caso, mentre è vero che la maggior parte dei pirati (e in particolare i capitani dei pirati) erano bianchi, un equipaggio di pirati aveva molte più facce nere di quanto si veda nei film, dove sono uno o due a ciurma.
Per quanto riguarda il genere, l'immagine tradizionale del film e della TV è giusta. In effetti, i pirati avevano regole contro il trasporto delle donne a bordo, per evitare i potenziali conflitti tra l'equipaggio. Esistono solo quattro casi noti di pirati femminili nell'era d'oro della pirateria atlantica. Due erano pirati in senso legale, ma non nel senso che la maggior parte della gente avrebbe riconosciuto dalla cultura pop. Le altre due vivevano l'intero stile di vita dei pirati ed entrambe erano travestite da uomini. In una strana coincidenza, quelle due facevano parte dello stesso equipaggio. Una delle donne era l'amante segreta del capitano. La seconda donna sviluppò un interesse romantico per la prima donna, pensando che fosse un uomo. Triangolo amoroso dei pirati! Apparentemente quel tipo di folle trama dell'identità sbagliata può davvero accadere al di fuori di una commedia di Shakespeare. Storia divertente a parte, tuttavia, la linea di fondo è che i pirati erano uomini.

Disciplina dei pirati.


Gli equipaggi dei pirati a volte sono raffigurati come una banda a malapena controllata e talvolta come professionisti efficienti. Il primo è probabilmente più comune, ma il secondo è molto più vicino alla verità. I pirati dovevano mantenere la disciplina per esercitare con successo il proprio commercio. Navigare su una nave di quell'epoca era un compito complesso, soprattutto quando l'obiettivo non era solo quello di spostarsi da un porto all'altro in modo sicuro, ma di raggiungere e catturare altre navi che potevano reagire. Su una nota correlata, anche le raffigurazioni di capitani pirati come leader tirannici (si pensi al Capitano Hook) sono sbagliate; nella maggior parte dei casi, un capitano che maltrattava il suo equipaggio veniva semplicemente rimosso e sostituito.

Depravazione dei pirati.


I pirati preferivano evitare la battaglia, indipendentemente dalle loro opinioni morali. Dopotutto, la battaglia significava rischiare la propria vita, rischiare di danneggiare la propria nave e rischiare di danneggiare i propri bottini. Quindi, le politiche dei pirati avevano lo scopo di incoraggiare gli equipaggi mercantili ad arrendersi senza combattere. Ciò significava che i pirati dovevano essere crudeli con gli equipaggi catturati dopo aver resistito. Significava anche essere misericordiosi o addirittura generosi verso gli equipaggi che si arrendevano pacificamente. E alla fine della giornata, era sempre la reputazione dei pirati, non l'effettiva violenza che avevano commesso, che contava. I pirati lo sapevano e coltivavano di conseguenza la loro reputazione.

Considera questo: perché il pirata Barbanera è così famigerato? Non è perché era il pirata di maggior successo della sua epoca. Aveva successo, ma c'erano pirati di maggior successo di lui che oggi sono completamente dimenticati. Barbanera è ricordato perché era un maestro del marketing, un uomo che ha costruito un marchio personale così forte da sopravvivere secoli dopo la sua morte. Quella gigantesca barba spettinata? Non era un'eccentricità casuale, era una parte deliberata della sua immagine. Barbanera era uno showman. Si accendeva le micce tra i capelli in modo da essere circondato dal fumo. Gli storici non sono sicuri che Barbanera abbia ucciso personalmente una sola persona fino alla lotta con le autorità governative dove è morto. Ma non importava, fintanto che le sue vittime credevano che fosse un killer spietato.


Bandiera di Barbanera




lunedì 29 novembre 2021

Quante amanti ebbe Napoleone durante la sua campagna d'Egitto di preciso

Pauline Foures Quiz | Napoleon, Pauline, Portrait



Margherita, Pauline Bellisle coniugata Fourès che ben presto divenne per tutti Bellilotte fu l'unica vera amante di Napoleone in Egitto.
Napoleone fu ben presto informato dei tradimenti di Giuseppina che continuava la sua vita dissoluta e a frequentare diversi amanti, soprattutto Hippolyte Charles.
La rabbia e la gelosia si impossessarono di Napoleone che se non avesse avuto la strada tagliata del ritorno dopo la distruzione della flotta ad Abukit sarebbe tornato in Francia ad affrontare Giuseppina.
Bonaparte pensò di rendere Pan per focaccia alla moglie. Tra le truppe si era intrufolata la moglie di un ufficiale la bella Pauline.
Napoleone la noto' e Pauline non si fece pregare molto per diventare la favorita di Napoleone.
Il marito scomodo venne rimandato verso la Francia e Pauline divenne la Cleopatra di Napoleone.
Con Bellilotte, Napoleone tentò di diventare padre, ma Pauline non poteva avere figli (anche se lei accusava Bonaparte di essere sterile).
Quando la situazione in Francia divenne favorevole per un colpo di stato, Napoleone fece ritorno in patria senza Pauline. Il governatore Kleber non si affrettò a farla rientrare in Francia.
Nel mentre Napoleone si riappacificò con Giuseppina e si dimenticò di Bellilotte.
Pauline ebbe una vita avventurosa, ma Napoleone non mancò di assisterla in tutti i modi.

domenica 28 novembre 2021

Delle curiosità su Maria Antonietta, colei che fu regina di Francia


MARIA ANTONIETTA d'ASBURGO-LORENA


Regina della moda, della stravaganza e del lusso, ma ingiustamente definita frivola superficiale a tratti stupida. Maria Antonietta fu uno dei primi casi di distorsione mediatica a fini politici, fu vittima di numerose calunnie, e il suo disinteresse nel contrastarle la accompagnò verso la tragica fine, che il destino aveva in serbo per lei.
Maria Antonietta nasce il 2 novembre del 1755 a Vienna da Maria Teresa d’Austria. Quindicesima figlia della grande imperatrice e dell’imperatore Francesco Stefano di Lorena, nessuno alla sua nascita avrebbe mai potuto immaginare il grandioso ma tragico destino a cui andava incontro.


La bambina assomigliava molto alla madre, ma il padre, le trasmise una forte componente di sangue francese: “Sono nate per obbedire e devono imparare a farlo per tempo” (disse Maria Teresa a proposito delle figlie).
Fin dall’infanzia, per la piccola Antoine, la musica e le gite in slitta rappresentarono l’intrattenimento preferito in assoluto e per quanto riguarda la musica, questa passione fu portata avanti fino ai suoi ultimi giorni. Fu molto amica di Wolfgang Amadeus Mozart per il quale favorì l’ingresso a Versailles e, leggende popolari vogliono, che il giovane bambino di Salisburgo alla corte viennese si gettò ai suoi piedi dichiarandole che da grande l’avrebbe sposata.
Una serie di avvenimenti più o meno fortunati, portarono alla piccola Antoine il favore del Re di Francia. Fu allora che l’educazione e la cura per l’aspetto dell’arciduchessa subirono una virata sostanziale. La fanciulla che aveva ricevuto si e no qualche infarinatura di storia e letteratura, e che addirittura pare non sapesse scrivere bene, improvvisamente si ritrovò ad imparare e padroneggiare numerose lingue, tra cui ovviamente anche il francese. Tuttavia il livello di istruzione di Maria Antonietta, non fu mai elevatissimo.




(Con questi due ritratti, quello di Luigi spedito a Vienna, e quello di Maria Antonietta spedito a Parigi, dovevano conoscersi i due sposi, che all'epoca avevano 14 e 15 anni. Soprattutto quello di Luigi era fortemente abbellito, in realtà era piuttosto brutto)
Si dice che Maria Antonietta lasciò l’Austria con delle lacrime sul volto, conscia che non vi sarebbe probabilmente mai più tornata, e così fu. L’incontro tra i futuri regnanti di Francia avvenne il 14 maggio 1770 e fu da subito molto impacciato, soprattutto da parte del delfino Luigi Augusto. Seguirono delle sfarzose nozze, le quali ebbero un carattere eccezionale soprattutto in virtù del rango della sposa, non era infatti comune che un futuro re sposasse la figlia di un imperatore. La cerimonia più importante tuttavia, era la cosiddetta “messa a letto” della giovane coppia, alla quale sarebbe seguita la consumazione del matrimonio, ma siccome Versailles era famosa per i suoi pettegolezzi, il giorno dopo tutti seppero che le aspettative erano state disattese. Lo stravolgimento per una sposa reale in quei tempi era senz’altro la difficoltà di adattarsi ad una corte nuova, con usi e costumi diversi da quelli di origine. Il più bizzarro e difficile da accettare per Maria Antonietta fu senza dubbio il rito della vestizione.
Alla corte di Francia in quegli anni si usava partecipare alla vestizione della delfina. Maria Antonietta non poteva allungare la mano per prendere alcunch,é e le dame di corte si litigavano il privilegio di passarle gli indumenti da indossare, e anche in questo caso si rispettavano dei rigorosi standard dettati dall’etichetta di Versailles. La stessa etichetta che era stata concepita da Filippo d’Orleans, fratello del Re Sole Luigi XIV. I primi mesi furono molto duri per la delfina che passava da una corte come quella austriaca, nella quale era abitudine per la famiglia reale mischiarsi con la gente comune, alla corte di Francia, in cui ogni momento della giornata era destinato a seguire riti e procedure formali. Inoltre le regole di corte erano incredibilmente complesse.
Era dunque abitudine di Maria Antonietta scriversi di continuo con la madre Maria Teresa d’Austria in lunghe lettere in cui le raccontava tutte le incredibili novità della sua vita, nella cui routine era sempre presente questo concetto di privato svolto in pubblico. L’imperatrice d’Austria, d’altro canto, la redarguiva per non aver ancora messo in grembo un erede. Il Re, Luigi XV, da qualche tempo si accompagnava con una donna di facili costumi, un’amante. La favorita non era vista di buon occhio dalla delfina, che disapprovava questo tipo di donne e non si curava di nasconder questo astio. Una delle leggi di corte prevedeva che la delfina salutasse per prima le cortigiane, le quali non avevano invece il permesso di rivolgerle parola per prime.
Dopo la morte di Luigi XV, i primi anni di regno dei due sovrani godettero di grande popolarità. Specialmente la regina, Maria Antonietta, era ben vista dal popolo francese, resasi famosa negli anni addietro per i grandi esempi di pietà e umiltà. In una battuta di caccia, un povero contadino fu incornato da un cervo e la regina, al tempo ancora delfina di Francia, si preoccupò di soccorrerlo trasportandolo in carrozza. Questi gesti che oggi sembrerebbero normali non lo erano affatto negli ambienti aristocratici del diciottesimo secolo. Tuttavia questa popolarità era destinata a scomparire, il popolo abbandonò presto l’interesse per la moralità dei propri sovrani in favore dell’interesse per gli sperperi di denaro che divenivano sempre più intollerabili. Già in occasione dell’incoronazione di Luigi XVI, la cerimonia fu oggetto di grandi discussioni in merito alla sua dispendiosità.
La regina appena ventunenne, si apprestava a passare anni infelici per il suo matrimonio, rivelò inoltre, in alcune lettere inviate al fratello, che non riusciva a trovare interessi comuni con il marito il quale pensava solo ed esclusivamente alla caccia. Fu in quel periodo che nacque la grande e pericolosa passione di Maria Antonietta per le carte e il gioco d’azzardo, vizi introdotti alla corte di Francia nell’epoca libertina di Luigi XIV, anche grazie alla sua più discussa favorita, la marchesa di Montespan. Famosa fu una partita del 1776, quando Maria Antonietta convinse il re a far venire dei giocatori da Parigi. Il gioco ebbe inizio la sera del 30 ottobre, proseguì fino alla mattina del 31 e continuò poi fino alle tre del mattino della festa di ognissanti. Quando il re espresse il suo disappunto la regina rispose: “Avete detto che potevamo giocare, non avete detto per quanto”


Maria Antonietta in quegli anni coltivò quei vizi che poi la resero famosa, senza perdere mai la risata fanciullesca, e spensierata con la quale era entrata a corte a soli 14 anni.

La passione per la moda era innata, e Maria Antonietta era anche nota per il suo grandissimo gusto. I suoi colori prediletti erano l’azzurro, il verde acqua e il blu; anche le piume sui cappelli ed i fiori nei capelli divennero presto di gran moda, prima a corte e poi nel resto dell’aristocrazia europea. Si può dire senza dubbio che la fortuna della Francia nella moda iniziò a Versailles, con Luigi XIV prima e con Maria Antonietta alla fine.


Il re, perdutamente innamorato, offrì il Petit Trianon, una zona di Versailles con all’interno un piccolo castello, alla sua giovane sposa Maria Antonietta, che vi creò un universo personale e intimo, lontano dai fasti della corte. Fece costruire il Théâtre de la Reine (un teatro di società), poi sacrificò la botanica e fece disporre un giardino all’inglese, in contrasto con la monotonia del resto del parco. In quella dimora manifestò la sua predilezione per il neoclassicismo: le forme sono semplici, prevalgono i motivi floreali, il bianco e i colori pastello, al contrario dello sfarzo con cui invece era stata costruita Versailles.
L’11 aprile del 1778 la regina sospettava finalmente, dopo otto lunghi anni, quattro da delfina e quattro da regina, di essere rimasta incinta. Otto giorni dopo osò scriverlo alla madre, che più di tutti forse bramava quel momento. Prima della nascita già si sapeva quale sarebbe stato il nome del nascituro: Luigi se maschio, Maria Teresa se femmina. Poche settimane prima del parto, Maria Antonietta incontrò, per la seconda volta in effetti, quello che più avanti divenne celebre come suo presunto amante, il conte Fersen, che scrisse della regina in quell’occasione: “È la più bella e la più deliziosa principessa che conosca”
Il 19 dicembre 1778, alle 11 e 30 nacque una piccolissima bambina. Il re Luigi XVI, sempre molto rispettoso, non disse mai a nessuno di essere deluso né tanto meno ne scrisse nei suoi diari, quanto alla regina, subito dopo il parto ebbe una crisi convulsiva e svenne. In quel momento o dopo poco, tutte le persone che erano presenti nella sala se ne accorsero, ed il re ordinò di spalancare le finestre, le quali vennero divelte in quanto inchiodate a causa del freddo invernale. Quando Maria Antonietta seppe della figlia scoppiò in lacrime, probabilmente si trattò di una reazione ormonale, più che di una vera e propria delusione. Infatti poi disse: “Povera bambina non sei ciò che tutti desideravano, ma non mi sei per questo meno cara. Un maschio sarebbe stato proprietà dello stato, tu sarai mia, avrai tutte le mie cure, condividerai con me tutte le mie gioie e allevierai le mie pene”

Conte Fersen

Nell’estate del 1780 cominciarono i rapporti, inizialmente senza dubbio platonici, tra la regina e il conte Fersen, giovane venticinquenne il cui pensiero principale era quello della carriera militare. Nello stesso periodo si stringevano sempre di più i rapporti tra Maria Antonietta e la cerchia dei Polignac, erano loro infatti a formare il circolo privato della regina. Questo gruppo, in quanto esclusivo, era malvisto e criticato da coloro che non ne facevano parte, molti fecero notare che li univa una comune avidità e tutti gli aderenti soffrivano il vizio del gioco. Il re si disinteressava di questa situazione, e anzi provava per Yolande, la duchessa di Polignac e migliore amica della regina, una sincera stima, dimostrando anche grande fiducia nei suoi confronti. In quel periodo a corte ci si chiedeva come mai il re non si facesse un’amante, una favorita, come si chiamava a Versailles. “Tutti vorrebbero che mi prendessi un’amante, ma non ho alcuna intenzione di farlo, né di ricreare la situazione dei regni precedenti”
Il 29 novembre 1780 morì Maria Teresa d’Austria, madre di Maria Antonietta, la quale reagì con sconforto alla notizia: “Sconvolta per questa disgrazia non riesco a frenare il pianto mentre vi scrivo. Mio fratello, mio amico, mi siete rimasto solo voi in un paese – l’Austria – che mi è e mi sarà sempre tanto caro. Ricordatevi siamo vostri amici e alleati” (scrisse all’Imperatore e fratello Giuseppe II).

Maria Antonietta, all'età di 27 anni

Il 22 ottobre dell’anno successivo, a quasi un anno dalla morte della madre, la regina partorì il tanto atteso maschio erede al trono. Il padrino in questo caso fu Giuseppe II e il bambino si chiamò Luigi Giuseppe in onore dello zio e padrino. Fu il re stesso a dare la notizia a Maria Antonietta, con queste parole: “Madame, avete esaudito i nostri voti e quelli della Francia, siete madre di un delfino”
In occasione del battesimo furono numerosissimi i doni, su tutti quello della zarina di Russia, un sonaglio di corallo e diamanti. In seguito ci fu un grave scandalo a corte: i Guéméné, la famiglia della governante reale, ebbe una gravissima e sconvolgente bancarotta. Questo fatto portò Maria Antonietta a scegliere l’amica Yolande de Polignac come nuova governante, ma tutti a corte, tranne il re, le fecero la guerra supponendo che i Polignac avessero troppo potere, e costringendola infine a nominarla solamente governante dei figli di Francia. Nel 1783 ci fu una terza gravidanza che si concluse però il 2 novembre, giorno del suo ventottesimo compleanno, con un aborto dal quale la regina si riprese solo dieci giorni dopo. In quegli anni si fece insistente la voce che la regina avesse il conte Fersen come amante. In effetti non vi era nulla che impedisse alla regina di farsi un’amante, ma non ci furono mai le prove che questa relazione si fosse consumata, solo moltissime voci.
Nel frattempo proseguivano i “capricci” della regina, l’ultima novità era quella della fattoria, una specie di salotto estivo nel quale i suoi amici e ospiti potevano servirsi di frutta latte e altri prodotti naturali. Queste notizie continuavano ad alimentare le voci contro Maria Antonietta e i suoi sperperi di denaro. Tessuti, porcellane, gioielli e adesso anche animali, tutto ciò che la regina desiderava otteneva. Tuttavia era usuale per quei tempi che una regina si comportasse così, a far discutere e ad attirare l’attenzione era più che altro la sua eccentricità. La fattoria non era certo costata molto di più di un giardino di un qualsiasi castello, moda assai più comune per quei tempi. Maria Antonietta nonostante le voci sulla sua frivolezza e poca cultura, era anche una grande appassionata di libri, specialmente romanzi storici, la affascinava ad esempio la storia di Henriette d’Angleterre, una principessa straniera come lei, che era andata in sposa a Filippo d’Orleans, il fratello del Re Sole.
Nell’autunno del 1784 decise di acquisire una nuova dimora per trascorrere le vacanze con i figli, che di lì a poco sarebbero divenuti almeno tre. Si trattava di Saint-Cloud, fino ad allora proprietà della famiglia d’Orléans. Ovviamente ci fu grande ostilità per questo acquisto, ma fu un’occasione per la regina di sfruttare la sua grande passione per l’arredamento d’interni. Sono arrivati fino a noi infatti tutti gli squisiti esemplari di mobilio concepiti da lei, e realizzati da famosi ebanisti dell’epoca. Non si parla abbastanza anche delle rinunce clamorose di Maria Antonietta, la più famosa fu quella di rifiutare una collana di diamanti a più fili per un totale di duemila ottocento carati, la regina rispose che i suoi scrigni di gioielli erano già sufficientemente ricchi. E poi disse: “Questi soldi possono essere spesi per la marina, abbiamo decisamente più bisogno di navi che di diamanti”
Nel marzo del 1785 nacque un altro maschio, il duca di Normandia Luigi Carlo di Borbone. Il secondo maschio, necessario alla famiglia reale, era stato procreato anche a causa della salute cagionevole del fratello Luigi Giuseppe. Il 2 novembre 1785 la regina compiva trent’anni, e prese piuttosto seriamente la questione, ordinando da quel momento in poi abiti più sobri e consoni alla sua età, e rinunciando ai fiori nelle acconciature. In molti notarono che Maria Antonietta non aveva più ripreso la linea dopo la nascita di Luigi Carlo, ma ben presto si capì che era a causa di una nuova gravidanza, la quale non fu affatto gradita dalla regina che riteneva di aver compiuto il suo dovere procreando due eredi maschi. Il 9 luglio 1786 nacque Sophie Hélène Béatrice, il re ne fu felice mentre l’imperatore si espresse dicendo che era un peccato che fosse nata un’altra femmina invece di un terzo maschio.
L’affare della collana aveva avuto risvolti assai complicati e di malaffare, legati anche alla figura del cardinale di Rohan, con il quale la regina non aveva mai avuto buoni rapporti. Questa vicenda peggiorò la sua popolarità e le creò grossa pena. Nel frattempo la quartogenita Sofia era nata prematura e cresceva poco e male, alla fine morì appena prima del suo compleanno nel giugno del 1787. Pochi mesi dopo la regina dovette avere a che fare con due gravi malattie, la tubercolosi del delfino, suo figlio, e la depressione del marito. Si ritrovò a prendere decisioni politiche che però non era in grado di prendere, mentre sul fronte privato la sua vita si stava sgretolando. Il 4 giugno 1789 morì Luigi Giuseppe erede al trono di Francia, i genitori, Maria Antonietta e Luigi XVI si disperarono: “Nessuno comprende i miei dolori, né il terrore che riempie il mio petto. Nessuno che non conosce…Il cuore di una madre”
La Francia era praticamente in bancarotta, nel 1788 in agosto erano stati convocati gli Stati Generali. La regina era sempre più odiata, si diceva di lei che volesse avvelenare il re per insediare al suo posto il conte d’Artois, da tempo dipinto come suo amante. Si diceva che avesse detto che avrebbe voluto fare il bagno nel sangue dei francesi e che avesse rubato milioni per inviarli al fratello Giuseppe II. Veniva dipinta in pose lascive e scurrili, come amante di uomini o anche di donne, in Maria Antonietta era riversato tutto l’odio verso l’aristocrazia, e lei non aveva più la forza di opporsi e neanche di aiutare il marito, che sempre più schiavo della depressione, non aveva più il polso, se mai lo aveva avuto, di contrastare i suoi oppositori.


La fine era vicina: il 14 luglio fu presa d’assalto la Bastiglia, grande fortezza adibita a prigione; nell’occasione morirono 100 persone e ne furono ferite 70. Il governatore della fortezza fu ucciso e la sua testa conficcata e portata in trionfo.
A seguito della presa della Bastiglia si raccontò che i carcerati furono liberati e che questa fosse piena di provviste per la corte di Versailles. Erano tutte bugie atte a fomentare la rivolta, e di prigionieri ne furono liberati solo sette, di cui due matti. Il 5 ottobre 1789 una folla armata, per lo più composta di donne, marciò su Versailles per chiedere pane al re e presentargli una petizione, con la speranza che la situazione si risolvesse. La mattina del 6 ottobre gli appartamenti reali furono invasi, la regina fu insultata e ci furono dei morti tra la folla e le guardie del corpo. La famiglia reale, allora, fu costretta a trasferirsi a Parigi, nel palazzo delle Tuileries, sotto la vigilanza della guardia nazionale. La regina si confinò nel palazzo: raramente si mostrava in pubblico e vestiva con semplicità. La sua riservatezza venne interpretata negativamente, e considerata fredda e distante.
Il continuo timore della morte, per sé e per la propria famiglia, la stavano segnando profondamente. Si narra anche che dopo il 6 ottobre, i capelli della regina divennero tutti completamente bianchi. Il 21 giugno 1791 la famiglia reale tentò la fuga verso i Paesi Bassi austriaci, ma a pochi chilometri dal confine, furono tutti arrestati e riportati a Parigi. Durante il viaggio i reali furono attaccati e insultati. La fuga finì per demolire l’idea della sacralità della persona del re, già assai scossa. Si incominciò a pensare che un sovrano, che aveva tradito il proprio paese cercando la fuga, non fosse più necessario neppure allo Stato. L’anno successivo, il 20 giugno 1792, una folla imbestialita fu introdotta nei giardini di Tuileries, ed armati di forche, accette e altre armi, irruppero all’interno del palazzo.
Arrivarono nelle stanze del re e gli misero dei cartelloni sotto il naso con su scritto “Trema tiranno”, Luigi XVI si comportò in modo ammirevole, non tremò. Accettò il bonnet rouge tesogli sulla punta di una picca da macellaio, e si sorprese solo di essere chiamato monsieur invece di majesté. Maria Antonietta invece fu messa in salvo nonostante volesse rimanere a fianco del re, ma si consolò rimanendo con i bambini facendo quello che era il suo dovere di madre. Tre giorni dopo, per ordine della Comune, la famiglia reale venne trasferita dentro la Tour du Temple, un antico monastero dei Templari, allora adibito a carcere.
I sovrani, i figli e la sorella minore del re furono dunque rinchiusi nella prigione, mentre a Madame Campan, prima cameriera della regina, e alla principessa de Lamballe non fu permesso di seguirli. Quest’ultima fu uccisa e fatta a pezzi durante i massacri di settembre: la sua testa fu portata in corteo sotto le finestre della regina, che svenne dal dolore e l’orrore. Di lì a poco Luigi XVI fu giudicato da un tribunale che ne decretò la morte per ghigliottina. La fine del sovrano fu estremamente dignitosa, tanto quanto fu tragico l’ultimo incontro con la moglie e i figli. La regina si stringeva al re, tenendo abbracciato il delfino Luigi Carlo. Il bambino si aggrappava alle mani dei genitori piangendo e anche la sorella, Madame Elisabeth si teneva stretta al fratello, il re.


Luigi XVI riuscì a salutarsi con la famiglia con la promessa che si sarebbero rivisti la mattina dopo: non fu così.
Maria Antonietta era annientata, da quel momento chiamata vedova Capeto, viveva reclusa con la cognata e i figli. Il cattivo stato di salute della regina lasciava sperare in una grazia. Probabilmente Maria Antonietta si trovava al primo stadio della tubercolosi, sicuramente soffriva di emorragie, si trattava forse di un fibroma o di un tumore all’utero. Giuseppe II e Francesco II non avevano mostrato alcun interesse nel salvare o tentare di salvare l’ex arciduchessa, semplicemente insieme a tutti gli altri reali d’Europa, se ne lavarono le mani.
Luigi Carlo era divenuto per i legittimisti Luigi XVII, il 3 luglio fu levato alla madre e fu istruito ad odiarla, affinché potesse testimoniare contro di lei ad un eventuale processo.
Quando le fu strappato aveva solo otto anni. Lottò per tenerselo e alla fine stremata, dopo le minacce di morte contro l’altra figlia Maria Teresa, si arrese. Lo sentiva piangere singhiozzando, dalla stanza in cui era recluso, e passava le giornate cercando di intravederlo in qualche modo. Fu infine trasferita alla Conciergerie, fu anche organizzato un piano di fuga, ma ella rifiutò. Il principale sostenitore della richiesta della pena capitale per la vedova Capeto fu Jacques-René Hébert. La morte di Luigi Capeto era stata volontà della Convezione, quella di Antoinette doveva risultare iniziativa di Parigi tutta e dei rivoluzionari. Questa “testa” doveva essere per il popolo. Quando Maria Antonietta si presentò al processo era un fantasma, magra, con i capelli bianchi, un pallore impressionante e aveva solo 38 anni.
Le testimonianze fornite dai 40 testimoni erano meri pettegolezzi, e la regina era ovviamente accusata di alto tradimento. Insinuarono anche che la donna avesse avuto relazioni incestuose con il figlio Luigi Carlo, che era stato costretto a dichiarare quelle terribili menzogne, anche di fronte alla sorella Maria Teresa, che non si capacitava del gesto del fratello, che d’altro canto veniva costretto a bere tutto il giorno dai suoi carcerieri. Per sedici ore Maria Antonietta fu costretta in un’aula di tribunale, e non ci fu nulla di concreto contro di lei. Fu condannata alla ghigliottina.
Scrisse una lettera a Madame Elisabeth, che però non fu mai consegnata perché intercettata e finita nelle mani di Robespierre: “È a voi, mia sorella, che scrivo per l’ultima volta. Sono appena stata condannata, ma non è una morte infame, perché tale è solo per i criminali, ma andrò a ricongiungermi a tuo fratello. Innocente come lui, spero di mostrare la stessa fermezza nei miei ultimi momenti. Sono tranquilla, come si è quando in coscienza non ho nulla da rimproverarmi. Sento profondo dolore nel lasciare i miei poveri figli: sai che ho vissuto solo per loro e per voi, mia buona e tenera sorella.[…] Ho saputo durante il processo che mia figlia è stata separata da te. Ahimè! povera bambina; non mi permettono di scriverle; lei non riceverà la mia lettera. Io non so nemmeno se questa raggiungerà voi. Spero che qualcuno vi farà avere la mia benedizione per entrambi. Spero che un giorno, quando saranno più grandi, possano essere in grado di ricongiungersi con Voi, e di godere appieno delle Vostre cure. Lasciate che […] l’affetto reciproco e la fiducia gli uni negli altri costituiscano la loro felicità. […] E il mio figlio a sua volta renda a sua sorella tutta la cura e tutti i servizi che l’affetto può ispirare. […] Lasciateli seguire il nostro esempio. Nelle nostre disgrazie quanto conforto ha il nostro affetto uno per l’altro! E […] dove si possono trovare amici più teneri e più uniti che nella propria famiglia? Lasciate che mio figlio non dimentichi mai le ultime parole di suo padre, che ripeto con forza: ci lasciò senza pensare alla vendetta per la nostra morte. […] Muoio nella cattolica e apostolica religione romana, quella dei miei padri, quella in cui sono stata educata, e che ho sempre professato. Non avendo ricevuto consolazione spirituale, senza nemmeno sapere se ci sono ancora in questo luogo sacerdoti di quella religione (e infatti il luogo in cui io sono esporrebbe loro a troppo pericolo se anche per una sola volta potessero entrare), io sinceramente imploro il perdono di Dio per tutti gli errori che posso aver commesso nella mia vita. Confido che, nella sua bontà, Egli accetti misericordiosamente le mie ultime preghiere, così come quelle che ho per lungo tempo indirizzate a lui, per ricevere la mia anima nella Sua misericordia. Chiedo perdono a tutti coloro che conosco, e soprattutto a Voi, sorella mia, per tutte le vessazioni che, senza volerlo, io vi ho causato. Io perdono a tutti i miei nemici i mali che mi hanno fatto. Saluto i miei zii e a tutti i miei fratelli e sorelle. Gli amici. L’idea di essere per sempre separata da loro e da tutti i loro problemi è uno dei più grandi dolori che soffro nel morire. Ma per lo meno sanno ho pensato a loro nei miei ultimi momenti. Addio, mia buona e tenera sorella. Che questa lettera Vi possa raggiungere. Pensate sempre a me; Vi abbraccio con tutto il cuore, come faccio coi miei poveri cari figli. Mio Dio, come straziante è lasciarvi per sempre! Addio! addio! Ora devo occuparmi dei miei doveri spirituali. Forse mi porteranno un prete; altrimenti qui non dirò una parola a nessuno”




Ogni racconto, ogni testimonianza conferma l’imperturbabile compostezza con la quale andò verso la morte. La testa della regina fu tagliata con un colpo netto il 16 ottobre del 1793. Maria Antonietta, alla quale era stato vietato di vestirsi di nero, indossò un abito bianco: nessuno ricordava che, un tempo, il bianco era il colore del lutto per le regine di Francia. Così Napoleone Bonaparte, altro protagonista della storia di Francia, si espresse riguardo alla regina ghigliottinata: “Una donna che non aveva se non gli onori senza il potere; una principessa straniera, il più sacro degli ostaggi; trascinarla dal trono al patibolo, attraverso ogni sorta d’oltraggi… Vi è in ciò qualcosa di peggio del regicidio”